XV
Isolamento
La fortezza si ergeva lentamente all’orizzonte delle terre dei De Panè. Man mano che i giorni passavano, si spargeva la voce che lì si offriva lavoro ai cittadini bisognosi di guadagnare qualcosa per sopravvivere.
I tempi non erano ancora dei migliori. Il terrore regnava ancora in città. Non era facile, pertanto, trovare contadini, se le terre da coltivare erano di Merli. La fazione di cittadini siciliani era stata abbandonata dai francesi, intanto che gli spagnoli, giorno dopo giorno, instauravano un clima di sottomissione.
Inoltre, quando la richiesta proveniva da nobildonne, ai tempi prese poco in considerazione, vi erano speranze ancora più scarse.
Guidare un carro, mostrare un potere che solo gli uomini potevano avere e cercare di risollevare un’intera tenuta non fu visto di buon occhio da nessuno degli abitanti delle zone limitrofe.
Nei giorni successivi, Michele giunse, quindi, con pochi contadini. Anche il parroco ne inviò meno di una decina. Erano tutti scettici e poco rispettosi degli ordini imposti da Ginevra su orari e raccolti. Non erano la feccia, ma qualcosa di molto vicino.
La brava gente non aveva accettato di mettersi in discussione per non rischiare la vita o una sepoltura dignitosa. C’era piena omertà. Si preferiva morire di inedia. In più, l’estate era alle porte e la terra rischiava di essere bruciata da incendi sospetti, dalla presenza di poca acqua e dalle temperature miste al vento di scirocco, che già soffiava forte. I tempi stretti alimentavano il nervosissimo.
“Ginevra, scusa se mi intrometto. Ci vuole qualcuno che utilizzi un pugno fermo con loro.”
In un giorno di Maggio, Michele suggerì questo all’orecchio della oramai amica, proprio come lo erano stati i loro padri. La ragazza stava urlando da ore, invitando i lavoratori a tornare alle terre. Ormai, avevano più che superato la pausa per cibarsi e sollazzavano scherzando, sparsi per la piantagione davanti alla dimora, senza ascoltare i continui richiami della giovane donna, che si portò la mano sinistra alle tempie per riflettere.
“Che succede?” chiese Matilde a Michele. La ragazza, a causa delle urla della sorella maggiore, era uscita fuori dal castello per comprendere le ragioni di quel baccano.
Ora la dimora non aveva più le finestre chiuse. Non era tornata al suo antico splendore, ma non appariva già più come un vecchio rudere dismesso.
“Non... non ascoltano” rispose il ragazzo. Ogni volta che la più piccola delle sorelle De Panè gli gironzolava intorno, la sua reazione era la stessa di settimane prima. Michele arrossiva, ritraendosi per poi balbettare.
Matilde era sua coetanea. Se la sua bellezza era già evidente sin da ragazzina ora, con la crescita, era sbocciata, sebbene la voce e i modi più istintivi che educati erano rimasti quelli di una bambina.
“Dobbiamo chiedere aiuto al marchese, non abbiamo scelta...” disse Ginevra scuotendo la testa rassegnata, ma soprattutto apparendo infastidita all’idea.
“Cosa c’è? Qual è il problema se può aiutarci?” chiese Michele alla ragazza, stavolta senza tartagliare.
“So che invierà sempre la stessa persona.”
***
“Grazie di avermi accompagnata Michele. Quel che devo chiedere oggi non mi porta gioia. Vedrò di ricambiare il favore, magari mettendo una buona parola con mia sorella” disse Ginevra al ragazzo, mente erano seduti in attesa dell’arrivo del marchese Castillo.
“Non capisco di cosa parli...” balbettò in risposta. Sebbene non vi fosse Matilde, Michele arrossì e indietreggiò.
La porta si aprì e il marchese entrò nello studiolo. Sostenuto da un membro della servitù, camminò sino alla sua poltrona dietro la scrivania.
“Mia cara cugina, credevo foste fuggita. Se non fosse stato per il capitano Olivier, il quale mi ha avvertito settimane fa della mancata fuga insieme a vostra sorella Matilde, non avrei saputo delle vostre sorti. Sono felice che mi siate venuta a trovare. Penso che vogliate chiedermi qualcosa da ciò che ho capito dal mio commensale. Mi sbaglio?” chiese l’uomo con voce calma.
Nelle ultime settimane in salute non era peggiorato, ma nemmeno migliorato.
“Purtroppo siamo rimaste qui, e sole. Non è una situazione facile. Potete comprendere che non abbiamo aiuto, eccetto quello dei nostri amici Calegna e di padre Rodolfo. Stiamo cercando di evitare che la tenuta sia distrutta dal tempo e dall’inerzia, poiché non coltivata, ma soprattutto dobbiamo riuscire a ricavarne il minimo indispensabile per sopravvivere. I nostri genitori sono lontani. Da Messana non possiamo fuggire sole, né io voglio lasciare i beni della mia famiglia agli invasori, dopo tanto lavoro.”
“Capisco, capisco” continuava a sussurrare e ad annuire il marchese a quelle parole. Cercava di analizzare il problema per trovare una soluzione in favore della cugina.
“Abbiamo trovato dei contadini, ma né Michele, né io, né mia sorella riusciamo a imporci sul loro lavoro al punto da farlo fruttare. L’estate incombe. Lo sapete com’è da queste parti. In pochi mesi ci sarà terra bruciata, poco da seminare e poca acqua. Quindi, bisogna darsi da fare il prima possibile. Siete l’unico che possa trovar soluzione al nostro problema. Ditemi, cosa dovrei fare?” chiese preoccupata la giovane all’anziano marchese.
“Posso comprendere. La situazione in cui vi ritrovate non è facile. Sapete, da quando c’è stata la fuga in Marzo, in molti sono giunti alla mia porta con difficoltà simili alle vostre, ma non ho potuto aiutarli. C’era chi cercava un luogo dove dormire poiché la propria casa era stata distrutta dall’esercito spagnolo, chi un lavoro, anche umile, ma, poiché Merli, non ho potuto aiutarli. Anche i Malvizzi sono oramai in rovina. Semplici membri del popolo, con cui nella mia vita ho intrapreso amicizie, sono venuti da me per cibo e aiuto. Non vi è molto modo di porre fine alla poca disciplina instaurata tra i lavoratori delle vostre terre, cugina. Ci vuole qualcuno che vi conosca e capisca che l’aiuto è gratuito. Di questi tempi, voi potete capire come sia difficile chiedere una cosa del genere, con gli spagnoli pronti a ucciderci. Troverò qualcuno, statene certa, ma forse non vi piacerà” disse il marchese. Il suo sguardo, da buon siciliano, lasciava poco da immaginare.
Era lo sguardo di colui che, avendo visto sin troppo nella vita, era rassegnato. Spesso, infatti, non importano gli sforzi. La gente non offre aiuto senza far pagare un prezzo alto per i suoi finti, amichevoli servigi.
“Lo so. So che il capitano Olivier...” cercò di replicare Ginevra, ma fu interrotta bruscamente dal marchese.
“Il capitano e forse prossimo generale Olivier è impegnato in altre faccende riguardanti la sua carriera, il suo grado e il prossimo matrimonio. Non sarà lui ad aiutarvi questa volta, anche perché dubito che voglia farlo” disse tutto d’un fiato Castillo, osservando la reazione della ragazza, che a quelle parole reagì sorpresa.
“Generale... Come mai?” chiese Ginevra, cercando di non mostrare la fitta al cuore che aveva provato.
“Non so se siate a conoscenza della scomparsa del generale Estevez. È come svanito nel nulla. Si pensa sia stata una vendetta. Le autorità lo stanno cercando in diverse zone della città per dargli una sepoltura degna del suo grado e inviare i resti alla famiglia in Spagna.”
Il silenzio scese nella stanza. Il tono di voce del marchese era quello di chi sapeva cosa fosse accaduto.
Rodrigo, infatti, era andato dall’amico in quella notte di tardo inverno, dopo le violenze inflitte da Estevez a Ginevra che portarono all’omicidio del generale. Nel marchese cercò aiuto per comprendere se le terre dove aveva abbandonato il corpo fossero sicure. Rodrigo non era di quei luoghi. Quella scarpata non aveva nome, né un proprietario e ciò poteva rappresentare un problema.
Il marchese, seppur anziano e dormiente, accolse l’amico, assicurandogli che le possibilità del ritrovamento del corpo sarebbero state poche. Tuttavia, la scomparsa di un uomo tanto conosciuto in città avrebbe comunque creato problemi.
Dopo quel gesto era il caso di allontanarsi dai baroni. La vicinanza avrebbe dato sospetto, se qualche notizia fosse trapelata. Arrivare a lui, come alle giovani vittime, sarebbe stato facile in quel clima in cui tutti davano favori in cambio di un pasto o di qualche falsa protezione.
“No, non so nulla” disse la ragazza mentendo, anche se Michele scorse la bugia.
“Il suo posto è vacante. Con il governo militare instaurato in città dev’essere colmato. Si pensa a lui o al capitano Juan Cortez, essendo entrambi di stesso grado e da sempre vicini a Estevez. Sapete, mi riferivo a Cortez nel mio discorso. Ultimamente viene spesso a trovarmi. Voi lo conoscete, non posso dirvi che è una persona a cui affiderei la mia anima, ma di questi tempi non ho altri uomini che avrebbero il coraggio di...” confidò l’anziano, ma fu interrotto.
“Perfetto. Il capitano Cortez, per noi non è un problema.”
Ginevra tagliò il discorso, alzandosi dalla sedia, ancora turbata dalla notizia di Rodrigo.
“Sono contento che possiate trovare aiuto nelle mie conoscenze. Cercherò di contattarlo il prima possibile. Lottate: siete giovani! Non lasciate che delle stupidaggini vi fermino dal vivere la vostra vita.”
Il marchese salutò affettuosamente i due ragazzi, che dopo l’incontro tornarono nelle terre della baronia.