20

Lo zainetto rosa era pronto. Ci aveva messo dentro tutto quello che era importante, il suo tesoro. La foto della mamma, quella dell’uomo buono anche se era rovinata, le matite colorate, il braccialetto di tappi di bottiglia, i calzini nuovi rosa con i trenini disegnati, la boccettina del suo profumo Petite, quello che aveva comprato con la mamma un giorno che erano state a spasso insieme, loro due sole. Non le era venuto in mente altro di importante. Importante era solo la mamma. Avrebbe voluto infilarla nello zainetto e scappare via con lei, ma l’uomo sbagliato non voleva.

Era spaventata e arrabbiata. Ce l’aveva soprattutto con l’uomo buono che non arrivava mai. Quante volte aveva fatto l’incantesimo con la fotografia? tante quanti sono i fili d’erba del giardino. Ma niente. Era qui, ed era sola.

Dalla finestra della sua cameretta ora si vedeva la luna. Era notte. Forse dovrei dormire, pensò, ma non aveva sonno. Le venne da piangere, ma non poteva. Piangere non serve a niente. Inghiottì un singhiozzo.

Controllò di nuovo il suo tesoro nello zainetto. C’era tutto.

A un tratto sentì la chiave girare nella serratura. La porta si aprì e comparve l’uomo brutto.

«Anticipiamo la partenza» disse.

Lei era terrorizzata.

«Andiamo muoviti!» ordinò lui.

La bambina prese lo zainetto e riuscì a saltare giù dal letto.

«Quello non ti serve» disse l’uomo con malagrazia, strappandole lo zainetto e gettandolo via.

«Adesso esci.»

La spinse fuori della stanza, poi richiuse la porta alle loro spalle.

«E ricordati, non dire una parola.» Lei annuì.

L’uomo la prese per un braccio e la strattonò giù per le scale. Attraversarono il salone, nel buio e nel silenzio. Dove sono tutti, si chiese la bambina. Sono morti. Poi quando passarono davanti al tavolino delle fotografie cercò di guardare per l’ultima volta le foto della mamma. Aiutami, ti prego, pensò con tutta la forza che aveva.

In un attimo furono fuori, nel fresco del giardino.

«Cammina, svelta» intimò l’uomo, «e non fare rumore, altrimenti lo sai che succede.»

La guidava, trascinandola quasi, tirandola per la manica del golfino, giù lungo il viale della villa.

Camminarono un bel po’, lei era stanca, le sue gambette arrancavano, era già caduta due volte e si era sbucciata il ginocchio. Il braccio le faceva male, lui la strattonava senza cura. Il sentiero era nero come il paese dei diavoli. Gli alberi coprivano la luna. Sentì il richiamo di un animale, e poi lo scroscio di un ramo che cadeva.

A un tratto arrivarono a una macchina ferma al lato del viale. Al posto di guida c’era un’ombra scura, col cappuccio alzato.

L’uomo brutto aprì la portiera e spinse la bambina all’interno.

Poi infilò la testa nell’abitacolo e le sussurrò all’orecchio: «Ricordati quello che ti ho detto, altrimenti tua madre muore».

Lei non fiatò, doveva rimanere zitta per salvare la mamma, e comunque forse domani le fate sarebbero venute a prenderla per riportarla a casa. Doveva solo essere buona e ubbidiente.

L’uomo brutto parlò a quello col cappuccio. «Fai come d’accordo. E nessuna traccia.»

L’uomo al volante mugugnò un assenso.

La macchina partì, a fari spenti, lentamente. Percorse il viale fino al cancello della villa, che era spalancato, lo superò e si fermò fuori sulla strada.

Restarono così. Nel buio e nel silenzio si sentiva in lontananza solo il leggero crepitare dei grilli.

L’uomo si voltò verso di lei. Aveva la faccia completamente in ombra, sembrava che il cappuccio stesse appoggiato sul volto di un fantasma. «Tu non ti muovere e vedrai che andrà tutto bene» disse, con un mormorio così basso che sembrava lo strisciare di un serpente. La bambina fece sì con la testa. «Brava» disse l’uomo. Poi scese dalla macchina e tornò indietro a chiudere il cancello.

Lei guardò se dentro la macchina c’era qualcosa da rompergli in testa. Ma niente, solo cartacce, bicchieri di plastica sporchi e altre schifezze.

L’uomo tornò subito indietro, salì in auto e partì.

«Viaggio sola andata» sghignazzò.

Ff-fangulo, pensò lei. Ma non parlò. Quello era un uomo davvero brutto, bruttissimo.