Il commissariato cadeva a pezzi. Le pareti erano scrostate e stinte e negli angoli si poteva ammirare una fuliggine appiccicosa e scura la cui origine restava avvolta nel mistero, visto che i riscaldamenti funzionavano poco e male.
Non c’erano soldi e tutto era appeso a un filo. Curreri e gli altri dovevano arrangiarsi. Ed erano diventati bravi, in quell’arte.
Ma visto che quello che non ammazza fortifica, secondo il principio nietzschiano che un giorno Micci aveva cercato di spiegargli senza successo, quella cupezza che avvolgeva le stanze del commissariato scioglieva la lingua ai delinquenti. Quante confessioni avevano raccolto senza quasi domandare, semplicemente lasciando i poveri colpevoli, o presunti tali, a pentirsi sotto la luce fioca e giallastra di una lampadina polverosa e senza speranza.
«Vede, avvocato» disse il commissario indicando il display del cellulare che teneva fra le mani: «questo è proprio il suo numero.»
«E la telefonata è stata fatta proprio durante la scomparsa della bambina» aggiunse Micci.
Anna Buonconsiglio e Werner Richter erano seduti sulle due sedie più scomode dell’ufficio di Curreri. Era un’altra vecchia tattica che il commissario usava quando voleva tenere la gente sulle spine e capirci di più. Quando qualche dubbio gli razzolava nel cranio fra un neurone e l’altro.
La donna era passiva. Guardava davanti a sé e sembrava disinteressarsi di tutto.
Micci le mise davanti dei documenti da firmare.
«La dichiarazione del ritrovamento della bambina» disse il giovane agente, e lei cominciò a firmare senza leggere, né controllare, meccanicamente.
L’avvocato Richter si chinò ad analizzare il numero sul display.
Prende tempo, pensò Curreri. Questo bellimbusto mi nasconde qualcosa.
Infine, l’uomo alzò lo sguardo e si strinse nelle spalle. «Non so che dire. È il mio numero in effetti, ma non capisco proprio come faccia a stare in questo telefono.»
«Non lo capisco nemmeno io. Non capisco proprio niente, anzi, mi deve scusare.»
Al commissario piaceva fare la parte del tenente Colombo. Si era studiato tutti i telefilm della serie e quel fare finta di non capire mai niente, proprio del tenente, era una tattica sicura al cento per cento. I criminali, convinti di avere a che fare con un goffo e incapace poliziotto, diventavano meno prudenti e commettevano l’errore fatale. Quindi ripeté: «Non capisco proprio».
«Si figuri io» disse Richter, sprezzante.
«Lei non conosce un tale Lorenzo Croci?» domandò Curreri, candidamente.
«Mai sentito.»
«È il proprietario del telefono. Un ragazzetto ventenne senza arte né parte.»
L’avvocato si strinse nelle spalle. «Avrà sbagliato numero.»
Curreri annuì. «Certo, l’ho pensato anche io. Vede che stiamo sulla stessa lunghezza d’onda? Ma ho anche pensato: proprio tutti tutti i numeri ha sbagliato, questo qui? Cioè, visto da un’altra prospettiva, li ha azzeccati tutti. È una bella coincidenza.»
Richter sospirò, al limite dell’esasperazione.
«Senta commissario, la signora Buonconsiglio e io veniamo da giorni convulsi, spaventosi, finiti bene per carità, ma che hanno lasciato il segno, soprattutto sulla mia cliente. Mi pare che arzigogolare su questo numero e sul suo proprietario a me totalmente ignoto sia girare inutilmente il coltello nella piaga del ricordo amaro di momenti tragici.»
Caspita che furbo questo tipo, pensò Curreri. Un rivoltatore di frittate di dimensioni ciclopiche. «Ha ragione, mi perdoni» convenne.
«Allora, se permette adesso ce ne andiamo» dichiarò Richter facendo per alzarsi.
«Un momento ancora, prego» lo fermò Curreri. «Qualche altra piccola precisazione, solo per completare il quadro probatorio.»
«Ma probatorio di che?» chiese Richter, infastidito.
Tipo tosto, rifletteva Curreri. O ha ragione lui e non c’entra niente, o ho ragione io e c’entra, e allora è un tipo pericoloso.
«Ha di nuovo ragione lei e mi scuso. A volte mi vengono questi paroloni, così per sentito dire. Mi perdoni, ma io sono ancora un ingenuo contadino, vengo dal paese. Non come lei che si vede lontano un miglio che viene dall’alta società.»
«Ma lasci stare queste sciocchezze, per favore» lo interruppe l’altro, infastidito.
Curreri fece il gesto di scusarsi con un’espressione contrita. «Lei ha ragionissima. Solo un’altra piccola precisazione e poi abbiamo finito.»
«Meno male» disse l’altro.
«In realtà in questo telefono non c’è solo il suo numero, c’è anche un piccolo giallo. Deve sapere che è stato rapinato al legittimo proprietario, il Croci di cui sopra, da un non meglio identificato rapinatore. Proprio nelle ore del rapimento. Ma c’è di più.»
«C’è pure di più» disse ironicamente Richter, «sembra un thriller.»
«Potrebbe esserlo, chissà» confermò Curreri. «Sentite qua: mentre i due anziani che hanno ritrovato la vostra bambina la stavano rifocillando, ecco che arriva a casa loro un tizio esagitato che sostiene di essere il padre della piccola, a cui sarebbe sfuggita di mano. Naturalmente è un impostore, ora lo sappiamo, ma i due vecchietti ne sono certi da subito, perché il comportamento del tizio è molto sospetto, e gli lanciano contro il cane. Il tizio scappa e perde il telefono. Questo qui. Ha capito?»
«No» disse Richter, impassibile.
«Nemmeno io. Però ammetterà che è un bell’inghippo. Un tizio che non si sa chi sia, ma che sostiene di essere il padre della piccola e che si perde un telefono dove c’è il suo numero chiamato poco prima di questo evento.»
Anna Buonconsiglio, che non si era mossa né aveva detto una parola fino a quel momento, si voltò lentamente a guardare l’uomo che le sedeva a accanto.
«Che vuol dire?» chiese, con un filo di voce.
Richter si strinse nelle spalle. «Anna non lo so. Tutto questo mi sorprende e mi lascia interdetto.»
«Che vuol dire?» ripeté lei.
«Non lo so, cara. Cado dalle nuvole, letteralmente.»
Poi l’uomo si rivolse al commissario, con tono secco. «Spero vorrete chiarire queste incresciose coincidenze.»
«Ci può giurare» dichiarò Curreri, fissandolo negli occhi.
«Per la bambina» disse Anna, quasi supplicandolo con lo sguardo.
«Per la bambina» confermò il commissario, mentre pensava a quell’esserino così piccolo e già una bella macchina da guai.