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«Anna, credo che dovremmo cominciare a pensare al matrimonio.»

Le parole caddero come sassi in un pozzo profondo. Non fecero effetto subito, ma cominciarono a crepitare nel silenzio di quel pomeriggio infinito d’estate solo dopo un po’.

Anna alzò la testa dal libro che stava leggendo. «Come?» domandò.

Lui le tolse il libro dalle mani, con un gesto gentile e spazientito allo stesso tempo. «Vorrei che mi ascoltassi quando parlo.»

La quiete di quella casa lontana da tutto, dalla città, dal rumore, dal mondo, dai pericoli, dalla vita, era come un grande palcoscenico vuoto dove i soli attori erano sempre loro due, Anna Buonconsiglio e lui, lo sconosciuto che si chiamava Werner Richter e che da poco era entrato nella sua vita.

«Ti ascolto sempre, quando parli, caro. È che semplicemente ora sto leggendo. Anzi, stavo leggendo.»

Werner posò il libro sul tavolo, più in là e poi si voltò verso la finestra, fissando il panorama al di là dei vetri, fatto di alberi e prati.

È bello, pensò Anna, guardandolo. E in effetti Werner era un uomo attraente, di quel tipo che con un sorriso può far perdere la testa a qualsiasi donna. Colto, affettuoso e interessato a lei. E dopo tanta solitudine quella vicinanza era un toccasana.

Perché dunque non riesco a pensare a qualcosa di più intimo, personale, su di lui, si chiese Anna. Perché non ne sei innamorata, rispose una vocina nella testa.

Non ne era innamorata perché non era pronta, e lo sapeva. Per quanto si sforzasse di essere normale, di vivere una vita come quella di tutti gli altri, di pensare al futuro, c’era sempre quella sensazione di teatro, di recita, che l’avvolgeva. Ogni gesto che faceva, ogni parola che diceva, era quello che pensava avrebbero detto o fatto «gli altri», se si fossero trovati nella sua stessa situazione. Gli altri, e cioè le persone normali, quelle che vedeva per le strade quando si spostava con la sua macchina dai vetri oscurati e che non potevano vedere lei. Quelli che andavano al supermercato, che correvano al lavoro, che facevano colazione tutti insieme, che accompagnavano i bambini a scuola, e a cena parlavano di quello che avevano fatto durante il giorno. Sapeva di non essere pronta per una cosa del genere. Non riusciva a rasserenarsi davvero, né a venire fuori dalle macerie del suo passato.

«Allora che ne pensi?» la voce dell’uomo interruppe i suoi pensieri.

Anna non rispose subito. Lui le aveva parlato in tono gentile, come sempre del resto, eppure una nota di freddezza, come lo strappo in un tessuto delicato, si era fatta strada nel suo tono.

«Che ne penso di cosa?» domandò quindi lei, più per prendere tempo che per evitare la risposta. Sapeva bene cosa rispondere. No.

La sua vita non era stata facile, anzi era stata dura e tragica. Orfana di entrambi i genitori, era stata affidata a un tutore senza scrupoli, e la ricchezza di famiglia aveva segnato la sua sventura, riducendola a poco più di una pedina irrilevante nella scacchiera degli interessi finanziari connessi al patrimonio.

Si era lasciata alle spalle tutto, almeno credeva, e l’unica cosa che contava adesso era la sua bambina. L’unica traccia che amava di quel passato barbaro e concluso. Dopo anni di solitudine e di dipendenza dagli altri, sentiva di aver conquistato il diritto a vivere appieno la propria vita, insieme alla sua piccola.

E così era tornata in Italia, in quella casa sul lago, ai Castelli Romani, che un tempo era appartenuta alla sua famiglia e che lei aveva ricomprato. Tutto sembrava tranquillo, quieto.

Poi nella sua vita era entrato Werner. Uno dei tanti avvocati dello studio legale che si occupava di lei e del suo patrimonio. Un patrimonio importante, di cui lei stessa, unica erede, non conosceva la misura.

Lui sembrava impassibile, ma quando parlò di nuovo la voce era tesa. «Ti ho proposto di sposarci.»

Anna si accorse di un piccolo movimento nella penombra dietro la porta socchiusa. Un fulmineo scintillio. La bambina era lì, nascosta a origliare. Cosa aveva sentito?

«Allora?» chiese ancora Werner.

«No!» gridò quasi Anna, la voce abbastanza alta da poter essere ascoltata senza incertezze da sua figlia.

L’uomo seguì lo sguardo della donna. La porta socchiusa tremò leggermente, come a un soffio di vento, poi arrivò lo scalpiccio di piedi infantili che si allontanavano di corsa.

Un sorriso amaro si fece strada sul volto dell’uomo.