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La bambina se ne stava accucciata in fondo alla tana e sentiva lo scalpiccio di tanti piedi che camminavano là fuori.

Quando il muso di un cane enorme era spuntato in fondo all’imbocco del nascondiglio e aveva ringhiato, si era spaventata ancora di più.

Aveva spinto un po’ di terra e dei sassi verso l’apertura, e adesso solo qualche fessura lasciava passare la luce dall’esterno.

Sentiva chiamare il suo nome, ogni tanto, da voci sconosciute. Come facevano a conoscerlo?

Comunque, non sarebbe uscita mai e poi mai. Quelli erano i cattivi.

Solo l’uomo buono col nome strano che non mi ricordo mai può venire a salvarmi, pensò. Certo che è proprio lento, ce ne mette di tempo ad arrivare.

Stringeva in mano il telefono che aveva rubato all’uomo sbagliato quando gli aveva dato la bottigliata in testa.

Ripensò a quel momento, alla forza che aveva cercato di dare al colpo stringendo la bottiglia con tutte e due le mani. Una bella botta. E infatti l’uomo era crollato a terra, immobile. Lei era scesa giù e aveva controllato che fosse proprio morto e cioè andato via per sempre nelle terre dei cattivi assoluti perché quello era il posto giusto per lui.

Gli aveva preso il telefono dalla tasca, ma in quel momento la mano dell’uomo si era mossa e aveva cercato di afferrarle un piede. Subito si era divincolata ed era fuggita nella notte.

Ma il telefono non l’aveva mollato.

E adesso stava cercando di capire come funzionava. Era diverso da quello dell’uomo dipinto. Questo era pieno di luci, complicato.

Ma io sono più furba del telefono, pensò. Molto di più.

Uscivano tante immagini, tanti giochi, poi foto. Vide anche una foto della sua mamma e le venne un colpo al cuore. Le si riempirono gli occhi di lacrime. Sperava che la mamma l’avrebbe perdonata. Poteva spiegarle che lei non era così cattiva, che sarebbe stata per sempre buona se la riprendeva con sé.

Ma adesso doveva cercare l’uomo buono che però perdeva sempre la strada.

Cantò la poesia dentro di sé per ricordare i numeri. Tre porcellini...