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Infilò la valigetta nell’armadietto del deposito bagagli e si segnò il numero a mente: 68. Quello che contava, al momento, era al sicuro. Quanto a lui, aveva ancora un paio di cosette da fare prima di partire.

Ripensò alla furbata di aver lasciato il biglietto del tatuato suicidato. Una morte annunciata, quella di uno sbandato senza terra e senza nome come Spider. Peccato che non fosse bastata ad aggiustare tutto. Capitolo chiuso.

Si guardò intorno. Il terminal dell’aeroporto era pieno di gente che scappava di qua e di là, scendeva o saliva scale mobili, controllava i display giganti degli arrivi e partenze, gironzolava con aria assente tra i negozi di ciarpame internazionale, uguale a quello di tutti gli aeroporti del mondo. I più vigili leggevano il giornale.

Werner si sentiva a casa sua in questo paradiso dell’indifferenza verso gli altri. Lì si poteva passare e ripassare davanti a qualcuno che ti fissava senza che quello ti vedesse e potesse mai ricordarsi di averti visto.

Una sola moltitudine, come diceva il titolo del libro che stava leggendo Anna. A che servono i libri, non si capisce. Però quel titolo gli era rimasto impresso. Chissà chi era quel tale Pessoa che lo firmava.

Le cose non vanno sempre come programmato, rifletté. L’importante è essere pronti a riportare sui binari giusti ciò che l’imprevedibile faceva deragliare verso zone morte.

E lui in questo era un maestro.

«Oh, nera vendetta» come diceva Jago, pensò. O era Otello? Non importa.

La nera vendetta è mia adesso.