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La ventiquattrore scorreva sul nastro trasportatore del metal detector.

Werner la seguiva con lo sguardo in attesa del cenno del poliziotto per avanzare e superare anche lui le forche caudine dei controlli all’aeroporto.

Si era tolto tutto quello che avrebbe potuto far scattare l’allarme. L’ultima cosa che voleva era subire una perquisizione accurata.

Vide la donna in uniforme che studiava le immagini sul monitor allungare il collo come a controllare meglio. Il nastro rallentò fino quasi a fermarsi. Sentì un sudore freddo alla schiena. Poi tutto riprese a scorrere e la donna passò ad analizzare un altro bagaglio.

In pochi istanti la valigetta fu dall’altra parte, in salvo.

Passò anche lui e in qualche minuto era al gate di partenza del suo aereo, con la sua borsa in mano.

È solo una pausa, si disse. Una piccola insignificante interruzione del mio piano. Resterò lontano quel tanto che basta per far calmare le acque. E poi...

C’era un telefono pubblico nell’area di attesa. Fece il numero e disse una parola sola. «Tornerò.»

Poi, senza aspettare risposta, riagganciò e si allontanò velocemente. Il messaggio era chiaro.

«I passeggeri del volo delle 15,45 per San Paolo sono pregati di raggiungere le porte d’imbarco» chiamò la voce della hostess addetta all’imbarco e al controllo dei biglietti.

Si mise diligentemente in fila con gli altri viaggiatori, e quando toccò a lui accolse con un sorriso il «Buon viaggio» della donna.

Seguì la folla lungo il corridoio che portava all’autobus che collegava all’aereo.

Salì a bordo con gli altri.

In breve, il mezzo fu stipato all’inverosimile. Werner si ritrovò schiacciato tra la parete, una donna enorme in rosso e una valigia verde.

Cercò di scostarsi e affrancarsi da quel contatto, invano. Detestava quei sistemi di trasporto arcaici e rozzi, ma non tutto poteva andare come lui avrebbe voluto. E poi, meglio, la folla nasconde, e confonde.

L’importante era salire su quel volo.

Il mezzo arrivò ai piedi della scaletta dell’aereo e si fermò con uno stridio stanco di stantuffi sfondati.

Tutto è vecchio qui, pensò, tutto da dimenticare.

I passeggeri presero a scendere come pecore e lui seguì l’onda.

Si creò una fila compatta.

Davanti a lui c’era la donna enorme. Il suo massiccio posteriore era ammantato da giganteschi pantaloni rossi. Werner la seguì docilmente, si sentiva al sicuro là dietro. Quella barriera scarlatta semovente lo proteggeva e lo guidava verso il domani, la libertà, la ricchezza e i prossimi piani. Primo fra tutti la vendetta.

Fu quindi con un certo stupore, misto a vero e proprio sgomento, che si sentì apostrofare da un uomo in divisa che sostava ai piedi della scaletta.

«Signore» disse il poliziotto.

Il rosso dei pantaloni della donna, che nel frattempo era arrivata in cima alla scaletta, sparì all’interno dell’aereo, come una speranza perduta.

Werner si pietrificò.

«Sì?» riuscì a rispondere.

L’uomo lo fissava con uno sguardo indecifrabile.

«Le è caduto qualcosa» disse infine il poliziotto, indicandogli la carta d’imbarco ai suoi piedi.

Werner la raccolse. «Grazie» mormorò.

Il poliziotto sorrise. «Voleva proprio restare a Roma.»

«Non sa quanto. Ma tornerò presto» disse, riprendendo a salire.