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«Veramente speravo di non rivedervi mai più» disse don Pietro, stringendo la mano controvoglia al commissario Curreri e all’agente Micci.

«Veramente anche noi, ma purtroppo non sempre i sogni si avverano» rispose Curreri.

I due si fissarono in cagnesco per qualche istante, finché il prete non ruppe il silenzio: «Quindi che ci fate qui?»

Il commissario invece di rispondere si guardò intorno. La piccola sala d’aspetto della comunità era in ottime condizioni. Dipinta di fresco, pulita, sedie nuove. L’ultima volta che era stato lì, inseguendo invano un criminale che si fingeva un senzatetto ospite del prete, la situazione dell’edificio era ben diversa. Cadeva tutto a pezzi.

«Complimenti per i lavori. Devono essere costosi» disse infine, sedendosi e facendo cenno a Micci di fare altrettanto.

Il prete non vedeva l’ora che se ne andassero. L’argomento soldi era delicato. «Grazie al cielo possiamo contare sulla generosità dei fedeli» replicò. «Elemosine. Solo piccole elemosine benedette.»

Curreri fece un cenno di approvazione esagerato.

«Saranno milioni, questi fedeli, per mettere insieme tanti soldi. Oppure pochi fedeli, ma ricchissimi, da contarsi sulla punta di due o tre dita, al massimo. Anche su uno solo, di dito. Quello giusto. Che ne dice, padre?»

Calcò un po’ la voce sulla parola «padre» per far capire al prete che a lui non la si faceva, stava sul chi vive.

«Dico che starei qui ore a parlare con voi ma purtroppo le conversazioni portano via tempo e qui di tempo ne abbiamo poco» rispose don Pietro, poi aprì la porta e fece cenno ai due poliziotti di andarsene.

«Arrivederci» disse, troppo gentilmente.

Micci scattò subito in piedi come una molla e si avviò, il ritratto dell’accondiscendenza e della cortesia.

Curreri lo afferrò al volo per un braccio e lo risbatté a sedere. Poi si rivolse al prete, con la massima calma. «Ancora due parole.»

«Non so niente.»

«Ancora non le ho fatto la domanda e lei già non sa niente?»

«Precisamente. Non so niente dalla nascita» si impuntò don Pietro a braccia conserte. «E poi qui dobbiamo lavorare, noi. Non abbiamo tempo da perdere. Noi

Curreri si voltò verso Micci. «Noi invece abbiamo un sacco di tempo da perdere, vero collega?»

«Ecco, veramente...» provò a rispondere il giovane agente. Ma Curreri lo fermò con un gesto rassegnato delle mani.

«Era una domanda retorica, Micci. E in ogni caso è implicito che noi non abbiamo tempo da perdere. Chiaro?»

«Cristallino, capo» rispose il vice prontamente. Poi, sotto gli occhiacci interrogativi di Curreri, aggravò la sua situazione. «Cristallino è, anzi era, cioè, volevo dire...» si impappinò, bloccandosi.

Don Pietro venne in suo soccorso. «Cristallino è una battuta di Codice d’onore. È un film... Lo dice Tom Cruise al suo superiore, il colonnello pazzo Jack Nicholson...» Sottolineò pazzo fissando con intenzione il commissario.

«Complimenti. Adesso facciamo anche i cinofili. Bravi.»

«Cinefili» corresse don Pietro, anticipando Micci e salvandolo da una scenata.

II commissario si alzò senza una parola e cominciò a girare a grandi passi per la stanza, a muso duro. Che ci faccio qui, si chiedeva, devo risolvere casi, non inseguire farfalle o litigare con un prete folle.

Sapeva che il prossimo avanzamento di carriera per lui sarebbe stato l’esilio in una landa desolata ai confini del mondo conosciuto. Doveva combinare qualcosa di buono per evitare di finire alla fortezza Bastiani del deserto dei tartari.

Si piantò in mezzo alla stanza con le mani sui fianchi e fissò il prete. «Sa che quel paraorecchi al collo le sta molto bene?» commentò, con un sorrisino storto.

«È vero, sembra Yoda» disse Micci, con entusiasmo.

«Non ci interessa un fico secco di questo Yoga» sibilò Curreri, «né a me né al prete, hai capito?»

«Comandi, commissario. Comunque è Yoda non yoga. sono due cose divers...» Micci ammutolì sotto lo sguardo del superiore che lo fulminava.

Don Pietro approfittò del momento. «Bene, se abbiamo finito, noi qui avremmo da fare.»

«Anche noi» disse Curreri, rimettendosi a sedere.

«Oh, santa pazienza» sospirò don Pietro rassegnato alzando gli occhi al cielo.

«Caro il mio sacerdote» disse il commissario con finta bonomia, «lei ha ricevuto dall’estero un milione di euro sul conto della comunità. E non si sa chi glieli abbia mandati.»

«La beneficenza non ha nome, caro lei. Se degli sconosciuti donatori vogliono privilegiare questa miserrima comunità di poveri senzatetto con un aiuto, chi sono io per impedirlo? E poi cosa vuole, che lo rimandi indietro, quel denaro? A chi?»

«Me lo dica lei.»

«Ma me lo dica lei, che sa tutto. Io non lo so.»

«Io una mezza idea ce l’avrei.»

Don Pietro era sulle spine. Quel Curreri si muoveva come il pachiderma che era e metteva le sue zampacce in giro a caso senza pensare ai guai che poteva combinare. Però, ogni tanto ci azzeccava. Una vera croce ritrovarselo davanti.

«Ah, sì? E chi sarebbe?»

«Quel barbone che stava qui da lei, tale Smilzo, e che poi è scappato all’estero.»

«Non so di cosa stia parlando, e poi come fa un barbone ad avere un milione, me lo dica.»

Curreri scosse il capo. «Lei è inutilmente reticente, prete. Forse non sa che i carichi pendenti sul suo esimio contumace senzatetto sono caduti in prescrizione. Può parlare.»

Don Pietro continuava a tacere. La faccia di pietra.

Il commissario a quel silenzio congiunse le mani e prese a picchiettare i polpastrelli, tutto concentrato, arricciando la bocca a tirabacio. Era il ritratto del pensatore, ovvero la tecnica di interrogatorio che gli avevano insegnato alla scuola di polizia, dove la prima regola recitava: il bravo poliziotto non parla, fa parlare i sospettati.

Presto però, non riscontrando reazione alcuna, riprese. «Sa, queste leggi moderne che all’improvviso fanno decadere i reati... Il giorno prima hai commesso il fatto e sei colpevole, il giorno dopo hai sempre commesso quello stesso fatto, ma non interessa più a nessuno. Sei innocente come un neonato.»

Oh, meno male, una buona notizia, pensò don Pietro, mascherando il sollievo che provava dietro l’espressione più impenetrabile di cui fosse capace.

«Bella notizia, eh?» lo stanò Curreri.

Questo poliziotto mi legge nel pensiero, concluse il prete. È cretino ma ha il terzo occhio piantato fra quelle sopracciglia da barbablù all’acqua di rose che si ritrova.

«Sono cretino, ma ho un sesto senso, caro il mio prete. Quindi veda di non farsi leggere in fronte quello che le passa per la testa» disse il commissario.

Il povero don Pietro, che fino a quel momento si era creduto una spanna più furbo degli altri e circa una decina di spanne più acuto di quel commissario di borgata, restò disorientato.

Subito Micci lo rincuorò, spiegando: «Ogni tanto il commissario è telepatico».

Curreri chiuse gli occhi e sibilò: «Che stai dicendo, Micci?»

«Che lei è molto intuitivo, capo» semplificò il giovane.

Il prete intrecciò le dita sul petto. «Pace ai vostri turbolenti spiriti» sospirò.

Il commissario allungò le gambe davanti a sé, si accomodò meglio sulla sedia e riprese: «E adesso vogliamo parlare da uomo a uomo?»

Don Pietro si accasciò a sedere di fronte ai due.

Ce l’ho in pugno, pensò Curreri, ora lo tengo sulla corda, lo torchio per bene e allontano da me il calice amaro del pattugliamento stradale. «Voi preti siete esentati da tante cose, ma quel milione di euro che è arrivato sul suo conto è un problema» disse Curreri.

«Ma se ha appena detto che è finito tutto in prescrizione!» sbottò il prete.

«E infatti basta pagarci le tasse e va tutto a posto» intervenne incoraggiante l’agente Micci.

Il commissario fulminò il sottoposto con un’occhiataccia.