Mia Kerick
TJ ed Eric,
Questo è il post che ho lasciato sulla pagina Facebook di TJ il 20 gennaio 2014:
Mi è appena successa una cosa incredibile. Ho letto l’ultimo aggiornamento di TJ Klune sull’altalena di emozioni che sta vivendo insieme al suo fidanzato, Eric Arvin. Nel post parlava delle lacrime versate alla partenza di Eric, così ho deciso di cercare online una frase che mi aiutasse a esprimere i miei sentimenti su quell’emozione tanto intensa – una frase che potesse anche essergli di conforto. Ho sfogliato pagine e pagine di citazioni prima di trovare quella perfetta. E quando ho guardato chi fosse l’autore per poterlo accreditare, ho letto questo:
“Ti aspetterò,” disse, la mano che gli cadeva lungo il fianco. “Penso che potrei aspettarti per sempre.”
– TJ Klune
Come ho detto, ho scritto questo messaggio in risposta al sentitissimo post in cui raccontavi quanta fatica hai fatto per non piangere quando Eric ha dovuto lasciare la clinica respiratoria in Virginia per raggiungere il nuovo ospedale nell’Ohio. A quel punto era chiaro che avevate passato difficoltà mostruose, ma in qualche modo, l’idea che non poteste più stare insieme faceva ancora più paura.
Adesso, TJ ed Eric, l’attesa è finita. Adesso potete avanzare verso il futuro, costruirvi una nuova normalità, spingervi oltre i limiti esistenti, accrescere il vostro amore come coppia, e lo farete insieme.
E insieme sarà un viaggio epico.
Giugno dopo il nostro primo anno di università
AVEVAMO ORGANIZZATO questo viaggio durante le vacanze di primavera del primo anno, quando Timmy aveva trascorso la settimana da me a Hopkins. Diciamo che ne avevamo organizzato una parte, poi ci eravamo spostati sul letto a fare altro, e poi avevamo ripreso, e sì, ormai avete capito cosa avevamo fatto dopo ancora. Siccome nessuno di noi aveva da lavorare durante la settimana, credevamo di avere un mucchio di tempo per pensare al viaggio post-esami sulle White Mountains – viaggio che avrebbe sostituito quello che avevo regalato a Timmy per Natale all’ultimo anno di liceo e che poi non avevamo mai fatto. Ma come ho detto, quei due letti singoli nella mia piccola camera da letto si rivelarono una grossa distrazione. Non che me ne lamentassi.
A papà non avevano nemmeno dato le ferie quella settimana. Povero papà…
Eh eh eh.
Così io e Tim eravamo rimasti soli per sette giorni…
E avevamo sfruttato di brutto quel tempo.
Durante gli ultimi sei mesi insieme, io ero come diventato dipendente dal tocco della sua pelle – ma che diavolo, che potevo farci? Era così liscia e morbida, dalla testa ai piedi – e di questo mi ero accertato personalmente. Beh, in effetti aveva ancora le tracce delle cicatrici lasciate dalla cintura del patrigno, incise in marchi ben profondi sulla schiena, ma avendoli visti gonfi e sanguinanti, ora mi sembrava tutto normale e parte del suo bellissimo incarnato. Dicevo, mi piaceva da pazzi ascoltare i suoni che faceva Timmy quando gli mettevo le mani addosso – tipo squittii, acuti e adorabili. Quei gridolini erano probabilmente la parte migliore del fare l’amore con lui, perché mi dimostravano che stava perdendo il controllo e, a dirla francamente, la cosa mi eccitava. Lui diceva che la parte migliore del farlo con me era il mio sapore. Sì, lo so che sembra da svitati, ma Timmy diceva che avevo un sapore paradisiaco, e penso che si riferisse a tutti i punti del mio corpo. Fortuna mia.
Lanciai uno sguardo al lato passeggero della Ford Focus grigia che avevamo noleggiato quella mattina per il viaggio in macchina fino a Wallace, nel nord del New Hampshire. Il mio SUV era vecchiotto, e avevo paura che se avessimo cercato di farlo salire in montagna si sarebbe rotto definitivamente. Timmy era stravaccato contro la portiera. Da quando ci eravamo rimessi insieme, l’ultimo Ringraziamento, aveva lasciato crescere i riccioli, che al momento gli ricadevano sulla fronte come un drappo luminoso di seta castano chiaro. E ammetto che al mio cuore bastava tipo vederlo per stringersi. Anche dopo sei mesi insieme, ogni volta che lo guardavo mi giocava sempre lo stesso scherzo.
“Benny, stai bene? Sei stanco di guidare?” Timmy sbadigliò e sollevò la testa dal finestrino mezzo aperto a cui era rimasto appoggiato per quasi un’ora. Aveva un bollo rosso sulla fronte che avrei voluto baciargli.
“Sta tranquillo, Nort. È un viaggio breve.” Gli tirai un braccio. “Perché non ti appoggi alla mia spalla invece che alla portiera? Staresti più comodo.”
E io potrei giocherellare con quei bei capelli…
Timmy cambiò posizione e si lasciò cadere oltre il sedile, la testa appoggiata al mio gomito. Già mi bastava.
Ero piuttosto sicuro che l’autostrada che stavamo percorrendo fosse la Route 62; era un’autentica strada di campagna, tipo pini ovunque. Speravo che non avessimo mancato l’uscita, visto che mi sembrava di guidare da un anno, ma non rallentai. Ero impaziente di arrivare all’hotel per il solito prevedibile motivo (eh eh eh), ma non potevo esattamente sollevare il culo e prendermi il telefono dalla tasca dei jeans per controllare il percorso, perché avrei svegliato Timmy – e a giudicare dalle ultime novità nella sua vita, aveva bisogno di riposare.
Un cartello… c’era un cartello più avanti, e sperai che mi avrebbe fornito qualche indizio più preciso su dove ci trovavamo, così rallentai quanto bastava per leggerlo senza disturbare il sonno del mio ragazzo. Appena sfiorai i freni, però, Timmy cominciò a risollevare la testa, così gli infilai le dita nelle ciocche, soffici come quelle di un bimbo, e mi misi a tracciargli dei cerchi sul cuoio capelluto. Dopo un paio di quegli adorabili squittii, tornò a dormire come un sasso.
Benvenuti ad Ashton, NH, luogo ideale per trascorrere le vacanze! Popolazione 1662 abitanti. Fondato nel 1764. Attenzione: potreste non voler partire mai più!
Sì! Il cartello parlava di vacanze, quindi immaginai che fossimo nella direzione giusta. Ci aspettavano giorni di passeggiate e nuotate e bei paesaggi e pausa dalla vita reale, così mi rilassai nel sedile finché non mi accorsi che eravamo quasi senza benzina.
Ora di fermarsi. Tra l’altro avevo sbevazzato la Gatorade rossa come se fosse l’ultima occasione della mia vita, e dovevo pisciare.
Fortunatamente per noi, poco più avanti sulla destra c’era un bivio – che non avrei notato se non fossi stato in cerca di un qualsiasi segno di civiltà – e sperai che mi conducesse a un benzinaio dove fare rifornimento. Era segnalato da un piccolo cartello bianco che avevo già visto prima e che recitava 62A, quasi completamente coperto dai rami. Svoltai, pensando che tanto non potevo smarrirmi più di così.
Dopo qualche miglio lungo un altro tratto pieno di alberi, stavo cominciando a temere che la città di ‘Ashton’ esistesse solo nei miei sogni, quando intravidi una luce gialla lampeggiante e un vero cartello stradale. Incrociando le dita, pregai brevemente di trovare la civiltà in questa Via dei Pini.
Era una strada piena di buche, e pensai: Siamo nel New Hampshire – perché non l’hanno riasfaltata? Ogni trenta metri dovevo schivare voragini giganti. Ma per tutti i diavoli, la dea bendata mi stava sorridendo come faceva alle volte, perché la Via dei Pini si trasformò presto in un’autentica cittadina, sebbene un po’ antiquata. C’erano negozietti qua e là, qualche ristorante… i marciapiedi eccetera eccetera. E vidi persino qualche autentico essere umano camminare su suddetti marciapiedi.
E grazie a Dio, c’era un benzinaio, non molto grande, in effetti. Aveva una sola pompa di benzina di fronte a una minuscola bottega con la facciata rossa sbiadita e una serie d’insegne – marche di dolci, cola, birra e ‘Si vendono lombrichi’.
Non mi fermai subito alla pompa. Parcheggiai la Focus sull’altro lato del lotto in terra battuta e aspettai che Timmy si svegliasse.
La settimana prima
“NORT, ULTIMAMENTE non sei più lo stesso. Io e te, non siamo più gli stessi.” Finalmente, dopo due settimane a giocare al gatto col topo, ero riuscito a metterlo con le spalle al muro. Eravamo al campo di baseball dopo l’ultimo esame del semestre, per iscriverci al ballo d’autunno per quelli del secondo anno. E visto che non ero rimasto solo con lui nemmeno una volta durante le ultime due settimane, mi mancava da morire. Mi mancavano le nostre discussioni private. Mi mancava fare l’amore. “Non è normale che le cose fra noi non funzionino.”
Quando avevo intravisto gli occhi di Timmy, che si scostavano da me per posarsi sul campo deserto, avevo capito di averci azzeccato. C’era senz’altro qualcosa che non andava.
“E poi, stavolta non hai studiato come a gennaio. Forse la metà, ma non ne sono sicuro. E tutte le feste…”
Timmy aveva dato un calcio al terreno sotto la panchina su cui sedeva. “Tutti vanno alle feste, Wellsy. Tranne te.”
“Nemmeno tu, Timmy – tu avevi smesso. Non c’eri più andato neanche una volta dal liceo, prima che partissi. Questo fino alle ultime settimane. E ultimamente ci vai tipo tutte le sere, anche se non ti sbronzi più come una volta.” Nelle ultime settimane si era limitato a un paio di birre, ma erano sempre un paio di birre in più rispetto al liceo. Non avevo intenzione di mentire né a me né a lui – ero preoccupato all’idea di dove potevano portarlo.
“Va bene, non ci vado più.” Si era alzato e si era fermato accanto a me. Aveva appoggiato la mano sulla mia, aggrappata alla rete metallica che cingeva la casa base, e mi aveva rassicurato di nuovo: “Non ci vado più, va bene?”
Girandomi a guardarlo, avevo inspirato a fondo per mantenere la calma. “Tu vai alle feste solo quando vuoi scappare. E sai già che scappare non funziona. Quello che funziona, T-man, è parlare dei tuoi problemi con me.”
Sarebbe stato impossibile ignorarlo: gli occhi grigi di Timmy, che fissavano i miei come se si nutrissero della mia forza, erano così maledettamente belli nella luce del primo pomeriggio. Scuri e luminosi al tempo stesso – mi era sembrato di guardargli l’anima. Quest’uomo era davvero la mia anima gemella, il mio miglior amico e il mio amante, nonché l’unica persona con cui volessi condividere ogni aspetto della mia vita. Non lo avrei lasciato ricadere nelle vecchie abitudini – cattive abitudini – che lo ferivano e lo allontanavano da me.
“Scusami se mi sono comportato così, okay? Ma è difficile, Wellsy…”
“No… non è difficile, se ne parli con me.” Nella foga del momento, lo avevo stretto fra le braccia e attirato al mio petto. Mi era sembrato più ossuto di quanto fossi abituato, come se ultimamente non avesse mangiato bene. “Ti amo, Timmy. I tuoi problemi sono anche miei, capito?”
La sua testa aveva fatto su e giù sulla mia spalla.
Capendo che era finalmente pronto a parlare, l’avevo riaccompagnato alle panchine e ci eravamo piazzati sul metallo scaldato dal sole. Prendendogli quel viso delicato fra le mani, lo avevo invitato: “Parla con me, Timmy.”
“QUEL TIPO è l’uomo è più grosso che abbia mai visto.” Timmy era sveglio adesso, e dalla posizione a cavallo fra i due sedili fissava fuori dal mio finestrino con gli occhi grigi spalancati.
“Cazzo, è mastodontico,” dovetti concordare. Cioè, io ero grande, ma questo tizio mi faceva sentire uno gnomo. Restammo entrambi a fissarlo inebetiti mentre usciva dalla bottega, coi capelli scuri, il fisico enorme e le braccia piene di taniche di liquido lavacristalli.
“Peserà centocinquanta chili.”
“Hai mai visto due cosce così?”
“Cazzo, sembrano tronchi d’albero…” Timmy ridacchiò, e pur senza capire bene il perché, lo trovai troppo carino.
Abbassai il mento per baciargli il cocuzzolo. Avevo sempre amato il suo odore – continuava a usare lo shampoo per bambini perché sapeva che mi faceva impazzire. In senso buono. “Dev’essere il benzinaio. Il cartello dice che il servizio è sempre attivo.”
“Già.” Timmy sbadigliò a bocca spalancata, come se fosse proprio soddisfatto del pisolino. “Non è un po’ assurdo che non possiamo farci benzina da soli? Pensavo che qui a nord i benzinai fossero tutti self-service.”
Annuii, ma non accesi ancora la macchina. Prima di fare benzina, volevo chiarire un paio di cose che mi giravano in testa dalla settimana prima, quando avevamo parlato al campo da baseball. “Era tua mamma che ti ha chiamato? Stamattina, quando eravamo in albergo?” Timmy si era allontanato per parlare al telefono mentre facevamo colazione. Non avevo fatto storie, ma adesso volevo i dettagli.
“Ben, non mi sono allontanato perché non volevo che sentissi. È solo che c’era casino al ristorante.”
Lo avevo già intuito, ma mi fece piacere sentirglielo confermare. I segreti fra noi non funzionavano proprio. “Avanti, dimmi.”
“Tanya è veramente incinta.”
Annuii, perché lo sospettavamo da un pezzo. Diciamo solo che c’erano vari indizi a suggerire che la sua sorellina fosse ‘in dolce attesa’.
“Vuole tenerlo, non vuole darlo in adozione… Cazzo, Wellsy, Tanya ha solo quattordici anni! Come diavolo farà a badare a un figlio?” Gli occhi di Timmy si fecero umidi. Sapeva che questo bambino avrebbe complicato la vita già complicata di sua sorella.
Annuii di nuovo, sapendo che non ero lì per giudicare. Ero lì per ascoltare.
“Sappiamo entrambi che mamma non sarà di grande aiuto, visto che manco riesce a badare a se stessa. E gli zii dicono che non sono sicuri di voler continuare a ospitare Tanya se decide di tenere il bambino.”
Riflettei su questa situazione di merda per un paio di minuti. Non c’era molto che potessimo fare per lei. “Ci siamo noi, Tim, io e te… per lei e per il bambino.”
“Sì, come c’ero l’anno scorso quando si è scopata un compagno di scuola ed è rimasta incinta?” Mi accorsi subito che Timmy aveva appena ammesso la vera origine del proprio dolore. Ora aveva le lacrime che gli scorrevano per le guance, l’espressione sul suo viso si era fatta colpevole. Accusava se stesso della gravidanza della sorella, così come del mezzo tentativo di fuga dalla casa dello zio paterno, dove aveva vissuto da quando la loro famiglia era andata in pezzi più di un anno fa. E io sapevo per certo che era da questa colpa che scappava quando si era allontanato, alla fine dell’anno scolastico. “Sono suo fratello maggiore e l’ho lasciata da sola, così si è trovata un coglione con cui uscire per rimpiazzarmi.”
“Non è colpa tua.” Lo avrei convinto a crederci.
In quel momento, l’uomo gigante alla pompa di benzina si fermò dov’era, lanciò uno sguardo alla nostra Focus, e incrociò le braccia megaenormi al petto, inclinando la testa come per valutarci. O forse come per proteggere qualcosa di importante. Gli rivolsi un cenno e un mezzo sorriso in stile tranquillo-non-facciamo-danni, ma lui non ricambiò – fece spallucce e tornò nel negozio.
Spero proprio che non chiami gli sbirri, perché è l’ultima cosa di cui Nort ha bisogno in questo momento.
Meno di un minuto dopo riemerse, stavolta tenendo per mano un tipo molto più piccolo e fragile. E mentre camminavano verso l’esposizione di taniche di lavacristalli, pareva che quello grande e grosso volesse convincere l’altro, più giovane e magrolino, a oscillare le mani congiunte. Il piccolo aveva i capelli biondi e la pelle chiarissima – mi sembrava di vederlo arrossire anche dall’altra parte del parcheggio. Ma non era un rossore di imbarazzo o irritazione. Era il rossore di chi sa di essere al centro del mondo per un’altra persona.
“Sembrano innamorati, eh, Ben?”
“Proprio come noi.” Non potei farne a meno di dirlo, visto che lo pensavo davvero. E lo avrei ricordato a Timmy a ogni occasione che avessimo avuto.
Avevo appena finito la frase che Timmy si staccò da me, riaggiustandosi sul suo sedile. “Mi dispiace un casino di essermi comportato da stronzo nelle ultime settimane… mi sento una merda, sappilo.”
“Tranquillo, è acqua passata. Ne abbiamo parlato, ora è tutto a posto. Mi sei mancato un sacco.”
“Mi sentivo in colpa per la gravidanza di Tanya, così ho cercato di separarmi da te, perché pensavo che avrei dovuto mollare il college per prendermi cura di lei. Ho pensato che se il ragazzo che perdevi era un coglione fissato con le feste, ci saresti stato meno male.”
Non mi piaceva affatto questa cosa, ma aveva perfettamente senso, e sembrava proprio nello stile del Timmy che conoscevo.
“Non succederà mai, perché la laurea ti serve e la prenderai. Che razza di stabilità pensi di darle se abbandoni la scuola?”
“Adesso l’ho capito. E mi dispiace per Tanya, ma questa storia mi ha insegnato un casino di cose. È come se… come se finalmente stessi cominciando a capire che ho te, tuo padre e i miei genitori adottivi dalla mia parte e pronti ad aiutarmi quando sono nella merda fino al collo.”
Aveva ragione – eravamo tutti lì per lui – e a vedere che finalmente c’era arrivato da solo, pensai che meritasse un premio. “Vieni qui e baciami.” Aprii le braccia e mi sporsi, e Timmy m’incontrò a metà strada. Le nostre labbra si conoscevano bene quanto i nostri cuori, per cui fu un grande bacio. Onesto e autentico e tutto Timmy, che in effetti era l’unica cosa di cui m’importava. Quando finalmente ci lasciammo andare, misi in moto l’auto e guidai fino alla pompa di benzina.
Il tipo più piccolo si avvicinò al finestrino. “Il pieno?”
“Sì, certo… grazie.” Ci serviva il serbatoio ben fornito, visto che contavamo di andare prima all’hotel, poi alle piste da bob sulle montagne, poi al Wallace Center per il minigolf, e infine tornare alla base e fare una passeggiata nei dintorni. Il tizio enorme rimase a osservare l’addetto che ci faceva benzina, nello sguardo una certa fame e un desiderio che non faticavo a comprendere. Quello che era curioso, però, era la protettività dell’espressione, come se fosse deciso a far sì che al suo ragazzo non capitasse niente di male. Mi sentii avvampare, perché anche se sapevo che era strano, il modo in cui guardava il tipo che ci faceva il pieno mi era familiare. Perché l’espressione negli occhi del tizio enorme, lo sguardo della serie lo-amo-lo-voglio-e-me-lo-tengo-per-sempre catturavano perfettamente l’amore che provavo io per Timmy. Diciamo che era una cosa forte da vedere.
Mentre il serbatoio si riempiva, Timmy e io scendemmo dall’auto e andammo uno per volta al gabinetto. E quando io pagai per la benzina e di nuovo ringraziai l’addetto per il servizio, notai che il tizio grande mi stava fissando come se sapesse che avevamo qualcosa in comune.
“Carlos, vai a prendere il resto mentre gli lavo i vetri?” Il biondo porse al suo partner la banconota da cinquanta che gli avevo dato.
“Certo, tesoro.”
“Nah, tenete pure il resto,” replicai io.
Il tipo grande e grosso mi fece l’occhiolino.
Io e Timmy rientrammo in auto.
RIPARTIMMO DOPO aver controllato il percorso sul cellulare. Stavo guidando da dieci minuti sulla Riverview Highway, appena fuori Ashton, quando mi venne un’illuminazione. “Tu hai fame, Tim?”
“Un po’.”
“Ma tipo, muori di fame? Ti spiace se ritardiamo di qualche minuto?” Speravo in un tempo più lungo, ma ehi, in fondo…
“Nah, figurati. Sto bene per ora. Vuoi fermarti da qualche parte?”
Non l’avrei detto così ad alta voce, ma non facevo l’amore con Timmy da quasi tre settimane, e avevo bisogno di lui. E non solo tipo valvola di sfogo. Volevo riconnettermi con lui. Non potevo aspettare il letto dell’albergo.
Guidammo in silenzio per un altro paio di minuti finché non vidi il posto giusto, subito dopo un ponte di legno che doveva essere stato costruito almeno cent’anni prima. Non sapevo come facevo a saperlo, ma sotto il ponte c’era il posto perfetto. E dalla strada vidi un piccolo sentiero che scendeva per l’argine ripido e conduceva al fiume.
Il mio cuore sentiva il richiamo delle virtù depuranti dell’acqua sotto di noi, così accostai.
“C’è qualcosa qui?” Timmy scrutò i boschi fuori dalla macchina.
Mi slacciai la cintura e mi voltai a guardarlo. “Ci siamo noi, Timmy.”
Timmy inclinò la testa e mi guardò incuriosito, ma non disse niente.
“Dai, usciamo.”
Non era tipo da questionare ogni minima cosa, così annuì e si slacciò la cintura. Gli lanciai uno sguardo prima di aprire la portiera, e sentii un’ondata di desiderio così forte che pensai di attirarlo a me nell’auto. Ma qualcosa mi diceva che dovevo stendermi sul suolo fresco e umido con l’uomo che amavo, in quest’ambiente boscoso e tranquillo dove potevamo sentire il fiume scorrere accanto a noi.
Ci incontrammo accanto al portellone dietro. L’aprii e presi il mio sacco a pelo. Avevamo previsto di passare solo un paio di notti in hotel e le altre a campeggiare in montagna, per cui ci eravamo portati tutto l’occorrente. Prima di chiudere il bagagliaio, però, frugai nel borsone in cerca della bustina trasparente dove avevo messo le cose da bagno. Quando riemersi con un tubetto di lubrificante in mano, Timmy arrossì dolcemente e abbassò lo sguardo sul terreno coperto di muschio.
“Andiamo un po’ più vicini al fiume.” Non sapevo perché, ma qualcosa mi diceva che dovevamo scendere laggiù – tipo per connetterci meglio. L’ombra fresca, lo scorrere purificante dell’acqua…
Questo è un luogo dove possiamo rinnovare il nostro amore.
Di nuovo, Tim annuì e afferrò la mano che gli porgevo.
Il terreno era piuttosto ripido, e tenerci per mano rendeva difficile mantenere l’equilibrio, ma non ci importava, e restammo uniti. Dopo una quindicina di metri, trovammo una superficie quasi del tutto piana con una splendida vista sul vecchio ponte, così aprii la zip del sacco a pelo e lo allargai per terra. Senza proferir parola, Timmy si sfilò le ciabatte e la t-shirt. Poi, senza sbottonarli né abbassare la cerniera, si liberò dei jeans e insieme dei boxer, che gli scesero lungo i fianchi e le gambe magre. E così me lo ritrovai di fronte, tutto nudo, che mi fissava negli occhi con un’innocenza che non mi aspettavo. Raggiunse il sacco a pelo e, una volta lì, cadde in ginocchio.
“Voglio fare l’amore con te, Timmy…” Sapevo esattamente quale piacere mi stava offrendo, e sapevo quanto ne aveva bisogno, e la verità era che lo volevo anch’io più di quanto potessi esprimere a parole. Ma dovevo trovarmi dentro di lui… nel senso di farci l’amore insieme.
“Lasciamelo fare per un po’, okay?” Aveva gli occhi grandi e affamati. E sapevo che Timmy adorava tenermi in bocca. Una volta mi aveva detto che lo faceva sentire unito a me in modo speciale. Così mi piazzai di fronte a lui e abbassai la cerniera. Timmy prese l’iniziativa di infilarmi le mani nei jeans e nei boxer per portare alla luce il mio uccello. La sola sensazione delle sue mani su di me mi fece gemere. “Adesso ti bacio qui…” Toccò la punta con un dito e sollevò ancora una volta lo sguardo su di me. E poi mantenne quello che aveva detto.
Dovetti chiudere gli occhi di fronte alla sensazione della mia erezione che veniva improvvisamente avvolta nella calda umidità della sua bocca. Non mi succhiò con forza, sapendo che non volevo venire lì; piuttosto mi lavò con la lingua, assaporandomi senza fretta, guardandomi, lasciando che il suo affetto si rivelasse ancora di più nei suoi occhi. Nel giro di dieci secondi, però, le palpebre gli scesero e cominciò a gemere anche più forte di me. Sapevo che si stava ricongiungendo a me in un modo che per lui era importante.
Dopo un paio di minuti, dovetti allontanarlo. Erano settimane che non facevo l’amore con lui, e se avesse continuato, non ci sarei riuscito neanche adesso. “Stenditi, Timmy.” Ancora in ginocchio, mi guardò con quei bellissimi e profondi occhi grigi, e si permise un piccolo sorriso soddisfatto. Il che mi diede la motivazione a strapparmi subito gli abiti di dosso, accertandomi di non perdere il lubrificante, e ad allungarmi accanto a lui sul sacco a pelo. Il suolo della foresta era sconnesso e freddo sotto di noi, ma a nessuno dei due importava un cavolo.
Timmy si schiacciò contro di me, premendo il petto contro il mio. Alzò una mano e mi fece scorrere le dita sulla spazzola di capelli biondi, avanti e indietro, avanti e indietro. “Hai un buon sapore, Benny. Mi sei mancato così tanto…” La voce si spezzò mentre parlava.
E io sentii gli occhi riempirsi di lacrime di fronte all’intensità di quelle parole. “Abbiamo risolto tutto. Lo facciamo sempre.” Ci pensai un altro po’, e aggiunsi: “Ci saranno sempre problemi. T-man. Ma noi sappiamo come lavarli via, giusto?” Allungai una mano dietro di lui, le dita già bagnate di lubrificante. “Adesso ti preparo.”
Mi strinse forte la vita e io mi misi al lavoro, aprendolo e dilatandolo con le dita per poter entrare. Lui iniziò subito a emettere i suoi adorabili squittii, che mi resero fin troppo impaziente di scendere in pista. Quando capii che era pronto per me, lo feci girare sulla schiena, gli sollevai le gambe e le issai sulle mie, adorando la sensazione di tutta quella pelle a contatto e più che felice che non ci servissero preservativi, visto che avevamo fatto sesso sempre e solo insieme.
“Ti amo, Benny… Mi dispia…”
Mi abbassai e interruppi le sue scuse con un bacio. “Non ti preoccupare, non è successo niente. Adesso che l’abbiamo risolto, siamo più forti di prima… è tutta acqua passata.” Mi spinsi dentro di lui, deciso e regolare, senza rallentare nemmeno un po’ al suono dei suoi mugolii.
E poi, mentre mi muovevo dentro e fuori dal mio miglior amico al mondo, ci fissammo, entrambi rapiti dall’intensità del nostro legame. A un certo punto lui disse qualcosa tipo: “Troppo blu”. E io sapevo che stava parlando dei miei occhi, ma le parole mi fecero pensare al fiume che scorreva puro sotto di noi.
“Ti amo… sarai mio per sempre,” mi sfuggì dalle labbra almeno un paio di volte.
“Non vado da nessuna parte… voglio stare con te, Ben…” Sembrava che Timmy concordasse.
Continuammo ad ansimare smancerie di quel tipo e a fissarci come due amanti dal destino avverso finché non ci avvicinammo all’orgasmo, al che Tim mi lasciò andare con un braccio per potersi afferrare l’uccello. Poi entrambi ci abbandonammo ai movimenti frenetici. E fu una cosa stellare. Fu come la prima volta di nuovo, ma meglio, perché sapevamo entrambi cosa ci faceva godere di più.
Lasciai che il mio amore fluisse in lui nello stesso istante in cui lui lasciò libero il suo.
E quando finimmo e restammo sdraiati uno accanto all’altro, completamente esausti, sul terreno della foresta, a guardare gli alti pini e ad ascoltare lo scroscio dell’acqua che lambiva il vecchio ponte, accadde la più strana delle cose. Mi ritrovai a pensare all’espressione d’amore sul viso di quel gigantesco uomo dai capelli scuri mentre guardava il suo partner che ci faceva benzina.
Quello che avevo visto nei suoi occhi era devozione completa… e di tutti i posti, l’avevo vista da un cazzo di benzinaio. E sapevo che era lo stesso identico tipo di devozione completa che provavo per l’uomo steso accanto a me, ancora intento ad ansimare dopo che avevamo fatto l’amore, un braccio abbandonato sul mio petto. La provavo quando pranzavamo insieme in mensa, quando dormivamo appiccicati nel mio letto singolo a Hopkins, così come quando eravamo stesi sul terreno in una foresta, ad ascoltare il rumore dell’acqua che scorreva. Il nostro amore non aveva bisogno di un lettone matrimoniale o di champagne per essere perfetto – doveva solo essere lasciato libero di scorrere e cambiare e adattarsi, nel bene e nel male, così come l’acqua scorreva senza sforzo per le scanalature del tetto del ponte coperto lì accanto.
“Ho un po’ fame…” borbottò Timmy contro la mia spalla.
“Mhmm. Anch’io,” risposi, sugli echi del fiume.
“Però abbiamo ancora qualche minuto, vero, Wellsy? Prima di andare via, dico.” I begli occhi di Timmy s’incresparono, come se stesse architettando qualche marachella.
“Adesso cos’hai in mente?”
“Ti do un indizio… comincia per ‘bagno’ e finisce per ‘nudi’.”
Sul viso mi comparve un ghigno.
“Voglio entrare in acqua con te. Voglio immergermi tutto e riemergere baciandoti.”
Mi sembrava una rinascita. “Mi piace l’idea.” Non riuscivo a smettere di sorridere.
Tutti nudi ci alzammo in piedi, afferrammo il sacco a pelo e i vestiti, e ci dirigemmo barcollanti verso il margine del fiume.
E sapevo, mentre guardavo Timmy che immergeva un alluce in acqua, che un amore come il nostro avrebbe continuato a scorrere per sempre. Non aveva un vero inizio e una fine. Era una passione che correva, che cambiava, che si scavava con cautela la strada fra le rocce, e prendeva forza sulle distese piane… magari infilandosi sotto un ponte. Ma trovava sempre una via per l’oceano.
Sempre.