VERDETTO FINALE

Cardeno C.

 

 

A Eric e TJ, con affetto e l’augurio di un futuro luminoso.

 

 

I.

 

“DOVE ANDIAMO?” chiese Esav Walters mentre cercava di incastrare i suoi due metri nell’abitacolo della BMW dell’amico, ritrovandosi le ginocchia praticamente piantate in gola. “E perché ti ostini a spendere fior di quattrini per una macchina che beve come un cammello e non ha neanche lo spazio per le gambe?”

“È una BMW,” replicò Brendan Jones, uscendo in retromarcia dal vialetto della sua casa.

“Non è una risposta,” intervenne Paul Richter dal sedile posteriore.

“Non siamo in aula. Non ho l’obbligo di rispondere alle domande idiote di Esav.”

Quest’ultimo scosse la testa. “Le mie domande non sono mai idiote e tu non sei mai entrato nella mia aula.”

“E chi l’ha deciso, Giudice Walters?” ribatté l’altro con un tocco di sarcasmo.

“La Commissione etica dell’ordine degli avvocati, la normativa etica che regola i giudici federali e il buon senso,” rispose Esav.

“Credo che all’università Brendan l’abbia saltato, il corso di etica,” fece Paul dal sedile di dietro.

“’Fottiti,” ribatté Brendan mentre s’immetteva nel traffico.

“Proprio quello che credo facessi tu durante quel corso,” rilanciò Paul.

“Ehi, siete sicuri di voler uscire?” chiese Esav. “Perché potete sempre fare dietrofront, riportarmi a casa e poi andare a risolvere la questione da un’altra parte.”

“Risolvere cosa?” domandò Brendan.

“Secondo lui abbiamo una voglia matta di scoparci a vicenda, ma non lo facciamo ed è per quello che siamo sempre a battibeccare,” spiegò Paul.

“Oh. Lasciamo perdere la storia dell’aula. Odio quando devo presentarmi davanti ai giudici tonti. Di’ la verità Esav, a chi l’hai dovuto succhiare per ottenere la carica?”

“Quello che Brendan sta carinamente cercando di dire è che non c’è nessuna tensione sessuale tra noi,” tradusse Paul. “È che proprio ci piace stuzzicarci a vicenda.”

“Però neanche il sesso è male,” aggiunse distrattamente l’altro. “Ehi, dove hai detto che si trova questo posto?”

“Tra Washington e la First Avenue. Il vecchio tribunale.”

“Perché andiamo in tribunale di venerdì sera?” domandò Esav.

“Il vecchio tribunale,” scandì Brendan. “Dopo aver costruito quello spreco di denaro pubblico di metallo e marmo che è il nuovo tribunale, la contea ha venduto il vecchio edificio e qualcuno l’ha trasformato in un winebar barra caffetteria barra galleria d’arte barra libreria.”

“Un sacco di barre,” disse Esav.

“A quanto pare è un posto molto figo e sono io che guido, quindi è lì che si va.”

“Per favore, la prossima volta che mi chiedete di uscire con voi, ricordatemi di rifiutare.”

Di lì a poco, si fermarono vicino a un edificio di mattoni bianchi che sul davanti esibiva la scritta Verdetto finale in enormi lettere di metallo. Un mezzo muro di legno e mattoni racchiudeva un’area sul lato sinistro, andando a creare un patio a sé stante, sommerso in un caldo bagliore dato da file di lampadine a bulbo che penzolavano ovunque sopra allo spazio. Sul davanti c’erano alberi e fiori appena piantati, messi in evidenza dalle brillanti luci da giardino. Una folla di persone era raccolta fuori dalle alte porte di legno e dall’interno proveniva il suono di musica e risate.

Esav era passato chissà quante volte davanti a quell’edificio nel corso degli anni, ma non vi aveva mai prestato troppa attenzione. Ora, però, era impossibile non notarlo.

“Vedi? Che ti avevo detto?” esclamò Brendan non appena ebbe parcheggiato. “È qui che si deve essere.”

“È grandioso,” concordò Paul.

Esav, da parte sua, grugnì qualcosa d’incomprensibile.

Brendan si tuffò fuori dalla macchina e raggiunse Paul, che in qualche modo era riuscito a essere anche più veloce. Esav, invece, imprecava sottovoce nel tentativo di districarsi e uscire senza procurarsi qualche livido.

“La odio, questa macchina.”

“Oh be’, tanto peggio per te. L’auto è bella e non è colpa mia se tua mamma ti ha tirato su con gli ormoni della crescita, anziché le vitamine.” Ma prima che lui riuscisse a ribattere con qualcosa di adatto a un luogo pubblico, Brendan disse: “Andiamo, ” e afferrando la mano di Paul, si precipitò verso l’entrata.

Esav si raddrizzò la camicia, si passò le dita tra i capelli neri e li seguì con passo rilassato. Il bar non sarebbe scappato.

Quando mise piede all’interno trovò Brendan e Paul fermi ad aspettarlo. I sontuosi soffitti attraversati dalle travi in legno si alzavano fino a una decina di metri sopra le loro teste, mentre la parte alta delle pareti era occupata da vetrate colorate che rappresentavano la dea della giustizia, sotto alla quale, sull’intonaco color crema, erano appese dozzine di dipinti e fotografie.

“Wow,” disse Esav guardandosi attorno. “È incredibile.”

“Visto?” ripeté Brendan, senza riuscire a stare fermo. “Dovremmo visitare la caffetteria e il negozio di libri, ma prima…”

Paul gli mise un braccio attorno alle spalle e insieme diressero lo sguardo verso un punto dietro Esav, gridando: “Bar!”

Lui sorrise dell’esuberanza dei suoi amici, si girò e cominciò a farsi strada tra la folla. Vista la sua altezza la cosa risultava abbastanza semplice, perché le persone tendevano a farsi da parte per paura di essere travolte.

Si diresse verso quello che una volta era il banco del giudice, ma che ora era stato trasformato in un lungo bancone da bar. Le vecchie pale del ventilatore che lo sovrastava erano state convertite in candelabri e dietro, due enormi librerie erano diventate scaffali su cui appoggiare bicchieri e liquori. E, tra i due mobili, c’era un dipinto che lo bloccò sul posto.

“Ahi,” esclamò Brendan andandogli a sbattere contro.

“Almeno avvisa prima di fermarti all’improvviso,” fece Paul.

Ipnotizzato dal quadro, Esav li ignorò entrambi.

“Oh, di qua!” disse Brendan, che evidentemente aveva scorto un’apertura in mezzo alla folla.

“Andiamo Esav,” lo chiamò Paul.

Ma Esav non riusciva a parlare, figurarsi a camminare. Ogni suo pensiero era concentrato sull’immagine che gli stava davanti.

Un uomo era disteso sopra un letto a baldacchino. Le braccia avvolte attorno a qualcuno che gli era appollaiato sopra, ma di cui si intravedevano solo frammenti di pelle perché era sua la prospettiva della scena. Il soggetto principale del quadro, invece, era ben visibile: pelle olivastra, petto villoso, braccia muscolose, mascella squadrata, capelli neri, occhi verdi e un sorriso rilassato. Esav riconobbe il letto. E riconobbe anche l’uomo. Dopotutto, lo vedeva nello specchio ogni giorno. Ma erano anni che non sorrideva più in quel modo. Dalla notte della sua festa di laurea. La notte in cui aveva stretto a sé Court Swanson.

 

 

II.

 

“CIAO, ESAV. Come, ah, come stai?”

Distogliendo l’attenzione dai vecchi compagni di scuola, Esav si voltò a guardare il ragazzo allampanato che gli si era avvicinato. Il ragazzo alto e allampanato. Il ragazzo alto, allampanato e adorabile. Il miglior amico di suo fratello era cresciuto proprio bene. Se a vent’anni uno poteva essere considerato cresciuto.

“Courtland Swanson.” Esav trasferì la birra dalla mano destra alla sinistra e gli diede una pacca sulla spalla. “Come te la passi?”

“Bene,” pigolò l’altro. Si schiarì la gola e poi continuò in un tono più profondo, “Bene, sto bene. Oh, congratulazioni per essere diventato avvocato. È grandioso.”

I suoi genitori avevano insistito per organizzargli una festa per celebrare sia la laurea che l’assunzione presso un importante studio legale, così aveva lasciato il suo nuovo appartamento a Denver e aveva guidato fino a Colorado Springs, per trascorrere il fine settimana nella casa in cui era cresciuto.

“Grazie,” disse, mentre le labbra gli s’incurvavano in un sorriso. Court era ancora più carino quando era nervoso. E, se la memoria non lo ingannava, era un sacco nervoso.

“Dylan mi ha detto che hai ottenuto un ottimo lavoro, ma non ricordava che tipo di avvocato tu fossi diventato, così ho pensato di venire a chiedertelo.” Deglutì. “Perché sei qui, e ci sono anch’io e quindi, insomma, sì.” Abbassò lo sguardo e cominciò a strusciare il tacco della scarpa avanti e indietro sul pavimento di legno. “Ehm… sì.”

Era bello che Court fosse dolce da adulto esattamente come lo era stato da ragazzo. La maggior parte degli amici di suo fratello Dylan lo aveva infastidito da matti, ma mai Court. Lui sorrideva sempre, arrossiva e lo guardava di nascosto. Anche se quelle attenzioni avevano lusingato Esav, i cinque anni di differenza tra loro gli avevano sempre impedito di pensare a lui come a qualcosa di diverso da un bel ragazzino. Cosa che ora di sicuro non era più.

Con i suoi due metri e passa, Esav era abituato a essere la persona più alta nella stanza, ma notò con piacere che non doveva abbassare troppo lo sguardo per incontrare gli occhi marrone di Court. Immaginò che il biondino dovesse essere almeno uno e novanta, e anche se la sua struttura era molto più snella della sua, Esav doveva ammettere che aveva messo su dei bei muscoli.

Ora che il giovane aveva catturato la sua attenzione, Esav gli si avvicinò di un passo. “Allora, dimmi quello che fai tu, invece.” Gli scostò i capelli dagli occhi, sorridendo del piccolo ansito che seguì il suo gesto. “Sei all’università?”

“Alla scuola d’arte.” Court sollevò lo sguardo, fissandolo negli occhi. “Ehm, Esav?”

“Sì?”

“Mi stai accarezzando i capelli.”

Esav si accorse che era vero, lo stava accarezzando. Si fermò un attimo, sollevò le labbra in un sorriso sghembo e disse. “Okay.” Poi continuò.

Court sgranò gli occhi e cominciò a respirare affannosamente. Si umettò le labbra e poi si prese quello inferiore tra i denti, così nervoso che Esav ebbe la certezza che fosse sul punto di darsela a gambe. Ma poi lo vide raddrizzare le spalle, inspirare a fondo e dire: “I miei genitori sono fuori città.”

Benché gli incontri di una notte non fossero propriamente nel suo stile, con i suoi venticinque anni Esav non era estraneo al sesso occasionale, quindi non ci mise molto a riconoscere le parole di Court per quello che erano, anche se lo sorprese che il ragazzo fosse riuscito a superare la propria timidezza e a fargli quella proposta.

“È un’offerta, Court?” chiese con voce roca.

“Ehm… sì. Sì.” Annuì l’altro. “È un’offerta.”

Dopo aver lanciato un’occhiata in giro per la stanza, Esav gli mise una mano dietro al collo e si chinò quanto bastava per sussurrargli all’orecchio: “Sono l’ospite d’onore, quindi non posso andare via finché c’è qualcuno, ma se rimani in giro, poi ti accompagno a casa. Che ne dici?”

Court impallidì, sgranò gli occhi e poi arrossì di colpo. Respirava così in fretta che Esav temette di vederlo iperventilare.

“Ehi!” Si piegò sulle ginocchia fino a che i loro visi furono uno di fronte all’altro e poté guardarlo negli occhi. “Respira lentamente. Non farti venire un attacco di panico, okay?”

“Okay,” disse Court, senza però accennare a calmarsi. “Ma hai accettato di venire a casa con me nel senso di venire a casa con me, o volevi solo dire che mi accompagnerai, o…”

“Che dici se cominciamo con un passaggio a casa?” lo interruppe Esav, cercando di essere quanto più rassicurante possibile. Non erano neanche le otto, quindi sarebbero dovuti rimanere almeno un altro paio d’ore e non voleva che il ragazzo rimanesse teso come una corda di violino per tutto il tempo. “Se poi vorrai invitarmi, potrai farlo. E dopo, be’…” Sorrise. “Penso che tu sia veramente carino.” Staccò gli occhi dal suo viso e gli fece scorrere lo sguardo su tutto il corpo prima di tornare a fissarlo. “Molto carino.”

Court mugolò. Un mugolio vero e proprio.

“Devo andare a far finta che m’interessi parlare con le persone che i miei hanno invitato.” Gli appoggiò la mano sulla nuca e strinse. “Quindi devi smetterla di fare quei versi o penseranno che sono un pervertito.”

“Eh?” fece Court, sbattendo le ciglia. Aveva degli occhi veramente splendidi, caldi e morbidi.

“Quei versetti che fai.” Allungò la mano e strinse quella del ragazzo. “Assomigliano molto a quelli che in genere si fanno a letto.” Tirò la mano di Court tra i loro corpi e se l’appoggiò sui pantaloni, esattamente sopra al proprio sesso turgido.

A quel punto Court sembrò smettere completamente di respirare e lo fissò, gli occhi colmi di speranza, desiderio e un po’ di paura.

Esav abbassò la testa e notò come l’eccitazione gonfiasse anche i jeans del ragazzo. “Dopo,” disse, prima di lasciargli andare la mano e strusciargli volontariamente contro l’erezione.

Court annaspò, gemette e mugolò tutto insieme.

Esav sorrise e gli fece l’occhiolino. “Molto, molto carino.”

 

 

“NON RIESCO a credere che tu sia qui,” borbottò Court accendendo le luci del salotto dei suoi genitori.

“Mi hai invitato tu.” Esav gli appoggiò la mano sulla parte bassa della schiena, assicurandosi di mantenere il tocco leggero.

“L’ho detto a voce alta?” Court girò la testa verso di lui e lo guardò. “L’ho detto a voce alta, vero?”

“Sì,” confermò Esav con una risatina, rendendosi conto che ormai aveva perso il conto delle volte che Court l’aveva fatto ridere o sorridere quella sera.

Il ragazzo era non solo adorabile, ma anche tenero e divertente. Sfortunatamente andava a scuola a New York e lui viveva a Denver. Ma poi si disse che forse era la cosa migliore. Per ancora qualche anno la sua vita sarebbe appartenuta allo studio per il quale lavorava e Court era troppo giovane per desiderare una relazione fissa.

“Allora, vuoi… qualcosa da bere, o…”

Non essendo tipo da menare il can per l’aia, Esav gli avvolse le braccia attorno alla vita e lo attirò all’indietro verso il proprio petto, unendo i loro corpi, poi gli sussurrò all’orecchio: “Voglio te,” prima di chinarsi a baciargli il collo. “È per questo che mi hai invitato, no?”

“Sì.”

Esav gli fece scorrere una mano sul ventre e lungo il fianco, per appoggiargliela infine sull’inguine.

“Oddio,” annaspò il ragazzo, lasciando ricadere la testa all’indietro contro la sua spalla. “Oddio.”

“Vuoi mostrarmi la tua camera?”

“Sì.” Court deglutì e scosse la testa. “Tutto questo è folle.”

“Perché folle?” Esav gli leccò il lobo e gli strizzò il sesso attraverso i pantaloni.

“Perché sei qui, e mi tocchi. Ho una cotta per te da sempre.” Girò la testa e lo guardò. “Lo sapevi?”

“Lo sospettavo,” sussurrò lui, passandogli la base del pollice sull’uccello e le palle.

“Non hai mai dimostrato interesse.”

Esav sorrise. “Eri un ragazzino, Court. Carino finché vuoi, ma pur sempre un ragazzino.”

“E ora?”

“Ora sei cresciuto, sei diventato sexy da morire, ma sei rimasto un chiacchierone.”

Fu il turno di Court di ridere. “Bello,” disse con una specie di grugnito, scuotendo la testa.

“Dov’è la tua camera?”

Dopo avergli appoggiato la mano sul fianco per mantenere il contatto, Esav cominciò a spingerlo lungo il corridoio. “Ora è la stanza degli ospiti. I miei l’hanno rifatta prima ancora che svuotassi le valigie nel dormitorio il primo anno a New York.”

“A questo punto l’unica cosa che m’interessa è che abbia un letto, o un divano o una poltrona a sacco. Continui a strusciare il culo contro il mio uccello ed è una cosa che mi fa impazzire.”

“Davvero?” Court girò la testa per guardarlo da sopra la spalla, l’innocenza dipinta sul viso, ma la spinta all’indietro e lo sfregamento smentirono la sua sincerità.

“Continua e verrò prima ancora di averti preso,” lo avvisò Esav, con un tono divertito. Gli piaceva stare con Court.

Raggiunsero la camera e Esav accese le luci.

Court scivolò via dalle sue braccia e si voltò. Questa volta, quando alzò lo sguardo, sembrava veramente nervoso. “Vuoi, ehm…” Si morse il labbro. “Vuoi davvero farlo con me?”

Esav l’aveva dato per scontato quando Court l’aveva invitato. Prima di uscire di casa si era addirittura messo nella tasca del giubbotto una manciata di preservativi e una confezione di lubrificante. Ma se il ragazzo preferiva fare qualcosa di più leggero, per lui andava bene lo stesso.

“Non dobbiamo per forza,” disse. “Dimmi quello che vuoi tu. Io faccio tutto.” Quando Court sollevò le sopracciglia e gli rivolse un sorrisetto ironico, Esav gli pizzicò il fianco e disse: “Non fare lo stronzo. Lo sai quello che voglio dire.” Si strinse nelle spalle. “Mi adatto. Posso stare sopra, sotto, possiamo succhiarci. Cosa vuoi?”

Court arrossì. “Wow, sei proprio, ehm, aperto?”

“Non mi piacciono i giochi,” confermò lui. “Se voglio una cosa, lo dico. Lo stesso se invece non la voglio.” Fece una pausa. “Ora, per esempio, ti voglio là sopra, nudo.” Lanciò un’occhiata all’enorme letto decorato che occupava quasi tutta la camera. Aveva quattro colonne alte e grosse che s’innalzavano da ognuno dei lati ed era ricoperto da una trapunta immacolata. “Questo sì che è un letto.”

“Cosa?” Court lo guardò. “Oh, sì. La mamma lo ha preso da un importatore. Sembra che sia italiano, fatto a mano.”

“Hm-hm. Non me ne frega niente,” disse Esav. Spinse il ragazzo al centro della stanza. “Nudo. Adesso.”

“Okay. Okay.” Court calciò via le scarpe, afferrò la maglietta e se la sfilò dalla testa. “Ma forse faresti meglio a spegnere le luci. Sai, per evitare la delusione.”

“Ehi,” Esav gli afferrò una spalla e lo guardò dritto negli occhi. “Non farlo.”

“Non devo fare cosa?”

“Non denigrarti.” Rivolse uno sguardo d’apprezzamento al suo petto. “Sei bellissimo.”

“Sono troppo magro.” Court allungò una mano e sfiorò il bicipite di Esav. “Tu sei bellissimo.”

“Io sono io e tu sei tu.” Esav si sentiva stranamente protettivo nei confronti di quel ragazzo, considerando che avrebbero trascorso insieme solo una notte e non si sarebbero impegnati in una relazione. Ma poi si ricordò che lo conosceva da quando era ancora un bambino, e che gli era sempre piaciuto, molto. “Non voglio che tu ti sminuisca,” disse.

“Eh?”

“Sminuirti.” Inspirò a fondo. “Ho seguito un corso all’università sull’influenza dei media sull’autostima femminile, e diceva che molte ragazzine crescono con un’idea negativa di loro stesse.”

“L’influenza dei media…” Court aggrottò le sopracciglia, confuso. “Prego?”

“Quello era il seminario, ma lo stesso discorso vale per i ragazzi, e l’insicurezza può presentarsi sotto varie forme. Tu sei un ragazzo molto bello, Court, ma anche un mucchio di altre cose.”

“Perché ho l’impressione di trovarmi nel bel mezzo di un discorso motivazionale?” gli domandò l’altro.

“Bene. L’hai voluto tu.” Esav strinse gli occhi e saltò sul letto trascinando il ragazzo con sé. “Te lo faccio vedere io il motivazionale.” Gli infilò i pollici nei passanti dei jeans e tirò giù pantaloni e intimo in un colpo solo, lasciandolo completamente esposto. Aveva avuto ragione: era splendido. “Mm,” mugolò. “Guardati.” E prima che l’altro potesse rispondere, gli si mise tra le gambe e abbassò la bocca sul suo uccello.

“Oh!” annaspò Court. Gli afferrò i capelli, ma li lasciò andare subito e prese ad agitare le mani.

Dopo qualche altra passata su e giù lungo quell’asta dura ed eccitante, Esav sollevò il capo. “Non preoccuparti.” Gli leccò la corona. “Puoi stringermi, tirarmi i capelli, spingermi verso il basso.” Gli succhiò la punta. “Lasciati andare, Court. Ho le spalle larghe e posso sopportare qualsiasi cosa.” Soffiò delicatamente sulla pelle sensibile. “Tu lasciati andare.”

Quando tornò a prenderlo in bocca, l’introverso Court approfittò della sua offerta e, lasciandosi alle spalle timidezza ed esitazione, diede sfogo a tutto quello che aveva dentro. Spinse in alto i fianchi e affondò completamente nella sua bocca. Gli intrecciò le dita nei capelli e prese a tirarglieli, usandoli sia per tenerlo fermo che per spingergli la testa verso il basso. Il tutto senza mai smettere di gemere e ripetere il suo nome come una litania.

Esav non aveva mai visto nessuno reagire in quel modo a letto, e la cosa lo eccitò al punto che si ritrovò lui stesso a spingere contro il materasso alla ricerca dell’orgasmo. Quando poi Court inarcò completamente la schiena e gridò, Esav si ficcò la mano nei pantaloni, si afferrò l’uccello e cominciò a masturbarsi, sapendo che la fine era ormai vicina. Con il seme caldo dell’altro che gli schizzava sulla lingua e gli inondava la gola del sapore del suo piacere, anche lui venne, coprendosi la mano di liquido denso.

“Santa madre,” borbottò, cercando di riprendere il controllo sia dei propri polmoni che dei propri pensieri.

“Oddio,” ansimò Court. “È stato… oddio.”

“Eh.” Esav si sedette, estrasse la mano dai pantaloni e leccò il seme che non era stato assorbito dall’intimo.

“Ma che…?” cominciò Court, lo sguardo fisso sulla sua mano. “Oddio, lo fai sul serio.” Rabbrividì. “Sexy da morire.”

“Vederti venire, quello sì che è stato sexy.” Esav si tolse la polo e la gettò a terra. “Dimmi che ti va di farlo ancora.” Calciò via le scarpe e si liberò in fretta e furia dei pantaloni, dei boxer e dei calzini. “Perché non so cosa darei per sentirti gridare di nuovo il mio nome.”

“L’ho fatto?” Un rossore improvviso fece avvampare il collo del ragazzo.

“Sì, ed è stato incredibile.”

“Davvero?” chiese l’altro timidamente.

“Altroché.” Esav gli si stese sopra, sospirando di piacere quando la sua pelle toccò quella del giovane. Allargò le gambe così da distribuire meglio il peso, ma si assicurò che i loro inguini rimanessero attaccati. “Sei incredibile a letto. Vorrei che non vivessimo in stati diversi.”

“Anch’io,” sussurrò Court.

Esav gli sfiorò le labbra con il pollice e si rese conto che non si erano ancora baciati. Be’, poteva rimediare subito. Si sporse e premette la bocca su quella del ragazzo. Mugolando, piegò la testa e passò la lingua sulla fessura tra le sue labbra, chiedendo il permesso di entrare. Court l’aprì all’istante, emettendo altri di quei suoni sensuali e succhiandogli la lingua.

Tra la sensazione di quel corpo che fremeva sotto al suo, il suo sapore nella propria bocca e i suoi mugolii, Esav si eccitò di nuovo ed era sicuro che non sarebbe stata l’ultima volta quella notte.

“Lo so che è folle, ma ti voglio di nuovo,” gli disse contro la gola, mentre lo leccava e mordicchiava. Spinse in avanti i fianchi, premendo la propria erezione rinvigorita contro quella di Court.

“Ahh,” gemette quest’ultimo e gli affondò le dita nei muscoli sodi del sedere. “Anch’io.”

Esav infilò la mano tra i loro corpi e la strinse attorno a entrambi i loro uccelli, massaggiandoli. “Dimmi quello che vuoi.” Gli leccò il mento, il collo, l’orecchio. “Vuoi stare sopra?” Lasciò andare i loro membri e gli fece scorrere le dita oltre i testicoli e nella fessura, sfiorandogli il buchetto rugoso. “Vuoi stare sotto?” percorse con la punta la stretta circonferenza e premette leggermente. “Dimmi cosa vuoi.” Desiderava intensamente poter trascorrere più di una notte insieme a Court, ma se una notte era tutto quello che potevano avere, allora avrebbe fatto di tutto perché quel giovane dolce e appassionato non la dimenticasse mai.

“Non posso fare entrambe le cose?” chiese piano Court. Gli avvolse le gambe attorno alla vita e le braccia attorno al collo. “Voglio entrambe le cose.”

Esav si sentì stringere in una morsa di desiderio. “Tutto quello che vuoi,” disse, prima di reclamare un altro bacio.

 

 

III.

 

DIECI INTERI anni erano trascorsi dalla notte che aveva passato avvinghiato a Court Swanson e Esav ricordava ancora ogni bacio, ogni tocco, ogni mugolio come se fosse ieri. Per qualche anno a seguire, suo fratello l’aveva tenuto al corrente di quello che gli succedeva – aveva venduto un dipinto a un esponente dell’alta società di Park Avenue e aveva cominciato ad avere un seguito; aveva pensato di lasciare l’università e dedicarsi esclusivamente alla pittura, ma sua madre l’aveva supplicato di prendere la laurea, così lui aveva finito la scuola e poi era rimasto a New York; aveva esposto i suoi dipinti prima in una piccola galleria (a New York), poi in una grande galleria (sempre a New York) e infine in Europa – ma poi Dylan si era sposato, aveva cominciato a essere troppo impegnato con il lavoro e con i figli e aveva perso i contatti con il vecchio amico. E a quel punto anche Esav aveva smesso di sentirne parlare, anche se ciò non significava che avesse dimenticato il dolce ragazzino che si era trasformato in un giovane e affascinante uomo.

“Mi scusi,” chiese a un cameriere che gli stava sfrecciando accanto.

“Sì? Cosa posso portarle, signore?”

“I quadri, sono in vendita, vero?”

“Sì, signore,” confermò l’uomo. “Il proprietario voleva creare un ambiente dove i giovani artisti emergenti potessero mostrare i loro lavori. Accanto a ogni quadro c’è una targhetta con il nome dell’autore e il prezzo.”

Il trentenne Court Swanson giovane lo era sicuramente, ma non più artista emergente. Esav sapeva per certo che il suo amante di una notte aveva avuto successo e che i suoi dipinti erano esposti nei più prestigiosi musei del pianeta. Il che spiegava perché il suo fosse il quadro più grande e perché occupasse un posto d’onore.

Si avvicinò al bancone, lo sguardo fisso sull’immagine ben illuminata di un se stesso più giovane. Aveva l’aria felice in quel quadro; era stata una bellissima notte. Anche se la sua vita monotona non avrebbe mai potuto essere paragonata a quella artistica e vagabonda di Court, Esav poteva almeno possedere un frammento del tempo che avevano condiviso.

“Mi scusi,” gridò alla barista, sperando di riuscire a farsi sentire sopra al volume altissimo della musica. “Mi scusi!”

“Cosa posso darle?” gli chiese lei avvicinandosi.

“Il dipinto.” Indicò il vecchio se stesso cristallizzato sulla tela senza però guardarlo. “Vorrei compralo.”

Lanciando un’occhiata alle proprie spalle, la ragazza disse, “Oh, questo non è in vendita. Appartiene al proprietario. Fa parte della sua collezione privata.”

Da quando, un anno prima, era diventato giudice, Esav non guadagnava più come quando invece praticava la professione privata, ma gli anni precedenti erano stati generosi con lui e sperava di avere abbastanza risparmi da potersi permettere di comprare un pezzo del suo passato. “Come posso rintracciarlo?” chiese. “Può darmi un telefono o un indirizzo e-mail?”

La barista scosse la testa. “No, non sono autorizzata. Ma forse può trovarlo nel suo ufficio. Lavora sempre a orari strani.”

“Il suo ufficio?”

“Sì.” Indicò un punto alle sue spalle, un po’ di lato. “Segua il corridoio che trova dietro a quella porta, superi il bagno e l’area riservata ai party privati. Se lo troverà sulla sinistra.”

“Sulla sinistra?”

La ragazza annuì. “Sulla porta c’è scritto ufficio. Non può sbagliare.”

“Grazie.” Esav si allontanò dal bar, fendette la folla e seguì le indicazioni della barista. Trovò la porta e bussò.

“Avanti.”

Benché l’ufficio fosse lontano dal centro di maggior confusione, il corridoio era comunque rumoroso. C’era una porta chiusa che separava Esav dalla persona dell’altra parte e quest’ultima aveva detto solo una parola.

Ma niente di tutto quello aveva importanza, perché non appena Esav aveva sentito quella voce, aveva capito immediatamente chi avrebbe trovato dentro a quella stanza. Girò la maniglia, entrò e lasciò che la porta gli si richiudesse alle spalle con un click.

Una testa bionda era chinata sopra alla pila di fogli che ingombravano la scrivania e Esav si trattenne a stento dallo scostare le ciocche con le dita e rivelare quegli occhi color del cioccolato che aveva sognato più volte di quante riuscisse a ricordare.

“Perché un famoso artista internazionale dovrebbe aprire un locale a Denver in Colorado?” domandò.

Court alzò di scatto la testa, balzò in piedi e puntò lo sguardo su di lui. Spalancò la bocca e sbatté le ciglia, mentre un’ondata di calore gli risaliva dal collo fino alle guance. Esav aveva immaginato che dopo tutti i posti in cui era stato e tutte le persone che aveva sicuramente incontrato, Court avesse perso un po’ di quella sua giovanile innocenza, ma così non era.

“Esav.”

“Courtland Swanson.” Fece scorrere lo sguardo su quel corpo snello che ricordava nudo e coperto di sudore. “Stai bene.”

“Anche tu.”

Quel complimento pronunciato dalla voce roca di Court, unito al calore che gli leggeva nello sguardo, gli fecero dimenticare qualsiasi altra cosa che non fosse il bisogno di toccare, assaggiare e sentire la persona sulla quale fantasticava da oltre dieci anni. “Vieni con me,” gracchiò, saltando completamente i convenevoli. Non era mai stato il tipo da prestare troppa attenzione alle formalità.

Dopo un attimo di silenzio, Court disse: “Sono più vicino io.” Aggirò la scrivania e gli porse la mano.

Esav lo incontrò a metà strada e intrecciò le dita alle sue. Non appena si toccarono, sentì la tensione scivolargli via dalle spalle. “Mi sei mancato,” ammise.

Court chinò la testa e arrossì. “Anche tu.” Lo guidò fuori dall’ufficio e poi lungo il corridoio, fino a una scala. “Per ora vivo in un piccolo studio al piano di sopra. Visto che tanto sono sempre qui e dovevo ancora decidere in che altro posto vivere, ho pensato a uno studio.”

Sorridendo di quel modo di sproloquiare così familiare, Esav lo seguì su per le scale, senza mai distogliere gli occhi dal suo sedere. Mentre Court inseriva il codice di sicurezza nella serratura, Esav mandò un messaggio agli amici per avvisarli che sarebbe rientrato per i fatti propri. Poi spense il telefono, certo che gli altri gli avrebbero telefonato o messaggiato per prenderlo in giro.

“Allora, vuoi… qualcosa da bere?” gli chiese Court dopo che furono entrati.

“Se non ricordo male, abbiamo avuto la stessa conversazione dieci anni fa.” Esav chiuse la porta e premette il petto contro la schiena di Court, circondandolo stretto con le proprie braccia. “Cristo,” sospirò. “Mi piace abbracciarti oggi, tanto quanto mi piaceva allora.” Gli affondò il viso nel collo e inspirò a fondo. “Anche l’odore è lo stesso.”

“E io ti voglio oggi tanto quanto ti volevo allora.” Court premette all’indietro contro la sua erezione e ruotò i fianchi.

Con un rumore sordo di gola, Esav prese a mordicchiargli l’orecchio. “Devo vederti nudo.” Gli fece scorrere la bocca lungo il collo, leccandolo e mordicchiandolo, mentre gli slacciava la cintura e gli spingeva giù i pantaloni.

“Forse prima dovrei togliermi le scarpe.” Sostenendosi alla sua testa, inarcò il collo per permettergli di raggiungerlo meglio. “Altrimenti non posso camminare.”

“Non hai bisogno di camminare.” Esav lo sollevò tra le braccia e lo portò verso il letto posto nell’angolo della stanza.

“Sexy.”

“Cosa?”

“Tu,” rispose Court. “Sei grosso e forte e…” si leccò le labbra, “sexy.”

“Felice di sentirlo.” Esav sorrise e lo adagiò sul letto. “Togliti le scarpe mentre io penso alla camicia.”

Qualche secondo dopo Court era sdraiato nudo sul materasso, appoggiato sui gomiti, e guardava Esav spogliarsi a sua volta. Il suo sguardo guizzava dal suo viso, al suo petto, al suo uccello, come se non sapesse decidersi quale dei tre osservare. “Sbrigati,” gli disse con voce strozzata.

Esav si sfilò l’ultimo calzino e lo gettò via. “Pronto.” Si arrampicò sul letto e gli scivolò addosso, godendosi il contatto delle loro pelli.

Senza neanche pensarci Court aprì le ginocchia e allargò le gambe, facendogli spazio.

Esav gli si posizionò sopra e gli prese il viso tra le mani, accarezzandogli le guance con i pollici, quindi si chinò a baciarlo. Non appena le loro labbra si sfiorarono, sentì un calore sbocciargli dentro e il suo sesso si indurì all’istante. Senza smettere di leccarlo, gli aprì la bocca e, mentre continuava a tenergli ferma la testa, prese ad alternare morsi leggeri alle sue labbra e stoccate più profonde della lingua.

“Adoro baciarti,” sussurrò. “e toccarti.” Gli fece scorrere i denti lungo la mascella e sul collo, soffermandosi poi a succhiargli la pelle delicata.

“Vuoi lasciarmi il segno?”

“Hm-hm.” Intensificò la suzione, mentre le palle gli si contraevano al pensiero di vedere Court andare in giro con un suo succhiotto sul collo. “Sai di buono.”

Quando l’altro cominciò a gemere ininterrottamente, Esav riportò la bocca sulla sua e riprese a baciarlo. “Devo chiederti quello che vuoi, o mi dai la stessa risposta di allora?”

“Stessa risposta,” fece Court. “Ma questa volta cominci tu.” Gli afferrò l’uccello e l’accarezzò. “Voglio sentirti di nuovo dentro di me.”

“Anch’io.”

Dopo averlo baciato ancora una volta, Esav scivolò lungo il suo corpo, pizzicandogli i capezzoli, baciandogli la pancia e leccandogli lo scroto. Poi gli mise un cuscino sotto al sedere, gli alzò e allargò le cosce e seppellì il viso tra le sue natiche sode.

“Ahh! Esav!” gridò Court quando con la lingua passò più volte sopra alla sua entrata. “Sììì! Ancora.”

Esav non se lo fece ripetere; leccò la sua pelle calda, poi contrasse la lingua e la spinse attraverso lo stretto anello di muscoli, come se volesse scoparlo in quel modo.

Court perse l’uso della ragione e cominciò a pronunciare parole indecifrabili. Si afferrò ai suoi capelli e lo tenne fermo mentre andava incontro a ogni affondo, cercando di godere il più possibile.

Quando Esav non fu più in grado di trattenersi, gli posò un ultimo bacio sul buchetto, gli diede un morso all’interno coscia e disse: “Per favore, dimmi che hai dei preservativi.”

“Nel comodino,” fece Court indicandolo con mano tremante.

Esav si lanciò attraverso il letto, aprì il cassetto e trovò una bottiglietta di lubrificante nuova e una scatola di profilattici ancora da aprire. Li scartò entrambi in fretta e si srotolò il guanto sull’erezione, dopodiché unse prima il canale di Court e poi la propria asta gonfia. Quando furono entrambi pronti, si stese sul fianco dietro all’amante, allineò l’uccello al suo buco e lentamente si spinse dentro di lui.

“Oddio, sì,” mugolò Court. “Mi piace. È meraviglioso. Non fermarti.”

Serrando la mascella per trattenersi dal venire subito, Esav continuò a scivolare lentamente all’interno all’altro fino ad affondargli dentro completamente. “Sei strettissimo,” disse fra i denti.

“O forse sei tu ad avercelo troppo grosso,” replicò l’altro.

Per quanto eccitato, Esav non seppe impedirsi di ridacchiare. Solo Court era capace di farlo ribollire di passione e divertirlo al tempo stesso. Gli accarezzò il collo con le labbra, gli strinse le dita attorno all’uccello e cominciò a masturbarlo, entrando e uscendo da lui a un ritmo incalzante.

“Sììì.” Court spingeva all’indietro, impalandosi sul suo cazzo. “Lì. Più forte. Non fermarti. Più forte.”

Dopo qualche altra spinta, Esav uscì, lo girò sulla schiena e tornò ad affondare dentro di lui. Lo afferrò per le caviglie e gli sollevò le gambe in alto, esponendolo completamente, e poi riprese a scoparlo a un ritmo forsennato.

Court allungò le braccia sopra alla testa e appoggiò le mani contro il muro, andando incontro a ogni spinta. “Ci sono,” urlò. “Ci sono.” Tese i tendini del collo, spalancò gli occhi e inarcò la schiena, poi, gridando il suo nome, lanciò schizzo dopo schizzo di seme sulla propria pancia e sul proprio petto.

Esav lo seguì a ruota; gli lasciò andare le gambe, affondò ancora di più dentro di lui e, dopo aver premuto insieme le loro labbra, gli venne dentro, in profondità, mugolando contro la sua bocca.

Nessuno dei due disse nulla per qualche altro minuto, impegnati entrambi a riprendere fiato e a cercare di calmare i battiti dei propri cuori. Alla fine Esav uscì da Court, si liberò del preservativo e avvolse le braccia attorno al corpo dell’amante, stringendolo a sé.

“Non hai risposto alla mia domanda di prima,” disse.

Court lo guardò. “Quale domanda?”

“Cosa ti ha portato in Colorado?”

L’altro si morse il labbro e distolse lo sguardo. “Sempre così diretto?” chiese piano.

“Preferisco credere che sia sincerità, ma sì, sono sempre diretto.”

“Te,” disse Court.

“Io?”

“Mi sei mancato.” Lo guardò negli occhi. “Lo so che per te può essere stata solo la scopata di notte, ma io l’avevo desiderata per molti anni prima e l’ho sognata per molti dopo. Posso dipingere ovunque, ma tu sei qui, quindi…” Deglutì. “Sei tu ciò che mi ha portato qui.”

Dio, se era dolce. Esav gli posò un bacio sulla fronte. “E pensavi di dirmelo?”

Court aggrottò le sopracciglia. “Prego?”

“Una telefonata? Un messaggino? Un’e-mail?” Sorrise. “Uno di quegli aerei che scrivono in cielo con il fumo? Pensavi di usare una qualche forma di comunicazione per avvisarmi che eri qui e volevi vedermi?”

“Sì. Oddio, non il fumo, ma gli altri sì. Prima o poi. Quando ne avessi avuto il coraggio.”

“A quanto pare ti ho preceduto,” gli fece notare lui.

“A quanto pare.” Gli occhi di Court rispecchiavano i suoi desideri e Esav non voleva altro che poterli esaudire tutti.

“E il tuo piano cosa prevede a questo punto?” chiese.

Court si prese il labbro tra i denti e lo guardò da sotto le ciglia. “Quali sono le mie opzioni?”

Esav gli prese il viso tra le mani, gli inclinò la testa all’indietro e lo baciò con dolcezza. “Puoi avere tutto quello che vuoi.”

“E se volessi te e non solo per una notte?” domandò l’altro con la voce roca. “Se ti volessi per sempre?”

Esav si sentì aprire il cuore. “Tutto quello che vuoi,” ripeté, prima di chinarsi per un altro bacio.