A NUDO

Shae Connor

 

 

L’amore sopporta tutto, crede a tutto, spera in tutto, resiste a tutto. Raramente c’è stato un testamento forte come il vostro a tutti gli aspetti dell’amore. Il più grande dei quali è quello che condividete.

 

 

IL PULSARE della musica nella testa di Blake sovrastava tutto il resto. Quando era sul palco – il ritmo martellante, le luci stroboscopiche, il corpo in movimento – il resto cessava di esistere. Si perdeva così totalmente che a volte ne rimaneva spaventato, ma poi rammentava a se stesso che non faceva male una piccola fuga. Specialmente quando la paga era così buona.

Lanciò un sorriso agli uomini ai lati del palco, attento a non guardarli troppo a lungo negli occhi. Alle volte venivano anche delle donne, ma era uno strip club a Soho, non uno show di spogliarellisti di provincia. Certo, Masque aveva più classe della maggior parte dei locali simili, un coperto molto alto e norme di sicurezza che proteggevano non solo i ballerini ma anche l’anonimato dei clienti, famosi e non famosi. Ma era comunque un posto per fantasie zozze, poco incline alle romanticherie, dove il massimo era immaginare di strusciarsi contro un altro uomo, sudato e muscoloso, fino all’oblio. Niente lieti fine o casette con la staccionata bianca.

Ciò nonostante, il locale non era immune al periodo. Era il terzo anno che Blake lavorava la sera di San Valentino – che si traduceva sempre in un aumento significativo delle mance – e continuava a sbuffare di fronte alle decorazioni del locale. Dal soffitto pendevano strisce di cuori argentati e luminosi, sui tavoli c’erano mucchi di fiori rosa e ciotole con dolcetti a forma di cuore, con impressi messaggi più piccanti della norma, e i ballerini avevano cambiato le solite maschere bianche o nere con quelle rosse.

Stupida festa commerciale, pensava Blake spostandosi lungo il margine del palco. Non era mai stato un grande fan, nemmeno negli anni in cui usciva con qualcuno, ma essere single in un giorno tutto dedicato alle coppie era proprio una schifezza.

Afferrò il palo con una mano, ci girò intorno e ci premette contro la schiena, scivolando giù e allargando le gambe. Sapeva esattamente cosa poteva e non poteva fare a Manhattan senza causare guai al club, ma sapeva anche che c’erano abbastanza detective e ispettori a frequentare il locale che probabilmente, a meno non si mettesse a scopare sul palco, si sarebbe comunque chiuso un occhio. Tuttavia, aveva i propri limiti e ci restava fedele, anche di fronte a chi gli sventagliava un mazzo di centoni davanti al pacco.

Il tanga era la parte che più detestava del lavoro. Non gli dava fastidio mostrare la pelle; sapeva di avere un bel corpo, perché lavorava come un matto per mantenerlo tale. Ma non trovava mai un modello che gli calzasse bene senza stritolarlo né mettere in mostra troppa carne in caso di erezione. Perché era impossibile ballare in quel modo e non farsi venire un’erezione di tanto in tanto. Di solito riusciva a trovare almeno un tizio brutto e sporco seduto troppo vicino al palco, e uno sguardo in quella direzione faceva avvizzire qualsiasi cosa il suo corpo producesse, ma alcune serate erano, per così dire, più dure alle altre.

Questa era una di quelle.

Girò su un piede, si abbassò sul pavimento e inarcò la schiena, lasciando che la musica lo travolgesse, concentrandosi sul ritmo e allontanando tutti gli altri pensieri. Non chiudeva mai gli occhi quando ballava per paura di cadere dal palco, che finiva pochi passi più in là. Era alto almeno un metro e mezzo, quindi ruzzolare da lì non sarebbe stato divertente.

Proseguendo col repertorio, scorse diversi volti noti che lo guardavano dal basso. Un paio erano clienti abituali che gli lasciavano sempre buone mance – uno dei due era una celebrità la cui sessualità era uno dei segreti meno segreti nel mondo dell’intrattenimento. Un tipo un po’ più a lato era a una palpatina dal farsi bannare a vita dal locale, ma finora con Blake aveva tenuto le mani a posto. Gli altri a prima vista non sembravano volti familiari, ma uno attirò la sua attenzione. Capelli neri, occhi scuri e pensierosi, lunghe gambe stese di fronte a sé mentre si appoggiava alla sedia, le braccia conserte rilassate sul petto.

Blake gli lanciò una lunga occhiata furtiva mentre avanzava verso il suo lato del palco. Dio, quel tipo era proprio figo. Aveva una pelle liscia e pallida che nemmeno le luci pulsanti riuscivano a camuffare, spalle larghe, e quando i loro occhi s’incrociarono per un secondo, oltre al sorriso gli comparve una fossetta sulla guancia. Blake sentì le dita prudergli, o per il bisogno di stringere una matita e immortalare quella perfezione su carta, o per strappare via i vestiti che coprivano quella pelle e toccarla direttamente. Quasi inciampò al pensiero, ma poi riuscì a trasformare il passo in una giravolta.

Non fare lo scemo, si rimproverò fra sé e sé. I clienti sono clienti. Se vuoi uscire con qualcuno, cercalo da qualche altra parte.

La canzone terminò, e Blake fece il giro del palco raccogliendo la manciata di applausi, sorridendo mentre prendeva le banconote dai clienti con la bocca o la mano, lasciando che di tanto in tanto qualcuno gliela infilasse nell’elastico del tanga. Occhi Scuri non si mosse, ma quando Blake si avvicinò, sollevò una mano che stringeva una banconota verde ripiegata in due. Blake gli fece un cenno per dirgli che l’aveva visto. Sarebbe tornato a prendere le offerte una volta rivestitosi.

Tornando dietro le quinte, si chiese se il rischio di avvicinarsi al primo cliente che avesse mai catturato la sua attenzione valesse i soldi che poteva fruttargli. Era il genere di situazioni che potevano andare a puttane in un nanosecondo.

 

 

JON ODIAVA gli strip club. Erano quasi sempre rumorosi e pieni di gente stronza che trattava sia i ballerini che gli altri clienti come spazzatura. Ma il Masque era diverso. In effetti, non era nemmeno giusto definirlo ‘strip club’, visto che gli uomini ballavano coi tanga e portavano sugli occhi le maschere che davano il nome al club. A parte le occasionali serate a tema cowboy o poliziotti, raramente indossavano altro – in più o in meno – quando erano sul palco.

Jon sospirò e si riappoggiò alla sedia, accarezzando pigramente con un dito l’orlo del bicchiere, dove restavano solo i fondi del Whisky Sour. Superare il primo San Valentino da single degli ultimi tre anni si era rivelato una gran seccatura. Erano settimane che cuori e fiori lo circondavano ovunque andasse, e l’ultima cosa che voleva stasera era trovarsi in un ristorante o locale dove sarebbe stato circondato da coppie felici. D’altro canto, non c’era verso che passasse la serata a casa, pateticamente solo.

Quindi era venuto lì. Erano mesi che non veniva al Masque, ma il locale aveva la stessa atmosfera di decine di altri club della zona ‘in’ di Manhattan – escludendo il palco, i pali, e i ballerini semi-nudi. Jon poteva starsene seduto tranquillo, farsi uno o due drink, e osservare qualche bell’uomo senza dover tenere a bada spasimanti speranzosi e senza sentire il bisogno di andare a disinfettarsi subito dopo.

Non fu sorpreso di non conoscere la prima coppia di ballerini. In quel mestiere la longevità non era la norma, anche se almeno gli uomini non dovevano portare i tacchi alti come le donne.

Il terzo ballerino l’aveva già visto, ma aveva dovuto lasciare il locale prima della fine della sua performance. Jon scrutò l’uomo da capo a piedi, e per la prima volta quella sera, il suo desiderio sembrò risvegliarsi. Il ballerino era stupendo – alto, magro e abbronzato, con un ammasso selvaggio di capelli biondi e occhi acuti e intensi, scuri anche in contrasto al rosso cupo della maschera. Le mani erano lisce ma maschili, i movimenti aggraziati, sensuali ma con una punta di piccante, pur senza trasbordare nell’osceno.

Jon non riusciva a staccargli gli occhi di dosso – Andy, l’aveva chiamato il presentatore, ma le probabilità che fosse il suo vero nome erano pari a quelle che l’attore seduto accanto al palco fosse etero. Non era per niente il suo tipo; tutti i ragazzi con cui era uscito fin dal liceo erano bruni e piuttosto massicci. Ma Andy, o come si chiamava, era diverso. Il talento nella danza non guastava, ma a catturare la sua attenzione erano gli occhi sfavillanti, il petto liscio e i denti bianchi splendenti.

I pensieri che gli scorazzavano per la testa erano davvero, davvero stupidi. Jon lo sapeva. Nei locali di quel genere, clienti e ballerini non socializzavano, mai. Ma chissà perché, non riusciva a trattenersi.

Forse poteva dar la colpa a Cupido.

Al termine della canzone tirò fuori un biglietto da venti, piegandolo e afferrandolo fra le dita di una mano. Andy passò ai lati del palco per raccogliere le mance, lanciando nel frattempo uno sguardo alle persone sedute ai tavoli più distanti. Per un attimo incrociò il suo sguardo, e Jon sollevò il mento e mosse impercettibilmente le dita, suscitando nell’altro un flebile cenno del capo.

Sarebbe tornato presto al suo tavolo. Jon cominciò a inventarsi un piano che potesse dargli quello che voleva senza farlo interdire dal locale.

 

 

BLAKE SI infilò dietro le quinte e sorrise a Ryan, che si dirigeva fuori per il suo numero col tanga argento metallizzato e la maschera rossa scintillante. L’uomo di colore era leggermente più vecchio di lui ma aveva muscoli possenti e tatuaggi che gli coprivano entrambe le braccia – un grande punto a suo vantaggio quando danzava. Lavorava lì da meno tempo di Blake ma aveva più clienti abituali – non che a lui importasse. Il lavoro gli dava quello di cui aveva bisogno.

Sorrise e salutò gli altri due ballerini che erano nello spogliatoio a riposarsi fra un numero e l’altro. Aprì la cassaforte e ripose le mance al sicuro, dopodiché si mise dei comodi jeans sbiaditi e infilò i piedi nelle ciabatte. Le odiava, ma ai clienti piaceva vedere i piedi nudi, e di certo i ballerini non sarebbero scesi dal palco scalzi.

Chiuse la porta e ricontrollò la serratura, dopodiché si sfilò la maschera mentre si guardava allo specchio e prendeva un asciugamano. Fra le luci e lo sforzo, aveva l’attaccatura dei capelli cerchiata di sudore; lo asciugò, scorrendosi le dita nella chioma per assumere quel look scompigliato ad arte che i clienti adoravano. Lasciò l’asciugamano sulla sedia e si rimise la maschera sul volto prima di prendere il flacone del suo spray profumato – una sua personale miscela di acqua distillata e olio alla vaniglia –, spruzzarlo nell’aria e camminarci in mezzo. A volte nello spogliatoio si soffocava a furia di spray sintetici, per cui Blake ci andava leggero.

Prese una bottiglia d’acqua dalla scorta che teneva subito all’entrata e si diresse verso il bancone, dove la bevve in pochi sorsi prima di lasciarla cadere nel cestino accanto alla porta. Annuì alla nerboruta guardia di sicurezza che sedeva su uno sgabello lì vicino, roteò le spalle, inspirò ed espirò a fondo e sorrise, tornando a immergersi nel rumore e nel calore.

Parlare coi clienti era l’aspetto più brutto del lavoro. Quasi tutti rispettavano la regola del non toccare, e i buttafuori non esitavano a occuparsi di chi trasgrediva, ma a Blake non piaceva mentire, e fingere di interessarsi ad altri solo per scucirgli altri quattrini gli lasciava sempre un cattivo sapore in bocca. Ma le mance che riceveva sul palco da sole non bastavano mai, e poi faceva anche quello parte del lavoro, quindi stringeva i denti e sopportava.

Cominciò dal lato opposto a quello dell’uomo che aveva catturato la sua attenzione prima, il sorriso stampato sul volto, annuendo e ringraziando per le mance che gli venivano offerte e fermandosi a scambiare due parole con un paio di clienti abituali. Pian pianino si avvicinò al moro, che picchiettava la mancia sul bordo del tavolo e lo fissava con un sorriso. “Ehi,” disse Blake, appoggiandosi con un braccio alla superficie del tavolo di lusso. “Piaciuto lo show?”

“Strabiliante,” rispose l’uomo. Gli porse la banconota, che Blake accettò con un altro sorriso e un rapido grazie, senza disturbarsi a controllare da quanto fosse. Non aveva importanza. Una mancia era sempre una mancia. “Balli molto bene,” continuò l’altro. “Hai studiato?”

Blake dovette ridere. “Ci ho provato,” disse. “È venuto fuori che le coreografie non fanno per me.” Lasciò vagare gli occhi sul suo fisico, un po’ più a lungo del solito. Era un bel vedere. “Non credo di averti mai visto prima.”

L’uomo fece spallucce. “Vengo di tanto in tanto,” spiegò. “Una volta credo di averti visto salire sul palco, ma poi sono dovuto andare. Ora mi pento di non essermi fermato.”

Sorrise ancora, le fossette in bella mostra, e Blake sentì qualcosa fremergli nel petto. Oh, no, non ci provare, si disse, ma l’uomo aveva ripreso a parlare. E gli porgeva la mano.

“Jonathan,” stava dicendo, e Blake la prese in automatico. “So che tu non ti chiami Andy, ma va bene lo stesso.” Sollevò un sopracciglio. “Fai anche numeri privati?”

Blake annuì, ritraendo la mano. “C’è una sala apposta sul retro, cento dollari per quindici minuti, stesse regole che per il resto del locale, buttafuori sulla porta.”

“E la maschera?”

Blake sbatté le palpebre. “Per levarla ci vogliono altri cinquanta dollari.”

Jonathan si alzò dalla sedia. “Facciamo trenta minuti. Senza maschera.”

Blake dovette sorridere. “Ottimo.”

 

 

JON SEGUÌ Andy in una delle piccole stanze private sul retro del club, fermandosi per lasciare cinque biglietti da cinquanta al buttafuori sulla soglia, che annuì e andò a piazzarsi sull’ingresso. La stanza era fatta in modo che l’entrata fosse a parte, così da garantire un po’ di privacy senza mettere in pericolo i ballerini. Lo spazio era sfarzoso quanto il resto del locale, con luci basse, un sofà di pelle, un piccolo impianto stereo disposto su un tavolino.

Jon sedette a un’estremità del divano mentre Andy accendeva la musica, posizionando il volume a un livello basso che a Jon fece piacere. Sorrise quando Andy si voltò a guardarlo. “Richieste particolari?”

“Solo una.” Jon indicò con la mano l’altro capo del sofà. “Siediti.”

Le sopracciglia di Andy schizzarono verso l’alto. “Così non posso ballare.”

Jon scrollò una spalla. “Preferirei parlare.” Sorrise per alleggerire l’atmosfera. “E guardare.” Fece scorrere gli occhi lungo il petto di Andy e poi sul suo viso, strappandogli un sorrisetto.

“Okay, sono soldi tuoi.” Andy si sfilò la maschera e si passò una mano sugli occhi mentre l’appoggiava sul tavolo. Si sistemò sui cuscini, assumendo una posizione che mettesse in mostra i suoi punti di forza. Jon notò in particolare il taglio dei fianchi sopra la vita dei jeans, e le linee sulla pancia che gli facevano risaltare i muscoli.

Ma continuava a essere attratto dai suoi occhi. Erano verdi, intensi e profondi, cerchiati da un anello sottile di marrone. Ora che poteva vedere il suo viso intero, si rese conto di quanto l’uomo fosse bello. Stupendo, in effetti. Ogni centimetro di pelle esposta era perfetto, eccetto per una lieve cicatrice che partiva sopra l’occhio destro e andava a sfiorargli l’angolo del sopracciglio. Il piccolo segno serviva solo a sottolineare quanto fosse perfetto tutto il resto.

“Argomenti preferiti?”

Le parole di Andy lo strapparono alla contemplazione, e Jon sorrise, scegliendo con cura come rispondere. “Perché non mi dici qualcosa di te?” disse. “Niente di personale, niente che possa identificarti. Cosa generiche. Sei originario di New York? Come hai iniziato a ballare?”

Andy sembrò studiarlo per un attimo prima di annuire appena. “Nato e cresciuto a Brooklyn,” rispose. “Ero all’ultimo anno di università quando ho conosciuto un tipo che ballava qui nei weekend. Mi disse che si guadagnava bene e che gli restava ancora un mucchio di tempo per fare i provini durante il giorno, così decisi di provare anch’io.”

Provini. Jon sorrise. “Sei un attore?”

Andy ridacchiò. “Più o meno,” rispose. “Dopo la laurea ho passato quasi un anno a cercare lavoro, senza avere grande fortuna. Ho fatto qualche pubblicità, ma niente che bastasse a pagare l’affitto. Alla fine ho deciso di tornare a prendere la specializzazione. Design per il teatro. Prima avevo studiato Arte in generale, quindi spero che questo mi dia qualche chance in più.”

Jon annuì, continuando a sorridere. “Sì,” disse. “Due anni fa mi trovavo nella tua stessa identica situazione.”

Andy sollevò di nuovo le sopracciglia. “Sei un attore?”

“Sì.” Si spostò sul divano e lasciò che i propri occhi vagassero su Andy mentre parlava. Visto che aveva pagato per la vista, tanto valeva godersela. “Ci ho messo un bel po’ a trovare il primo lavoro decente, ma da allora è sempre andata bene. Credo che trovare il primo ruolo sia la cosa più difficile.”

I muscoli della pancia di Andy si contrassero, quasi come se Jon lo stesse toccando invece di guardarlo e basta. “Sei di New York?” chiese Andy, e Jon risollevò lo sguardo per incontrare il suo.

“Pennsylvania,” ammise. “Un paese minuscolo e sconosciuto. Sono venuto qui dopo l’università e ho cominciato a fare provini.”

“Da quanto reciti?”

Jon non sapeva bene quand’era che la conversazione si fosse spostata su di lui, ma decise di non farci caso. “Da quando ero piccolo,” rispose. “A otto anni partecipai a un campo estivo dove era prevista anche recitazione. Mi piacque, così continuai, e si scoprì che ero piuttosto bravo.” Fece spallucce. “Continua a piacermi, anche se non è più così divertente quando devi passare quasi tutto il tempo a correre da una parte all’altra per ottenere un ruolo.”

Andy gettò la testa indietro e rise, un suono pieno e intenso che riempì la stanza di calore. Jon fu ammaliato dalla gioia pura sul suo volto. “Dio, come ti capisco,” disse l’altro, il sorriso ancora sul volto. “Da queste parti si dice che ‘aspirante attore’ sia sinonimo di ‘cameriere’. E mi sa che quello che faccio io, al confronto, è una pacchia.”

Anche Jon rise. “Io ci ho provato,” raccontò. “Ho resistito quasi un anno. Il problema era che non riuscivo a restare serio coi clienti senza diventare sarcastico. Il proprietario non apprezzava molto, così alla fine abbiamo deciso di separarci consensualmente.”

Il tempo volò mentre parlavano, finché Andy non lanciò un’occhiata alla porta. Jon seguì il suo sguardo e notò il piccolo orologio sul muro. “Ancora dieci minuti,” disse Andy, tornando a guardarlo. “Mi sto divertendo a parlare così. Non mi capita spesso di trovare qualcuno al locale che vuole davvero fare conversazione. Però tu hai pagato per una danza.”

“Sì,” rispose Jon. “Ma non era quello che volevo.”

Fece scorrere lentamente lo sguardo per la lunghezza del corpo di Andy e poi di nuovo su, fermandosi solo un istante quando notò un lieve rigonfiamento a lato della cerniera dei pantaloni. Interessante. Forse Andy gradiva questa conversazione quanto la gradiva lui.

“Voglio chiederti una cosa, e sentiti libero di mandarmi a quel paese,” disse Jon, riportando lo sguardo su quello dell’altro. “Non credo che sia contrario alle regole del club, e di sicuro non è illegale. Non voglio pagarti per fare niente dopo il lavoro.”

Andy sembrava circospetto, ma annuì lentamente. Jon prese fiato e si lanciò.

“Vorrei che venissi a casa con me.”

 

 

BLAKE VIDE il buttafuori cambiare posizione. “Ah, non…”

Jonathan alzò una mano. “Fammi finire, per favore.” Blake esitò, ma poi annuì. “Come ho detto, non è una proposta contraria alla legge, all’etica o, per quanto ne so, alle regole del club. Sto dicendo che mi piaci, sono attratto da te, e sto facendo quello che farei se ci fossimo incontrati al bancone di un bar, invece che tu sul palco e io fra i clienti.”

Blake non sapeva cosa dire. Gli era già capitato di ricevere proposte dai clienti, ma erano sempre state o sfacciatamente volgari oppure altamente illegali, o entrambe le cose, e i tizi erano stati cacciati fuori seduta stante e interdetti a vita dal locale. Era la prima volta che gli capitava una proposta ragionevole.

“Lo so che è insolito.” Jonathan continuava a parlare. Anzi, sembrava aver accelerato il ritmo, notò Blake. “Lo so che è folle e che non avrei dovuto chiedertelo, ma non sono riuscito a trattenermi. Non mi aspetto che tu dica di sì, e se sto correndo troppo, magari potremmo vederci per un caffè qualche volta e vedere se da cosa nasce cosa. È solo che adesso…”

Blake non poté trattenersi e scoppiò a ridere. “Stai perdendo punti a ogni cosa che dici,” gli disse fra un ghigno e l’altro. “Forse è meglio se ti fermi.”

Jonathan s’interruppe, la bocca ancora aperta come se volesse continuare a blaterare lo stesso, ma poi arrossì e sorrise. Blake lo trovò troppo adorabile. “Sì, mi sa che sono un po’ uscito dal copione,” ammise l’altro. Il sorriso si spense. “Ma dicevo sul serio. Vorrei che venissi a casa con me. O in hotel, se preferisci un terreno neutrale. Diamine, se vuoi puoi farmi perquisire dal buttafuori.”

Tacque di nuovo, e Blake lo studiò. Sì, era stupido. Sì, avrebbe dovuto declinare cortesemente, prendere i soldi, e salutare Jonathan per sempre. Ma non poteva nemmeno negare che ci fosse qualcosa fra loro, una connessione indefinibile ma che non poteva ignorare. Non voleva ignorare.

E che diavolo, era il giorno di San Valentino. Che scusa migliore per fare un tentativo?

Sospirò. “Regole del club,” disse, attento alle parole che usava. “Non si prendono appuntamenti in orario di lavoro. Né coi clienti né con altri.” Si fermò e aggiunse, più piano: “Stacco a mezzanotte.”

Jonathan sorrise e annuì, e Blake seppe che aveva ricevuto il messaggio. Guardò volutamente l’orologio sopra la porta. “Trenta minuti,” annunciò, la voce più normale. “Grazie per il tuo tempo.”

Jonathan sorrise. “Grazie per lo ‘show’.”

 

 

JON NON era per niente sicuro di cosa sarebbe successo quando fosse tornato al locale a mezzanotte. Fu sorpreso di scoprirsi nervoso. Pensava che porre la domanda sarebbe stata la parte più difficile, ma adesso che aveva ottenuto un timido sì, doveva andare fino in fondo. Non aveva avventure di una notte dall’università, non rimorchiava nessuno nei locali da oltre due anni, e non faceva sesso da sei mesi. Fuori allenamento era solo la punta dell’iceberg.

Parte del suo nervosismo, lo sapeva, derivava dal fatto che Andy gli piaceva davvero. Sì, era un esemplare praticamente perfetto dal punto di vista fisico, ma era anche simpatico, socievole e gentile, e Jon sentiva una connessione fra loro che, a giudicare dalle reazioni dell’altro, sembrava essere reciproca. L’aveva messa giù come una singola notte di piacere fisico, ma una parte non irrilevante di lui non riusciva a smettere di sperare che potesse trasformarsi in qualcosa di più.

Organizzò quel che doveva e si prese qualche minuto per calmarsi prima di rientrare al Masque. Il buttafuori sull’uscio – che indossava una maschera rosa sbrilluccicosa che lo fece quasi ridacchiare dal nervosismo – lo squadrò da capo a piedi mentre gli controllava i documenti. Non era lo stesso buttafuori dello show privato, e Jon si chiese se la voce della sua proposta si fosse diffusa in tutto il locale e ora lo avrebbero cacciato via. L’uomo, però, gli restituì la patente e gli fece cenno di entrare, quindi a quanto pareva non c’erano grossi problemi.

Quando entrò, Andy era sul palco. Stavolta il tanga era rosso invece che nero, la canzone più lenta e sensuale, e Jon era ancora più eccitato di quanto non fosse stato la prima volta. Per quando l’altro ebbe concluso il numero, si sentiva sia più nervoso all’idea di quanto poteva accadere fra loro, sia più determinato ad andare fino in fondo.

Aspettò al bancone, sullo sgabello più vicino alla porta, guardando Andy che passava a raccogliere l’ultimo giro di mance. Non degnò Jon di uno sguardo prima di dirigersi dietro le quinte, ma dopo pochi minuti riemerse, senza maschera, con scarpe da ginnastica, t-shirt e jeans e intento a infilarsi un giaccone di pelle nera. Colse lo sguardo di Jon ad alcuni metri di distanza e gli lanciò un sorriso, facendogli un cenno verso la porta. Jon annuì in risposta, mettendosi il cappotto e uscendo ad aspettarlo, avvolgendosi subito la sciarpa al collo e infilandosi i guanti. La temperatura era alta per una notte newyorkese di metà febbraio, ma l’aria era comunque fredda.

Andy emerse meno di un minuto dopo, lo raggiunse e si fermò a un solo passo di distanza. Jon inclinò la testa verso l’alto per guardarlo negli occhi. Era più alto di quanto avesse pensato, almeno cinque o dieci centimetri in più del suo metro e ottanta.

“Ehi,” disse Andy, la voce bassa e sensuale. “Sei tornato.”

“Sì.” Jon sapeva di avere la voce roca, ma non gliene importava molto. “Sei contento?”

Andy esitò per un attimo prima di sorridergli lentamente. “Sì,” rispose. “Molto.”

Jon gli rivolse un sorriso ampio. “Ho prenotato una stanza,” disse. “Se sei ancora d’accordo.”

Andy annuì, gli occhi scuri nella notte. “Fai strada.”

 

 

L’HOTEL ERA a soli due isolati di distanza, e nessuno parlò lungo il tragitto. Salirono l’ascensore altrettanto silenziosamente, ma i loro occhi, puntati gli uni in quelli dell’altro, non smisero mai di dialogare dalle pareti opposte della cabina.

Quando arrivarono nella camera e si richiusero la porta alle spalle, Blake tornò a sentirsi nervoso. “Senti, lo so che lo dicono tutti, ma di solito non faccio queste cose,” spiegò mentre si levava il giaccone. “Anzi, in realtà non sono mai uscito con un cliente, in nessun modo. E non vado a letto col primo venuto.”

Jonathan si sfilò il cappotto e lo lanciò su una sedia. “Sì, forse è davvero una frase che dicono tutti, ma io credo nell’onestà. Il che vuol dire sincerità totale prima che comincino a saltare i vestiti.” Incrociò le braccia, appoggiando un fianco alla parete accanto al letto. “Quindi, riassunto del mio status. Sono sano, non faccio sesso da sei mesi, non ho avventure di una notte da anni. Uso sempre i preservativi, e li ho anche stavolta. Sono disponibile a qualsiasi cosa tu voglia fare, ma niente che lasci segni visibili. Quelli del make-up fanno sempre storie.”

Poi sorrise. “Oh, e un’altra cosa, e mi rendo conto che dopo questa potresti tirarti indietro. Non vado a letto con nessuno di cui non conosca il nome. Comincio io se preferisci. Mi chiamo davvero Jonathan, ma mi chiamano Jon. Jon Harrison.” Abbassò le braccia lungo i fianchi e fece un passo verso Blake. “Allora, Andy, c’è qualche oscuro segreto che devi rivelarmi?”

Blake sorrise al divertimento nella voce dell’altro. “Nessuno,” rispose, osservandolo che si avvicinava. “Più o meno sono messo come te. Non ho mai fatto sesso senza profilattico. Ho fatto il test due mesi fa e sono uscito sano su tutti i fronti. Non faccio sesso da circa quattro mesi, con la mia ex-ragazza.”

“Ragazza, eh?” Jon gli si fermò di fronte e sollevò un sopracciglio. “Non sei gay, quindi?”

Blake inclinò la testa. “Nemmeno etero. Mi piace quello che mi piace. Perché metterci un’etichetta?”

Jon sollevò una mano, accarezzandogli il collo e poi i capelli. “Posso avere quel nome, allora?”

Blake sorrise, facendogli scivolare le mani sui fianchi. “Blake,” disse, chinandosi finché le loro labbra quasi non si sfiorarono. “Blake O’Leary.”

Poi per un po’ non parlarono più.

 

 

JON SAPEVA che Blake era sexy dal primo istante che l’aveva visto. Aveva capito che sapeva muoversi quando l’aveva visto ballare. Aveva imparato che era sincero e generoso quando ci aveva parlato insieme. Poteva sicuramente combinare tutte queste informazioni mentalmente e dedurne che sarebbe stato abile a letto.

Niente di tutto ciò avrebbe potuto prepararlo alla perfezione del bacio di Blake O’Leary.

Le sue labbra erano morbide, decise e seducenti, gli persuadevano la bocca ad aprirsi così che la lingua potesse partire all’esplorazione. Con i denti gli strinse gentilmente le labbra, tirandole e mordicchiandole, risvegliando ogni sua terminazione nervosa. Con le mani gli toccò la testa, afferrò il viso, girandolo di qua e di là per trovare nuove angolazioni. Jon non poté far altro che aggrapparsi alle sue spalle e cercare di seguirlo senza che le ginocchia gli cedessero.

Cercò anche di non pensare a come sarebbe stato sentire quella bocca sul proprio uccello già duro come la roccia.

Alla fine Blake si staccò dalla sua bocca e gli fece scivolare le labbra sul mento e fino all’orecchio. “Allora, signor Harrison,” ansimò. “Ha delle preferenze, o va bene proprio tutto?”

Jon riuscì a ridacchiare. “Cazzo, in questo momento potresti continuare a baciarmi così tutta la notte, e non opporrei resistenza,” rispose, infilando una mano sotto la camicia di Blake. “Ma quello che mi piacerebbe davvero è succhiarti l’uccello finché non mi vieni in gola, e poi scoparti fino a farti venire di nuovo. Possibilmente urlando.”

“Cazzo.” Blake gli diede un altro bacio, forte, e si staccò annaspando. “Condivido tutto fino all’ultimo dettaglio.”

“Bene.” Jon si prese il tempo per baciarlo, avvolgendogli la mano intorno alla nuca per tenerlo fermo mentre lo esplorava a sua volta. In particolare gli piaceva scorrergli la lingua sulle punte acuminate dei canini. Forse era il caso che si facesse venire in mente qualche fantasia vampiresca per Halloween.

Cominciò a camminare verso il letto mentre si baciavano, e Blake capì cosa voleva fare e cominciò ad allentargli i vestiti. Per quando raggiunsero il materasso, le camicie erano sparite, i jeans sbottonati, ed entrambi si erano liberati delle scarpe.

Jon strinse le braccia sui bicipiti nudi di Blake, e si girò finché l’altro non rivolse la schiena al letto. Poi gli diede una lieve spinta, e Blake si lasciò cadere, atterrando sul materasso e rimbalzando appena, le gambe penzoloni oltre il letto. Jon si chinò e gli prese fra i denti la linguetta della zip, abbassandola lentamente sul gonfiore sotto il tessuto. Sotto indossava dei boxer di cotone nero, che Jon trovò molto più sexy di qualsiasi tanga potesse sfoggiare sul palco.

Si fece strada con la bocca lungo l’uccello di Blake attraverso il tessuto, ascoltando i gemiti lievi che gli sfuggivano dalle labbra. Aveva sempre adorato questa sensazione, lo stare in ginocchio e avere il totale controllo del piacere dell’altro. Non capiva come alcune persone vedessero nel pompino un atto di sottomissione.

Gli spinse giù i jeans mentre spostava la bocca sulla pelle sotto il suo ombelico, succhiando leggermente per non lasciare tracce. Blake doveva mostrare ancora più pelle di lui al lavoro, quindi non pensava che un succhiotto sarebbe stato apprezzato. Continuò a leccare e succhiare mentre strattonava e rimuoveva completamente i jeans, dopodiché riportò la sua attenzione all’ultimo capo di vestiario che rimaneva a ostacolarlo.

Affondò il naso nel tessuto soffice e inspirò a fondo. Blake aveva un profumo paradisiaco. La fragranza leggera del sapone indicava che si era fatto la doccia dopo l’ultima performance, ma la pelle portava ancora tracce dell’esercizio fisico di quella sera, una punta di vaniglia che sovrastava il suo odore muschiato naturale. Jon spostò la testa da una parte all’altra, strofinandola contro l’erezione celata dai boxer, e sentì lunghe dita infilarsi nei suoi capelli, senza spingere né guidarlo, semplicemente appoggiate lì, come se Blake non sopportasse di non toccarlo.

A Jon l’idea piaceva.

Allungò le mani e cominciò a rimuovere lentamente la biancheria, ascoltando Blake che inspirava a fondo quando il suo uccello spuntò fuori dall’elastico. Jon ci si lanciò all’istante, appiattendo la lingua sul fondo, facendola scorrere fino alla punta, e passandola sotto il prepuzio. Blake gemette e si contorse come se avesse toccato un filo elettrico. Sorridendo, Jon si scostò il tempo necessario a rimuovere completamente i boxer.

S’interruppe un’altra volta, facendo scorrere lo sguardo sulle sue cosce, superando l’uccello lungo, curvo e arrossato, la pancia piatta e il petto accaldato, fermandosi infine sul viso di Blake. Questi lo stava guardando, le lunghe ciglia che incorniciavano occhi scuri e dilatati dal piacere, la bocca leggermente schiusa mentre ansimava.

“Che cosa vuoi, Blake?” Jon non aveva bisogno di chiederglielo, ma voleva sentirglielo dire.

L’uomo si fece scorrere la lingua sui denti davanti. “Succhiami il cazzo,” gemette, e Jon lo accontentò.

Era bravo, lo sapeva. Non aveva un piano d’azione specifico, semplicemente catalogava i rumori che il partner emetteva e si concentrava sulle azioni che gli strappavano i suoni migliori. Blake andò in estasi quando gli leccò quel punto laterale subito sotto la corona, e quando gli succhiò entrambe le palle cullandole con la lingua. Per bagnarsi le dita in bocca o recuperare il lubrificante avrebbe dovuto staccarsi, così si concentrò sull’esterno, premendogli e strofinandogli i testicoli.

Quando arrivò ad alzarsi e prendergli in bocca tutto l’uccello, la punta che gli toccava il fondo della gola rilassata, Blake ormai tremava e blaterava parole incoerenti. Riuscì a resistere circa quindici secondi nella sua gola prima di gridare e venire, Jon che beveva ogni goccia e lo accarezzava per placare le convulsioni.

Si risedette sui talloni e sorrise, leccandosi le labbra mentre passava in rassegna l’uomo che languiva sul materasso sopra di lui. Però, questo sì che è un pompino ben fatto.

 

 

BLAKE GIACEVA immobile, cercando di radunare i neuroni impazziti. Porca puttana, era il miglior pompino della sua vita. Voleva dirlo a Jon, ma i centri nervosi adibiti alla parola erano ancora in tilt.

Jon scivolò sul letto accanto a lui, nudo, e Blake si voltò per rivolgergli un mezzo sorriso.

“Ehi,” disse Jon con un ghigno, la soddisfazione scritta su tutto il volto.

Blake alzò gli occhi al cielo. “Siamo fieri di noi, eh?” mormorò. Anche lui era piuttosto fiero di sé per essere riuscito a parlare.

Jon rise, a bocca aperta e rilassato, e a Blake sembrò così bello che all’improvviso gli venne voglia di passare ore a disegnarlo, dipingerlo, scolpirlo, qualsiasi cosa pur di catturare quel momento di perfezione e conservarlo per sempre. Il pensiero lo colse alla sprovvista e lo fece tornare sui suoi passi. È stato solo un bel pompino, ricordò a se stesso, non un impegno per la vita.

“Prenditi pure qualche minuto per recuperare le forze,” stava dicendo Jon. “Credimi, ci sono passato. Basta un po’ di esperienza e molto entusiasmo.” Rise di nuovo. “Dio, quanto mi piace farlo. Mi mancava più del sesso.”

Blake allora sorrise, rilassandosi di nuovo mentre la risata di Jon lo riscaldava. Qualsiasi cosa fosse, aveva deciso di lasciarsi andare.

“Sì, ti capisco,” rispose. “È stupendo far godere così l’altra persona.” Anche a lui piaceva. Anzi, gli sarebbe piaciuto molto restituirgli il favore.

Al pensiero si sentì invadere di energia, e si rigirò nel letto, cogliendo Jon di sorpresa mentre lo spingeva nel materasso. Non perse tempo coi preliminari, dandogli invece un lungo, bollente bacio con la lingua prima di tuffarsi a prendergli l’uccello in bocca. Jon sussultò e poi gemette rumorosamente, lasciandosi cadere sul letto e afferrandogli le spalle. “Oh, cazzo,” ansimò, e Blake sorrise senza interrompere il lavoro sul suo sesso.

Sapeva che non poteva continuare troppo a lungo, non se voleva che Jon lo scopasse, che poi era quello che l’altro aveva chiesto. Quindi usò la bocca con decisione ma anche gentilezza, la lingua in movimento, ed evitò di applicare troppa pressione. Quando alla fine Jon gli strinse le spalle, si staccò di sua iniziativa, spostandosi per riportare insieme le loro bocche.

Si baciarono con fame, i corpi che sfregavano l’uno contro l’altro, le mani che scorrevano fra i capelli e la pelle. Blake afferrò quelle di Jon, intrecciando le dita alle sue e schiacciando i palmi sul materasso ai lati della testa dell’uomo. Jon mugolò nel bacio, così Blake mantenne quella posizione, spostando i fianchi per allineare i loro uccelli e spingendo languidamente. Jon spalancò le gambe e piegò le ginocchia, piantando i piedi sul materasso e usando la posizione per ricambiare le spinte.

Blake strappò la bocca dalla sua, staccandosi quanto bastava per guardarlo negli occhi. “Dio,” sussurrò, la voce roca. “Sei troppo sexy.”

Jon gli sorrise sfacciato. “Fra simili ci si trova,” replicò, sollevando i fianchi più in alto.

Blake gli diede un bacio rapido e intenso. Tenne le labbra appoggiate alle sue mentre parlava di nuovo. “Scopami.”

Jon abbassò le palpebre e schiuse la bocca. “Oh, cazzo sì.”

 

 

BLAKE SI spostò, lasciandosi cadere di schiena sul materasso, e Jon si alzò e si sporse verso il comodino, dove prima aveva riposto i preservativi e il lubrificante. Quando si rigirò, Blake si era già messo un cuscino sotto i fianchi e aveva piegato le gambe, i piedi piantati nel materasso, in posizione perfetta per essere sbattuto come si doveva. A Jon venne l’acquolina in bocca.

Si affrettò fra le sue gambe e aprì il tubetto di lubrificante. “Dovrai dirmi tu quanto insistere,” disse. “Non voglio rischiare di farti male. Non mi piace infliggere dolore, non così.”

Blake rise e si spostò di qualche centimetro. “Neanche a me,” rispose. “Non ho mai avuto problemi prima, ma ti farò sapere se qualcosa non va.”

Jon portò le dita unte fino al buco di Blake e lo percorse in cerchio, finché l’uomo non ondeggiò di nuovo i fianchi. A quel punto gli infilò dentro un dito, prendendo il gemito dell’altro come incoraggiamento. Continuò con movimenti rapidi ma attenti, tanto che Blake accomodò tranquillamente tre dita e tornò ad avere il cazzo duro nel giro di pochi minuti. Jon attese di sentirlo inspirare a fondo e gridargli: “Scopami!” prima di prendere il preservativo.

Era pochi centimetri dentro di lui e quasi perse il controllo, trattenendosi per un pelo dal ficcarglielo tutto dentro. Vedere e sentire Blake sotto di lui era così piacevole, le labbra gonfie aperte e gli occhi che si chiudevano. Gemeva e oscillava i fianchi, così Jon si spinse più a fondo, e sentì il corpo dell’altro rilassarsi per lasciarlo entrare. Adorava quel momento, quell’ondata di accettazione. Gli faceva sempre venire le vertigini tanto era eccitante.

Si fermò quando fu tutto dentro, in attesa che Blake dicesse o facesse qualcosa per fargli capire che era pronto, ma l’altro sembrava un passo avanti a lui. Spinse il bacino e biascicò, praticamente ringhiando: “Muoviti!”

Jon si mosse. I suoi fianchi sembrarono animarsi di vita propria, reagendo ai suggerimenti verbali e non, quasi prima che il suo cervello li registrasse. Presto si misero a scopare sul serio, i corpi che sbattevano, i gemiti e le grida che rimbalzavano sulle pareti, gli odori del sesso e del sudore che impregnavano l’aria. Le gambe dell’altro gli scivolarono dalle spalle per agganciarglisi alle braccia, ma a Jon non importava, e a Blake non sembrò dispiacere. Teneva entrambe le mani strette allo spigolo inferiore della testiera, i muscoli così tesi da gonfiarsi, e quando se ne accorse Jon mugolò e accelerò il ritmo. Cristo santo, il corpo di Blake era più che perfetto.

I suoi gemiti ora erano costanti, la testa che si rigirava sul cuscino, gli occhi serrati. Il suo uccello gli rimbalzava sulla pancia a ogni spinta, e Jon sapeva che nessuno dei due sarebbe durato a lungo. Cambiò posizione e staccò una mano dal materasso per afferrargli il membro, massaggiandoglielo con forza e velocità. “Coraggio, Blake, vieni per me,” disse. “Sto per venirti dentro, e voglio vederti mentre…”

Non ci volle altro. “Oh cazzo, Jon!” gridò Blake, venendo sulla mano di Jon e sul proprio petto e la propria pancia, schizzandosi persino qualche goccia sul mento. Il suo sedere gli strinse l’uccello in una morsa, e Jon strillò il suo nome e lo seguì nell’oblio.

 

 

DOPO BLAKE non sapeva bene cosa dire. Una volta recuperate le forze, Jon si sfilò cautamente da lui e poi andò a prendere un panno e un asciugamano dal bagno, ripulendolo con gentilezza ma in silenzio. Blake rimase a guardarlo, cercando di interpretare la sua espressione.

Non era stata solo un’avventura di una notte, vero?

Si concesse un mezzo sorriso. Gli piaceva quell’idea. Il sesso era stato superbo, ma gli era piaciuto anche parlare al club. E solo guardare Jon adesso gli faceva formicolare la pelle e battere il cuore più forte. Non sapeva cosa sarebbe accaduto da lì in poi, ma non voleva che finisse tutto. Accidenti, come minimo, voleva potergli fare un ritratto. Magari più ritratti, in pose diverse, tutte senza vestiti, proprio com’era in quel momento.

Potrebbe rivelarsi il più bel San Valentino della mia vita, pensò.

Jon lanciò il panno e l’asciugamano nel bagno e tornò a stendersi sul materasso, a pancia in giù e con le mani sotto la testa e il viso rivolto a lui. Blake vedeva solo uno dei suoi occhi castani sotto alle ciglia lunghe e folte, ma l’ansia era evidente. Era stato Jon a correre il rischio più grande quella notte, giocandosi tutto per un’occasione con lui, e Blake decise che era ora di fare il primo passo.

Si girò verso l’uomo, piegando un braccio sotto la testa e allungando l’altro per fargli scorrere il palmo dalla nuca fino al fondo della schiena, dove lasciò riposare la mano, appena prima della curva del sedere.

“Allora,” attaccò. “Avevi accennato a un caffè?”

Jon sollevò appena la testa, incontrando il suo sguardo. Sembrò studiargli il viso, e Blake cercò di trasmettergli sicurezza, affetto e interesse. Cercò di dirgli senza parole, e senza insistere troppo, che anche a lui sarebbe piaciuto esplorare questa cosa.

Gli occhi di Jon si fecero più rilassati e luminosi, e un lento, bellissimo sorriso con tanto di fossette si diffuse sul suo volto. “Sì,” rispose piano. “Sì, è vero.”

Blake ricambiò il sorriso, e lo attirò fra le sue braccia. “Caffè per colazione,” disse piano. “Ma fino ad allora, tanto vale sfruttare la camera.”

Jon ridacchiò contro il suo petto. “In effetti ho comprato un sacco di preservativi,” mormorò, e a Blake venne da ridere.

“Oh, penso che ci serviranno,” ribatté. “La prossima volta scelgo io.”

Jon rise di nuovo, e Blake chiuse gli occhi, assaporando il suono.

Forse, dopotutto, il denaro non sarebbe stato l’unico lato positivo del suo lavoro. Non sapeva se doveva ringraziare Cupido o San Valentino, ma in ogni caso, sapeva che per lui il quattordici febbraio non sarebbe mai più stato lo stesso.