DOMANI

John Goode

 

 

È facile pensare che il mondo è una merda.

Ultimamente sembra esserci più oscurità che luce, più cattiveria che bontà, e molto più odio che amore. In un mondo ossessionato dalla propria immagine, è facile pensare che tutto sia uno schifo. Ma non è vero. Quando vediamo una persona in pericolo, accorriamo ad aiutarla. Quando vediamo qualcuno bloccato in un incendio, il primo impulso è tuffarci nelle fiamme per salvarlo. Queste persone si chiamano eroi, queste persone si chiamano coraggiosi, e a volte ci sembrano chimere.

Non lo sono.

Tutti gli autori di questa raccolta hanno colto al volo l’occasione di scrivere una storia. Non per interesse, non per senso di colpa, ma perché volevano aiutare. Volevano tuffarsi nelle fiamme e salvare qualcuno. Quindi questo le rende eroi. E voi avete comprato il libro: anche se magari non lo leggerete mai per intero, avete comunque contribuito. Questo fa di voi degli eroi. E anche quelli che hanno donato sono eroi, e così via.

Quindi, in un mondo apparentemente di merda, sembrano esserci un casino di persone in gamba che cercano di fare del bene. Voi siete fra loro, quindi lasciate che vi dica per primo, e di certo non sarò l’ultimo… grazie.

 

 

“LA SPIAGGIA?” disse Ryan con un leggero sorriso. “Cos’è, siamo ne Le pagine della nostra vita?”

Paul smise di prendere la roba nel cofano e lanciò uno sguardo al suo uomo. “L’avevi. Promesso.”

Ryan sospirò e chiuse lo sportello, perché in effetti l’aveva promesso. Era il loro quinto anniversario, e Paul voleva fare qualcosa ‘da fidanzati’. Il che, per loro, era a dir poco una novità.

Mimando il gesto di serrarsi le labbra, sorrise e spalancò gli occhi più che poteva.

“Meglio,” rispose Paul, tornando a prendere gli oggetti misteriosi che aveva stivato nel baule prima di partire. “Portami questa coperta.”

Ryan si avvicinò e prese la coperta dei Michigan Wolverines dal baule, notando il piccolo cesto da picnic che il compagno aveva in mano. “Okay, quindi niente Le pagine della nostra vita. Da qui all’eternità?” chiese speranzoso.

Paul chiuse lo sportello con un colpo. “Avevi promesso!”

Ryan tornò a tacere.

Si erano incontrati al secondo anno di college, in circostanze come minimo sospette. Ryan aveva da poco chiuso con la terza morosa dell’anno ed era già in cerca della quarta, quando aveva incontrato Paul a una festa fra confraternite. Ryan andava fiero della propria sfacciata eterosessualità.

Paul l’aveva sgamato in cinque minuti di conversazione.

Quelle che inizialmente erano cominciate come sessioni di gratificazione reciproca si erano presto trasformate in una relazione segreta, che a un certo punto si era fatta autentica. Quando aveva detto al padre di essere gay, Ryan era certo che il vecchio sarebbe molto sul colpo.

“Non puoi essere gay. Giochi a football,” gli aveva risposto quello, quasi strozzandosi.

Il che riassumeva un po’ tutta la sua visione del mondo.

Paul era gay da prima di capire il significato del termine. Fin da piccolo girava sempre per mano con un amichetto, si preoccupava della propria igiene personale più di molte ragazze, e aveva sbalzi d’umore degni di un cinema pieno di fan di Twilight. Aveva imparato da solo a comportarsi normalmente, anche se non aveva idea di cosa volesse dire. Era diventato atletico, aggressivo e molto socievole – il ritratto di un qualsiasi giovane uomo.

Tranne, ovviamente, per il fatto che gli piacevano i ragazzi.

“Qui va bene,” disse, fermandosi in mezzo alla spiaggia. La giornata stava giungendo al termine, e tutti i turisti e gli innamorati erano rientrati nelle proprie case. Gli unici rimasti erano gli etero che correvano coi cani, le ragazze che guardavano gli etero che correvano coi cani, e i pochi autentici fan dei tramonti californiani. “Mettila qui,” disse a Ryan.

“Sissignore,” ribatté lui sarcastico. Quando la gente li incontrava, pensava in automatico che fra i due fosse Ryan ‘l’uomo’, come se esistessero divisioni del genere. Ex-atleta, personal trainer, nonché maniaco degli sport, era l’immagina incarnata di un eterosessuale moderno.

Tranne, ovviamente, per il fatto che gli piacevano i ragazzi.

La forza che aveva trovato in Paul continuava a sorprenderlo. Invece di un semplice compagno di letto, aveva trovato un amico, un partner, e soprattutto un suo pari. Aveva trovato una persona più che disposta a prendere in mano il timone della loro vita e guidare la barca mentre lui schiacciava un sonnellino. La prima volta che si era addormentato fra le braccia di Paul, aveva esalato un sospiro che non si era neanche reso conto di trattenere. Era stata la prima notte in cui si era accorto di essere innamorato.

Dopo aver steso la coperta, Ryan aspettò pazientemente di sentire cosa prevedesse il piano di Paul. “E ora? Ci sediamo? Facciamo una passeggiata? Mettiamo su uno show per i tizi che fanno jogging?” chiese, alzando le sopracciglia.

“Tu pensi solo al sesso, eh?” ribatté Paul, esasperato.

“Ehi, ero felicemente etero prima di incontrarti. Non è colpa mia se mi hai plagiato.” Era una vecchia battuta che di solito strappava una risata a Paul, ma non stavolta.

“Lo eri davvero?” chiese l’altro, timoroso di incontrare il suo sguardo. “Felicemente etero?”

Ryan spostò il peso da un piede all’altro e rifletté. “Felicemente non so… ma mi consideravo etero, sì.” Era un altro argomento familiare, ma stavolta c’era una serietà che gli faceva un po’ stringere il petto. “Perché me lo chiedi?”

Paul non disse niente. Continuò a tacere per diversi secondi, mentre fissava la coperta. Al college ci avevano fatto l’amore sopra e sotto più volte di quante volesse ammettere. Non era solo una coperta; era il loro simbolo – il loro totem, quasi. Ci avevano fatto l’amore sul pavimento del dormitorio di Ryan, una fredda notte di novembre dopo un party particolarmente lungo. A quel tempo la vita sembrava così semplice, come una grande distesa aperta di fronte a loro. Era facile decidere cosa fare l’indomani. C’era sempre un altro domani, e poi un altro, e un altro ancora.

Dopo il diploma, aveva seguito Ryan in California. Avevano una casa in affitto e l’auto in comune; le abitudini del college si erano semplicemente estese alla vita vera. E l’indomani era diventato oggi e poi ieri, eppure… non ne avevano mai parlato.

“Che stiamo facendo?” chiese infine Paul, sollevando lo sguardo.

“Lo chiedi a me?” fece Ryan, stupefatto. “Cos’è, hai un ictus? È stata una tua idea! Sei tu che sei voluto venire in spiaggia!” Rise.

“Non sto parlando della spiaggia, accidenti!” sbottò Paul. Non era così che doveva andare. “Che stiamo facendo?” chiese ancora, stavolta in tono più dolce.

Ryan rimase confuso qualche secondo prima di comprendere e strabuzzare gli occhi. “Oh! Che stiamo facendo…” Si grattò la nuca mentre sembrava rifletterci. “In quel senso, dici?”

“Lascia perdere,” fece Paul, lasciando cadere il cesto. Il contenuto rotolò sulla coperta. Erano sassi, decine e decine di sassi lisci, ciascuno grande quanto il pugno di un bambino.

Ryan li fissò, dopodiché tornò a guardare Paul. “Volevi lapidarmi, per caso? Perché se è per disfarti di me, ci sono modi più semplici…”

Paul si voltò senza fiatare e si diresse a grandi passi verso la macchina.

“Ehi!” lo chiamò Ryan, raggiungendolo. “Una volta ridevi alle mie battute,” disse, superandolo e mettendosi a camminare all’indietro di fronte a lui.

“Non è divertente.” Paul continuò ad avanzare, furioso.

“Okay, okay, okay, okay!” fece l’altro, appoggiandogli le mani sul petto. “Cos’erano quei sassi?” Paul rallentò appena. “Eddai, lo sai che sono tutto muscoli e niente cervello! Se non me lo spieghi non capisco!”

Paul si fermò. “È una cosa stupida. Lasciamo perdere, okay?”

Ryan non aveva alcuna intenzione di lasciar perdere. “Senti, stai facendo una scenata per niente.” Il viso di Paul si fece duro per la rabbia e Ryan si affrettò ad aggiungere: “Ma io ti amo anche quando fai il melodrammatico, e lo sai benissimo. Però davvero, tesoro… puoi spiegarmelo con parole tue? Faccio già abbastanza fatica a sbrogliare i miei, di pensieri, figuriamoci i tuoi.” Paul continuava a tacere. “Ti prego?”

L’altro sospirò e lanciò un’occhiata alla spiaggia alle sue spalle. “Se te lo dico calerà un silenzio imbarazzato, e sarebbe come costringerti ad affrontare un argomento per cui non sei pronto, e non voglio…”

“Parla!” ordinò Ryan interrompendolo.

Paul si fermò e sospirò a fondo. “Volevo mandarti a cercare legnetti e intanto scrivere ‘mi vuoi sposare’ con i sassi.”

Ryan non disse niente, fissandolo senza espressione.

“Lo vedi? Avevo ragione!” Paul cercò di superarlo. “Ho capito. È troppo presto. Non è ancora domani!”

“Con i sassi?” chiese Ryan sorpreso. “Sul serio? Sassi veri?”

Paul si fermò e gli lanciò un’occhiataccia. “Sì, perché? È una cosa romantica!”

“È stupido,” replicò Ryan, tornando a rivolgersi all’oceano. “Sassi stupidi,” borbottò.

“Oh, sentiamo, tu come avresti fatto, signor genio?” chiese Paul, afferrandolo per una spalla e facendolo girare.

In un attimo Ryan si voltò, s’inginocchiò e aprì una scatoletta con un anello di platino. “Io avrei detto ‘mi vuoi sposare’, scemo.”

Paul rimase pietrificato, incapace persino di respirare.

“Magari ero felicemente etero, ma tu mi hai reso super-gioiosamente gay. E adesso di’ qualcosa, prima di svenire.”

Paul non riuscì a dire che: “Ti odio.”

Ryan gli afferrò la mano e se la avvicinò. “Lo so persino io che nella lingua di Paul vuol dire ‘lo voglio’.” Con voluta lentezza, Ryan infilò l’anello al dito del fidanzato.

Paul sollevò la mano, sconvolto da quanto amasse quell’uomo.

Ryan si alzò e lo cinse con un braccio per attirarlo a sé e baciarlo. “Sul serio, però. Sassi? È da sfigati.”

Paul lanciò uno sguardo all’oceano, e si accorse… che il domani era finalmente arrivato.