UNA SPINTARELLA
DI UMANA BONTÀ

Amy Lane

 

 

Eric e TJ – curiosamente, non ci siamo mai conosciuti davvero. Ci siamo visti in giro, sugli ascensori, e ci siamo scambiati cenni di saluto, ma avevamo troppa gente che ci trascinava in direzioni opposte per fermarci a scambiare due parole. Ma non ha importanza. Una comunità si fa viva quando ne hai bisogno – e io volevo esserci per voi. Vi auguro salute e felicità. Vi auguro tempo da trascorrere insieme, e amore. Vi auguro angeli.

 

 

TESTIMONE: L’ANGELO Gabriele.

L’angelo il cui nome significa ‘eroe dell’uomo’. L’angelo che è possibile incontrare sui campi di battaglia dei giusti. L’angelo che si è fatto portatore di alcuni dei più grevi messaggi di Dio, dal regno del cielo al mero suolo che calpestano i mortali. Il braccio armato di Dio fra gli uomini.

L’angelo eletto dai suoi pari ‘il più grande stronzo del cielo’.

L’angelo che al momento si beccava un bel cazziatone da Abraxos e Camael, entrambi superiori a lui di grado e intenti ad assordarlo con voci così possenti che i cieli tremavano ed esplodevano in raffiche di suono visibili e trascendenti.

Quell’angelo.

“Hai ignorato una preghiera rivolta direttamente a te!” tuonò Abraxos. Le nubi alle spalle del primo angelo del cielo si fecero di un oro sporco, ossidato, che poi sbiadì in un sudicio color peltro. Ad Abraxos piaceva mostrarsi con un lungo viso da aristocratico e i capelli che gli svolazzavano intorno alle tempie come un giardino di fiamme. Il più anziano degli angeli, proprio. Semmai il più anziano degli esibizionisti. Gabriel tendeva a fare le smorfie non appena Abraxos si voltava di profilo e attaccava la filippica, perché tanto da quella posizione Abraxos non poteva vederlo, no?

“Avresti potuto ribaltare l’esito della battaglia…” tentò di dire Camael, ma era un pesce piccolo. Aveva il ruolo di assegnare i poteri angelici, e ne era molto consapevole. Come risultato aveva sempre un atteggiamento umile – e un incarico del genere avrebbe spaventato anche Gabriel. Il ‘corpo’ angelico con cui si mostrava era snello e minuto, e le ‘ali’, che rivelavano il suo potere e il suo stato d’animo tramite colore e grandezza, tendevano a rimanere accoccolate alle spalle, sovente tinte del colore di un usignolo. In pratica una specie di bianco sporco, senza lucentezza perlata. Aveva i capelli di un castano simile.

Ma mentre gli altri angeli interpretavano la modestia di Camael come segno di umiltà, Gabriel la vedeva come avrebbero fatto gli umani: ossia una debolezza pronta per essere sfruttata.

“Era appena una scaramuccia!” borbottò a denti stretti.

“Non ha importanza. Quegli uomini non dovevano morire – su nessuno schieramento. E la battaglia porterà a una crisi di governo, che potrebbe condurre a una guerra…” Camael si torse le lunghe, artistiche mani da angelo e si lisciò le vesti impeccabili. “Non vedi…”

“Non vedo?” sbuffò Gabriel. “Non vedo? Per millenni, non ho fatto altro che vedere – e li ho visti distruggersi l’un l’altro come pantegane che azzannano le proprie viscere. Ecco cos’ho visto! Uomini viscidi, crudeli, spietati, feroci…”

“Infelici, torturati,” intonò Abraxos, e Camael li sorprese entrambi.

Raggiungendo il massimo della propria statura, e poi crescendo proporzionalmente alla propria rabbia e alla propria passione, schiuse le ali, che abbracciavano leghe e decadi, e sfavillavano di un oro minaccioso.

“Altruisti, gentili, puri di cuore, coraggiosi e luminosi,” dichiarò, e i cieli alle sue spalle risuonarono di tutti i colori primari, in versione sia pastello che luminosa, fino a esplodere in una gloriosa pioggia d’oro. “Sono l’orgoglio dei cieli, la ragione per la venuta del Figlio nonché la più perfetta fra le creazioni di Dio, e voi non mancherete loro di rispetto.”

Gabriel osservò meravigliato lo spettacolo di luce. Aveva già sentito queste stronzate, ed era certo che tutti gli angeli più anziani la pensassero come lui: che fosse tutta propaganda per le masse angeliche, fandonie per convincere gli angeli inferiori, che controllavano cose tipo i polli e le querce, a gioire delle proprie meschine e miserabili esistenze.

“Ci credi davvero?” chiese, in parte divertito e in parte sconvolto.

Lo sdegno sul viso di Camael fu il suo unico avvertimento.

L’angelo sbatté le mani, e nei cieli calò il silenzio. Si trovavano sospesi sopra il sud America, di notte, e tutte le lampadine del continente saltarono – gli umani avrebbero passato i successivi dieci anni a dare la colpa alle macchie solari.

Gabriel si sentì restringere, diminuire, la gloria devastante della sua spada del castigo che rimpiccioliva, s’infilava nella tasca della sua veste, tramutata in penna. Le vesti stesse scomparvero, finché non rimasero che semplici abiti umani – jeans, t-shirt e una felpa col cappuccio, tutto fra il blu e il bianco, tutto in cotone organico – persino gli indumenti intimi che all’improvviso sentì sugli altrettanto improvvisi genitali maschili.

Quando le sfavillanti luci dell’ira di Camael si attenuarono, Gabriel storse il naso per l’odore acre del nuovo ambiente in cui si trovava, gli occhi stretti a fessura per orientarsi nella stanza buia.

“Starbucks?” chiese, sopraffatto dal terreno. Cercò freneticamente nella propria mente e si accorse di avere accesso a una gamma estremamente limitata dei propri abituali poteri angelici, compreso quello dell’orientamento. “Uno Starbucks in un centro commerciale nel nord della California.” Il nome gli comparve in testa, e Gabriel fece una smorfia ironica. “Sul serio? Citrus Heights?” Gettò un’occhiata fuori dalla finestra e vide l’asfalto rotto della strada principale e una catena di negozi di giocattoli che risaliva agli anni cinquanta. “Non vedo agrumi da nessuna parte.”

Al suo fianco Camael ridacchiò, e Gabriel lo fulminò con lo sguardo.

Da umano, Camael indossava un semplice completo marrone, un po’ largo rispetto al fisico da uccellino. Portava anche – e persino Gabriel sapeva che era fuori moda – un borsalino sui radi capelli castani. Sembrava piuttosto in là con gli anni. Gabriel si guardò il dorso delle mani, la pelle forte ed elastica e le vene blu. Si fece scorrere le dita fra i capelli e passò mentalmente in rassegna il proprio corpo. Come immaginava, era un rubizzo giovanotto sui vent’anni.

“Spero almeno di avere gli occhi blu,” disse all’improvviso, e Camael rise di nuovo.

“Tu, vanesio? Mi stupisci, Gabriel.”

Gabriel sapeva bene di essere in castigo, ma non riuscì a trattenersi. “Tutti i racconti della Bibbia dicono che erano blu,” sussurrò, quasi a se stesso. E di colpo seppe di avere gli occhi blu. “Grazie,” borbottò prima di lasciarsi cadere a un tavolo vuoto, dove appoggiò il mento sulle mani.

“Prego, Gabriel,” mormorò Camael. “Ma non lo sei.”

“Non sono cosa?”

“Non sei in castigo.”

Gabriel lo guardò scettico. “Per un attimo stavo per crederti! Cioè, perché non l’Alaska? Almeno là avrei trovato qualche forma di vita intelligente.” Osservò con rassegnazione una donna sovrappeso coi capelli rosso acceso entrare nel locale, chiudere gli occhi e inspirare, e poi dirigersi al bancone.

Era pronto a scommettere che avrebbe ordinato un qualcosa al caramello, extra-large, possibilmente con un bel biscottone da quattrocento calorie.

Invece la donna chiese una bibita al limone e pagò con gratitudine. Beh, pensò lui vagamente, a volte ti stupiscono.

“Esatto,” s’intromise Camael. “Ed è per questo che sei qui.”

Gabriel spostò lo sguardo all’esterno, dove una ragazza con jeans elastici da due soldi e scarpe con le zeppe spingeva un passeggino con un bimbo frignante. Nessuno dei due indossava giacche, nonostante la gelida giornata di febbraio, e la giovane parlava al telefono mentre masticava una gomma. Gabriel tornò a guardare Camael, depresso.

“Onestamente non sono molto stupito,” disse con assoluta sincerità. Chiuse gli occhi ed estese la propria percezione. Era indubbio che nella fila di appartamenti dietro al centro commerciale fossero in corso un pestaggio di moglie, due risse fra infanti, tre compravendite di stupefacenti, svariati imboscamenti di armi da fuoco, e un occultamento di denaro sporco sotto uno scalcagnato letto singolo. “Anzi,” continuò tristemente, tornando a guardare Camael, “non trovo proprio niente che non mi aspettassi.”

“Beh,” rispose l’altro facendo spallucce. “Uno trova quello che cerca. E a te hanno insegnato a cercare certe cose. Lo capisco, Gabriel. Sei il nostro guerriero, non vedi altro che spade insanguinate. Ma solo perché tu non vedi altro, non significa che non esista.”

Camael bevve un sorso dalla pesante tazza di porcellana marrone che aveva fra le mani e chiuse gli occhi soddisfatto. Gabriel si accorse che quaggiù, nel mondo umano, l’angelo che normalmente appariva nervoso e oppresso sembrava decisamente più rilassato. Era come se la forma modesta gli si addicesse, pensò seccato. Stupendo.

“E cos’è che dovrei vedere?” domandò, anche se sapeva che era inutile.

Camael rise senza ironia. “Non c’è bisogno che ti nutri, ma ti consiglio di farlo. E non scordarti dei tuoi bisogni corporali, se dovessero insorgere. Non puoi volare, ma sei invincibile. Hai un corpo forte, giovane e in salute – puoi spostarti dove vuoi a piedi. Se ti servono soldi, te li troverai nelle tasche. Non ti serve un posto dove dormire – basta che ti siedi nel luogo dove vuoi trascorrere la notte, e diventerai vigile, inattivo e invisibile a quasi tutti gli umani finché non sarai rinvigorito e pronto a ricominciare la giornata. Puoi comunicare con loro, ma cerca di non interferire. A parte questo, ci vediamo fra una settimana.”

“Una settimana?!” protestò Gabriel. “Hai detto una settimana? E chi coprirà il mio ruolo? Chi esaudirà le preghiere destinate a me? Chi interverrà a combattere al fianco dei giusti?”

Camael fece spallucce. “Abraxos, suppongo. Ultimamente se la tira troppo – pensi di essere l’unico a meritare una vacanza?” Il piccolo angelo sorrise e l’espressione era sorprendentemente gentile. “No, tranquillo, Gabriel. Devi solo osservare, scambiare qualche parola, e poi riferire. Sei un ragazzo sveglio – e lo so che non hai cattive intenzioni. È solo che…” Camael fece un gesto con le mani, ma senza nervosismo. Al contrario, le fece svolazzare dal suo corpo da uccello, come a voler comprendere cose molto più grandi di questo piccolo Starbucks nel centro commerciale di un noiosissimo sobborgo popolare. “Goditi l’esistenza da umano,” concluse infine, fermando le mani. “Goditela, Gabriel. Troverai pane per la tua anima.”

E all’improvviso era sparito, portando con sé la tazza di ceramica, e a Gabriel non restava che ciondolare in uno Starbucks a Citrus Heights.

Trascorse lì forse tre ore, a fissare il vuoto, chiedendosi come diavolo fosse finito in quella situazione e provando non poca soddisfazione all’idea che almeno Abraxos avrebbe condiviso il suo fato.

E poi a chiedersi cosa avesse combinato Abraxos. Non era dovere degli angeli trattare gli umani con sufficienza?

A quanto pareva non per Camael, eh? Sorpresa! L’angioletto dei poteri angelici sapeva il fatto suo. Quella sì che era una lezione da imparare. Tienti i poteri stretti alle vesti e vola basso – o almeno, così avrebbe dovuto fare.

Qualcosa di indefinito – forse un clacson – lo strappò alle sue contemplazioni, e Gabriel si girò e guardò fuori dalla finestra giusto in tempo per vedere un ragazzino scendere dal minivan della madre, mentre suddetta madre – cicciottella, nervosa, in jeans, felpa e capelli scompigliati – gli impartiva qualche istruzione dell’ultimo minuto. Il ragazzo afferrò il famoso grembiule verde e corse verso l’entrata sul retro dello Starbucks.

Parzialmente divertito, Gabriel lo guardò riemergere due minuti dopo con le mani ancora bagnate. Aveva vispi occhi blu e capelli biondi, con punte all’insù e scriminatura a V, ma era il sorriso sfacciato a distinguerlo da qualsiasi altro ragazzotto biondo di periferia.

“Il maggiolino è di nuovo in garage?” domandò la ragazza al bancone. Aveva sui vent’anni, coi capelli neri sottili tirati in una coda stretta stretta e piena di doppie punte. Gabriel intravedeva delle abrasioni all’attaccatura e pensò che si sarebbe ritrovata calva a trent’anni se non imparava a cambiare acconciatura. O forse avrebbe usato le sopracciglia come riporto. Eppure era gentile col ragazzo appena entrato – Gabriel passò alla vista da angelo e si diede uno scappellotto mentale per il pensiero sulle sopracciglia. Diamine, che razza di bastardo cinico era diventato, per non notare neanche più le gentilezze più semplici?

“L’hanno di nuovo bombardato di uova,” borbottò il ragazzo, scuotendo la testa. “Dio, certa gente non cresce mai.”

“Stai sfidando la sorte,” replicò la donna, la voce cadenzata dal ritmo di un’altra lingua – probabilmente spagnolo messicano, se Gabriel non errava. “Cioè, lo so che dell’arcobaleno non frega niente a quasi nessuno, ma quelli a cui frega sono degli stronzi.”

Il ragazzo la guardò e sorrise. “Hai proprio ragione! Ma tu non sei una stronza, Maritza cara, vero?”

Lei sorrise timidamente. “No, Jamie – io ti voglio bene, come te ne vogliono tutti i tuoi fidanzati.”

Jamie fece una smorfia. “Al momento sono un po’ a corto di fidanzati…”

“Jamie!” protestò Maritza, e in quel momento entrarono nello Starbucks tre donne con scarpe lucide dall’aria estremamente scomoda e completi neri fuori moda da almeno cinque anni. Gabriel si accorse di aver messo su il muso perché Maritza e Jamie non potevano proseguire la conversazione. Si era appassionato, doveva ammetterlo. Con i danni alla proprietà personale ci andava a nozze, ma Jamie non sembrava troppo turbato, e Maritza era più preoccupata della sua vita amorosa. Era piacevole, pensò, rimpiangendo di non avere del caffè in cui affogare i dispiaceri. Vedeva posti orribili nel mondo, e cose orribili – di cui buona parte consisteva in uffici governativi dove uomini abbienti prendevano decisioni che sarebbero costate la vita ad altri. Era piacevole, ascoltare una conversazione perfettamente normale fra persone che non volevano inculare e/o ammazzare altri esseri umani.

Jamie e Maritza servirono le donne, che subito presero posto sulle poltroncine ad angolo non lontane da Gabriel. Vi prego, ignoratemi, pensò, e quelle per fortuna lo ignorarono. Cominciarono a chiacchierare dei propri figli, e Gabriel rimase seduto a giudicarle.

“Sì, gli ho detto che in casa mia poteva scordarsi di portare quella t-shirt, e il giorno dopo mi ha telefonato la scuola per dirmi che l’aveva indossata a lezione!”

Così magari la prossima volta gliela lascerai portare a casa e gli chiederai perché pensa che dovrebbero legalizzare la marijuana. La mamma del suo miglior amico sta morendo di cancro – voleva solo fare la cosa giusta.

“Io ringrazio il cielo per Cassie – non ha mai saltato un giorno di scuola. Passa le serate a studiare, ci dà sempre sotto – proprio come suo padre.”

Suo padre non si taglia le braccia e non vomita due volte al giorno. Forse dovresti cominciare a pensare alla felicità di tua figlia, invece che ai suoi voti.

Il terzo membro del gruppo, una donnina coi capelli scuri e gli occhiali con la montatura in celluloide, rimase ad ascoltare le amiche annuendo, ma senza commentare.

“E i tuoi, Carla?”

Carla sorrise e fece spallucce. “Non so, sono ancora piccoli. Passano i pomeriggi in cortile a giocare a Star Wars con le spade di plastica. A Mario Cart stravincono, ma a Tricky li batto ancora, visto che è un vecchio gioco. Che altro?”

Gabriel le sorrise, anche se lei non poteva vederlo. Sono allegramente amorali, rifilano i broccoli al cane obeso e si abbuffano di cioccolato ben oltre il limite consentito. Ben fatto, mamma!

“Beh, sì, ma i voti? Vanno già a scuola, no? Come va coi compiti?”

Carla fece spallucce. “Non li fanno. Secondo me non è necessario. Allora, che fate voi per San Valentino?”

La conversazione prese un’altra piega, ma Gabriel si accertò di mandarle le congratulazioni mentali. Anche lui riteneva i compiti non necessari, specialmente prima delle scuole medie.

“Ti ho visto!” La voce di Camael gli risuonò in testa.

“Visto cosa?” chiese Gabriel serissimo, e Camael se ne andò.

Le donne lasciarono il locale, che si fece silenzioso. Jamie e Maritza erano intenti a ripulire, probabilmente così che la donna potesse andare a casa, quando arrivò un altro cliente. Aveva all’incirca l’età di Jamie – ma si muoveva con molta più esitazione, come inquieto.

“Ehi!” cinguettò Jamie. “Ecco il cliente che aspettavo!”

Il ragazzo sollevò la testa e si scostò i capelli lisci e castani dagli occhi grigi. Aveva un viso triangolare, come una volpe, e un modo furtivo di muoversi che suggeriva che avesse passato la vita a cercare di rendersi invisibile.

“Ehilà,” rispose, guardandosi intorno come per accertarsi che Jamie stesse parlando proprio con lui. “Sì, prendo di nuovo il quattro e quindici.”

Gabriel strabuzzò gli occhi. Sì, aveva visto la fermata dell’autobus appena si era seduto – e si era mentalmente segnato di evitare quel luogo a ogni costo. Certa gente era abbastanza svitata da vederlo e raccontarlo al mondo intero. Gli angeli erano molto, molto cauti in presenza di chi poteva percepire le auree e le ali invisibili. Fosse anche solo perché il dono, se rivelato, non sembrava tradursi in niente di buono per chi lo possedeva. Anzi, sembrava che chi diceva in giro di vedere i messaggeri di Dio finisse automaticamente rinchiuso in posti orribili, e a Gabriel non dispiaceva lo sguardo del giovane coi gesti timidi da volpe. Era un angelo – riusciva a vedere la purezza di cuore. Mica era colpa sua.

Ma a parte la purezza di cuore, questo giovanotto non sembrava più sensibile degli altri umani presenti nello Starbucks. Lanciò un altro sorriso al ragazzo dietro al bancone.

“Allora,” disse Jamie, “il solito?”

Un cenno timido. “Sì – caffè normale. Basta così.”

Perché non puoi permetterti altro. Gabriel lo osservò contare le monetine e fare una smorfia. Oh, cavolo. Non puoi permetterti neanche quello. Il ragazzo si ficcò le mani in tasca con un certo panico, e Gabriel sospirò. E va bene. Se proprio doveva.

Il ragazzino tirò fuori una banconota da venti e la fissò, sorpreso.

“Wow, Ernie!” commentò Jamie con fare incoraggiante. “Oggi sei ricco!”

“Sì,” disse Ernie, ancora frastornato. “Se l’avessi saputo, avrei ordinato un extra-large al cioccolato.”

“Buono a sapersi,” Jamie fece un sorriso scaltro. “Perché avevo detto a Maritza di fartelo lo stesso. Fuori fa troppo freddo per un caffè normale!”

“Oh, ma…”

“Un caffè americano,” ordinò Jamie. “Piccolo. Giusto, Maritza?”

“Sì” replicò Maritza con altrettanta allegria. “Ecco a te, Ernie. Un caffè americano piccolo, solo che in realtà è un caffè mocha extra-large col caramello. E un biscotto al cioccolato, perché tanto stavo per finirli. Ecco a te, tesoro. Non prendere freddo.”

Ernie arrossì, le guance puntute che si coloravano come solo ai chiari di pelle capita. “Grazie,” mormorò; era chiaro che fosse sia molto imbarazzato che molto grato. “Si sta mettendo in brutto.”

Gabriel guardò fuori e si accorse che la giornata uggiosa si era fatta buia e tempestosa, con piccole macchie di freddo e umido. Voleva chiedere al ragazzo dove avesse messo la giacca, visto che indossava solo una felpa grigia senza sciarpa né guanti, ma non lo fece.

“Già!” concordò Jamie, dopodiché assunse un’espressione scoraggiata. “Cavolo, e io devo farmi venire a prendere da mamma. Lo odio. La costringo ad alzarsi dal letto tipo, alle undici, e mi sento una merda.”

“Lei sarà contenta che hai un lavoro,” rispose Maritza con fare pratico, e Gabriel sorrise. Aveva sbirciato in casa sua – un piccolo appartamento da dividere col marito che lavorava in fonderia e un neonato adoratissimo da entrambi. Maritza era già una brava mamma.

“C-che ti è successo alla macchina?” chiese Ernie, e Gabriel lo studiò attentamente. Era chiaro che gli ci era voluto tutto il suo coraggio per porre quella domanda.

Jamie fece spallucce. “Bombardata di uova. Un po’ è colpa mia – tutti quegli adesivi. Dovrei decidermi a toglierli.”

“No!” replicò Ernie, e Gabriel non fu l’unico nel bar a guardarlo sorpreso. Ernie arrossì di nuovo, ma tenne i piedi dritti mentre cullava la gigantesca tazza di carta piena di caffè e lipidi. “No,” ripeté, a voce più bassa. L’acquazzone preannunciato finalmente arrivò, e tutti sollevarono lo sguardo; sembrava che qualcuno stesse rovesciando un sacco di pistacchi sul tetto. “Gli adesivi sono importanti,” disse Ernie un attimo dopo. “Gli adesivi ci danno speranza, capisci? Speranza di non essere soli. È bello che qualcuno lo dica a voce alta, senza vergogna e senza perdere il sostegno della propria famiglia. È bello.”

Si guardò alle spalle e fece una smorfia, perché l’autobus stava avanzando lentamente lungo la strada. “Ciao,” disse piano, come se non avesse appena fatto una bomba di coming-out e sconvolto i due commessi del negozio. “Grazie per il caffè,” aggiunse mesto, prima di sparire.

Gabriel lo guardò allontanarsi e fu tentato di seguirlo fisicamente per vedere dove andasse. Non gli capitava spesso che la gente lo sorprendesse, ma quel ragazzino timido c’era riuscito. Che atto coraggioso, quando quasi non riusciva a guardare negli occhi il ragazzo che gli piaceva.

Ma Jamie ovviamente non sapeva di piacergli.

“Wow,” disse, nel silenzio del locale. “È stato… cioè, wow. Uno spera sempre di dare speranza agli altri, ma…”

“Ma non sa se ci riesce davvero,” concluse Maritza, una sorta di sorriso sul viso. “No, io credo che sia una cosa positiva.” Sbuffò. “Specialmente in questa città.”

Jamie ridacchiò. “Ti hanno lasciato altri post-it minacciosi?”

Lei scosse la testa. “Quella non era una minaccia, mijo, era deficienza! Non sapevano neanche come si scrive ‘immigrato’! Quella gente dovrebbe andare a scuola, invece di sprecare tempo dietro al mio adesivo ‘Viva Cesar Chavez’. Dovrei metterne pure uno pro-choice, così sì che li farei imbestialire.”

Jamie rise sorpreso. “Ma, ma…”

“Solo perché io ho voluto avere un figlio non significa che debbano tutti. Te lo dico io, certa gente farebbe meglio a non riprodursi affatto, se capisci che intendo.”

Altre risate. “Sì, capisco eccome. Vorrei che ti sentissero anche quelli che mi hanno spaccato il vetro coi sassi e le uova!”

Gabriel sorrise e si arrese. Non ne ordinò uno, ma all’improvviso si ritrovò di fronte una di quelle belle tazze di alluminio riciclabile, piena di quel qualcosa che aveva reso Ernie così felice. Perché no? Come aveva detto Camael, in un certo senso era in vacanza, e non era così male starsene seduti in quell’isola di pace nel mare di cupezza, a leggere queste persone gentili – doveva ammetterlo –come se fossero un libro.

C’erano modi peggiori di passare il pomeriggio.

 

 

QUELLA NOTTE rimase seduto dov’era e scomparve dalla visione di Jamie mentre questi chiudeva il locale. Il ragazzo era uno spasso da guardare: la prima cosa che fece fu accendere lo stereo che i commessi tenevano sotto il bancone e mettersi a cantare le canzoni. Un altro giovane era arrivato dopo la dipartita di Maritza, e quando iniziò a cantare con Jamie gli One Direction, stonando armoniosamente, per un breve istante Gabriel tornò a detestarli.

Ma poi vide che l’altro giovane – Steve – rimaneva ad aspettare fino all’arrivo della madre di Jaime, e si ricordò ancora una volta che le piccole gentilezze abbondavano.

Era un pensiero a cui non era preparato quando era piombato nel mezzo del bar, questo poco ma sicuro.

Rimase seduto, immobile come una roccia, nel locale a luci spente, gli occhi chiusi a guardare da dietro le palpebre le persone che aveva conosciuto quel giorno.

Alcuni di loro erano intenti a compiere atti riprovevoli. Nonostante la gentilezza mostrata a Jamie, Steve si accingeva a passare la notte con una ragazza che non aveva alcuna intenzione di richiamare. La donna il cui figlio indossava la t-shirt a favore della marijuana aveva iniziato una raccolta firme per far cacciare un insegnante troppo liberale per i suoi gusti. Uno degli uomini d’affari che erano passati durante la serata stava sottraendo fondi alla sua azienda.

Che cazzo.

Alcuni non facevano niente di male. Carla stava preparando dei brownies per una collega depressa. Maritza cantava una canzone al bambino, che piangeva perché stava mettendo i denti. Ernie faceva i compiti mentre lavorava come volontario per una linea diretta anti-suicidio.

Gabriel aggrottò la fronte e si spostò sulla sedia. Se avesse avuto le ali, le avrebbe fatte sbattere. La geografia non aveva segreti per lui – osservava continuamente la terra dall’alto.

Il luogo in cui sedeva Ernie, il cubicolo tutto colorato con i muri pieni di informazioni su cosa fare in caso di emergenza, non era affatto situato fra dove la sua abitazione (un piccolo appartamento di fronte a una scuola superiore) e lo Starbucks. Anzi, Ernie lo squattrinato aveva dovuto dirigersi prima verso lo Starbucks, e poi da lì prendere l’autobus che lo portava nella direzione giusta.

Perché diavolo fare una cosa del genere?

Beh, okay, aveva una cotta per Jamie. Ma non era niente di che, no?

Con prudenza, perché Ernie era più sensibile di altri – di questo Gabriel era certo –, s’insinuò a esplorare quel piccolo cervellino contorto.

E vide Jamie.

Vide Jamie a otto anni che giocava nella sabbia ai giardinetti, il re del castello che permetteva a Ernie di aggiungere le foglie in cima alla costruzione.

Vide Jamie a tredici anni, circondato di amici, ma che non mancava mai di salutare Ernie quando lo incrociava per i corridoi di un qualche istituto scolastico.

Vide Jamie il giorno del diploma, un arcobaleno attaccato con lo scotch al tocco nero, che dava il cinque a un gruppo di studenti prima di posizionarsi in cima alla fila e prendere posto nella processione. Ernie si trovava nella stessa fila, e anche se Jamie non l’aveva riconosciuto, lui – lui goffo, pieno di brufoli e capelli che non venivano mai puliti – si era sentito incluso.

Li vide accordarsi per vedersi quella sera al party degli studenti che seguiva la cerimonia, e vide il modo in cui Ernie si era illuminato.

Vide Jamie scorazzare per la città su una piccola Volkswagen, avanti e indietro dall’università statale alla casa dove vivevano la madre, il padre e le sorelle. Ernie prendeva il bus per raggiungere la scuola e abitava in un appartamento squallido e vuoto, il massimo che poteva permettersi lavorando di notte come benzinaio. Ernie non aveva una famiglia felice, una casa felice, perché Ernie aveva fatto coming-out dopo il diploma e aveva passato la sera a imballare le sue cose e portarle allo squallido appartamento, invece di uscire con gli amici.

Invece di uscire con Jamie.

Gabriel si scostò di colpo dalla sua testa.

E allora? Chi cazzo se ne fregava? Sì, va bene, era triste – ma c’erano cose molto peggiori, no? Gabriel era stato sulla scena di diversi crimini, aveva visto cadaveri, malattie, morte, lutti inconsolabili, famiglie distrutte, sopravvissuti mutilati…

La litania di immagini gli scorse davanti agli occhi, lavando via le tracce della bella giornata trascorsa al bar, spazzando via la pace e le briciole dell’affetto che aveva provato per quelle persone dalla vita ordinaria.

Basta!

Aprì gli occhi e si ritrovò nello Starbucks chiuso, il petto umano che saliva e scendeva per lo sforzo di respirare.

Aveva le guance rigate di lacrime.

Gabriel? La voce di Camael era tenera e compassionevole.

Vattene, pensò lui, ma non aveva più forza per arrabbiarsi.

Ricorda, Gabriel, per cosa combatti.

La risposta di Gabriel fu rumore statico nella sua testa, perché non poteva. Non poteva ricordare.

Sottilmente, con la massima gentilezza, Camael gli fornì un’immagine di Ernie, che lavorava alla linea anti-suicidi perché una volta, durante il primo anno fuori casa, in quello squallido appartamento senza riscaldamento, si era trovato dall’altro capo del telefono.

E il giorno dopo, mentre si trascinava a dare gli esami, il bus si era rotto e lui era finito lì. Allo Starbucks. Dove Jamie aveva cercato di abbracciarlo da dietro il bancone e gli aveva chiesto, con autentico entusiasmo, come se la passasse.

Le lacrime non si fermavano. Oh, per tutti i diavoli, guardatelo – Gabriel, la spada ardente della giustizia di Dio sulla terra – che piange come un… Non riusciva neanche a dire ‘bambino’. Aveva visto bambini sopportare l’orrore in silenzio.

E non aveva importanza.

Si appoggiò il viso alle braccia e dimenticò di essere un angelo, dimenticò di essere invisibile nel bar di uno squallido centro commerciale, dimenticò tutto tranne il sapore della sofferenza umana e della dignità con cui veniva sopportata.

 

 

LA MATTINA dopo si sentiva di nuovo se stesso. Guardò i commessi del mattino rompere il frullatore e sghignazzò di gusto nel vederli arrabattarsi per aggiustarlo, preparare il caffè e comporre i sandwich, il tutto in uno spazio talmente minuscolo che un topo si sarebbe offeso.

Dio, era proprio felice di non vestire quasi mai i panni umani.

Ma Jamie arrivò intorno alle tre, la Volkswagen gialla con un vetro nuovo di pacca – e adesivi nuovi di pacca, a giudicare dalla lucentezza dei colori non sbiaditi dal sole – e all’improvviso sentì un dolore al petto, nel posto dove si sarebbe trovato il suo cuore se avesse ammesso di averne uno.

Non era innamorato del ragazzo, no. Ma lo vedeva con gli occhi di Ernie, e all’improvviso non era più un qualsiasi ragazzo dal sorriso smagliante che annaspava per finire l’università. All’improvviso era sfavillante, come la gloria di Dio che illuminava una coppa di legno, o la magnificenza delle ali.

E al tempo stesso, Gabriel sentiva il suono ridicolo della sua risata, e la sfilza di ragazzotti con cui era uscito dai tempi della scuola, e ricordava il modo in cui il suo sguardo tendeva ad appannarsi quando qualcuno gli parlava di argomenti che non lo interessavano. Jamie ci provava – Gabriel doveva ammetterlo – si fingeva interessato, per non ferire i sentimenti del suo interlocutore. Nel tempo passato a sedere nel bar, Gabriel si era reso conto che stava diventando un’arte perduta.

Ernie lo amava – ma non era un amore cieco.

Solo totale. Incondizionato. Senza riserve né eccezioni. Ernie lo amava quando usciva con altri, e lo amava quando era nella fase di passaggio fra uno sfigatello e il successivo. (Parole sue, non di Ernie. Ernie era decisamente troppo tenero coi ragazzi con cui andava a letto Jamie. Gabriel ne avrebbe sgozzati almeno un paio nel sonno, e in teoria era uno dei buoni.) Ernest Wilkins amava James McPhee senza aspettative né riserve.

Era una verità, come la pioggia che è bagnata e il cielo che è blu e la fiducia di Gabriel nel suo capo.

E Gabriel non riusciva neanche più a guardarlo senza che quella verità gli offuscasse la visione.

Trascorse due ore in agonia. Non riusciva a distogliere gli occhi dal ragazzo che Ernie amava, e non riusciva a guardarlo. Si dimenò agonizzante sulla sedia di plastica, smanioso di campi di battaglia e qualcosa da sgominare.

Quando arrivò Ernie, e tutta quella disperata smania celebrativa gli uscì dal petto e andò a posizionarsi al posto giusto, Gabriel quasi pianse.

Il ragazzo entrò incespicando, come se avesse un carico sulle spalle, ma poi si rimise dritto. Due autobus in più, solo per vedere Jamie. Non si sarebbe tirato indietro per così poco, no?

Riuscendo a malapena a respirare, Gabriel osservò la sua timida, inarrestabile marcia fino al bancone e lo guardò pescare nelle tasche. Contò un dollaro e venti in monete, e sospirò.

E poi sorrise.

E poi estrasse la fiammeggiante penna della giustizia dalla tasca della felpa.

Jamie, ti va di vederci dopo il lavoro?

Perfetto. Probabilmente non era la calligrafia di Ernie, ma visto che non era suo nemmeno il biglietto da venti che aveva appena tirato fuori dalla tasca e appoggiato al bancone, andava bene lo stesso, no?

“Ciao, Ernie – un altro caffè americano?”

Ernie sorrise timidamente. “Sì, grazie mille. Vedo che il maggiolino è tornato in funzione.”

Jamie sorrise e prese la banconota. “Sì, un giorno o l’altro dovrei portarti a fare un giro. Lo sai che ha il tettuccio apribile? Magari appena smette di pio…” Jamie si accorse della banconota che aveva in mano. “…vere… Ernie, l’hai scritto tu?”

Ernie strabuzzò gli occhi. “Scritto cosa? Non sapevo nemmeno di averlo in…” Fissò la banconota e poi Jamie. “Oh,” mormorò, e che l’avesse scritto o meno, il rossore che gli si diffuse sulle guance era inconfondibile. “Uhm. Beh, non che mi dispiacerebbe, ma, cioè, mi piacerebbe un sacco, ma lo so che tu non…”

Jamie sorrise, e Gabriel, anche da lontano, capì che non c’era un singolo pensiero crudele al mondo che quell’espressione potesse celare – ma Ernie questo non lo sapeva.

“In realtà oggi non voglio il caffè,” si affrettò a dire, e poi, con sommo orrore di Gabriel, cominciò a filarsela, zigzagando fra i sei clienti in fila che lo separavano dalla porta. Gabriel guardò Jamie girarsi e aggirare Maritza e Steve per uscire da dietro il bancone, ma accidenti, l’autobus stava arrivando, e il ragazzo non avrebbe mai fatto in tempo.

Oh, diavolo.

Gabriel sospirò e allungò un piede, proprio mentre Ernie si avvicinava alla porta. Il ragazzo cadde a terra lungo disteso, splat.

“Scusa,” disse Gabriel senza ombra di rimorso. “Tutto okay?”

Ernie lo fissò a occhi stretti, come confuso dalla discordanza fra il tono e le parole, e poi, con suo sommo orrore (e sollievo di Gabriel) Jamie fu accanto a lui.

“Dio, Ernie, stai bene?”

Ernie aveva cercato di rimettersi in piedi, ma la domanda lo fece afflosciare a terra. “No,” rispose, sconsolato. “Mi vergogno da morire. Non puoi lasciarmi scappare sull’autobus?”

Jamie fece una smorfia e gli offrì una mano. “Beh, sì, ma prima devo darti il caffè. E il resto.” Lo aiutò a rialzarsi, dopodiché si avvicinò qualche passo in più di quanto fosse strettamente necessario. “E dirti a che ora stacco,” gli sussurrò all’orecchio.

La speranza di Ernie era dolorosa da guardare. “Sì?” chiese, la voce instabile. Beh, e allora? Pure il mento di Gabriel non era dei più stabili.

“Sì,” rispose Jamie. Deglutì a fatica, il pomo d’Adamo che sobbalzava. “Sì. A me… ecco…” Alzò lo sguardo e fece una smorfia di fronte all’affollamento al bancone, tutti che lo fissavano curiosi. “Prima pensiamo al caffè e al resto, okay?”

Ernie annuì, inspirò a fondo, e poi fece quello che Gabriel lo aveva visto fare per la maggior parte della sua vita: si avviò timidamente verso il futuro. Solo che stavolta c’era Jamie al suo fianco, e i suoi passi erano forse un pelino più sicuri, e il futuro forse un pelino più luminoso.

“Allora,” disse Camael, apparendo accanto a lui, “sei pronto a tornare al lavoro?”

Gabriel gli lanciò un’occhiataccia. “Avevi detto una settimana,” replicò. “Me la sto spassando.”

“Quest’affermazione è puro sterco, e lo sappiamo entrambi.” Camael si ritrovò una tazza fumante in mano, e mugolò per la gioia.

Gabriel guardò il bancone, dove Ernie stava pagando una miseria per il caffè gigantesco. Jamie aveva preso i soldi e ora gli stava scrivendo un’ora e un numero di telefono sul lato della tazza di carta. Nel passargliela, si accertò di sfiorargli le mani. Il sorriso di Ernie gli illuminò quel viso banale e spigoloso con più gloria di quanta la maggior parte degli umani potessero sopportare.

“Posso controllare?” chiese Gabriel, sentendosi curiosamente umile. “Sai, così per… sicurezza. Per accertarmi…”

“Per accertarti che non rovinino questo momento sublime con la loro umanità?”

Gabe guardò Ernie allontanarsi con riluttanza per cercare di prendere l’autobus. Il ragazzo era felice – più felice di quanto lo avesse mai visto durante quella cauta e dolorosa esplorazione del suo passato la notte scorsa. “Sarebbe successo comunque,” disse con fare protettivo.

“Infatti,” replicò Camael. “Ma a volte è per questo che ci siamo noi.”

“Per far inciampare i buoni?” chiese Gabriel ironico, e l’altro angelo sorrise.

“Per ricordarci i vantaggi dell’essere umani. Ora vieni – Abraxos ha portato la nazione sull’orlo della guerra.”

“Oh, merda!” imprecò Gabriel, schizzando in piedi. L’intera popolazione dello Starbucks lo fissò come se fosse apparso dal nulla. “Non è passato neanche un giorno terrestre!”

“Sì, beh,” ammise Camael, alzandosi con riluttanza. Svanirono le tazze di caffè, e poi anche loro, scomparendo dalla consapevolezza dei presenti mentre s’innalzavano, su, su, oltre i sobborghi trasandati, sopra la valle inquinata e le bellissime montagne, su in alto fino a scorgere la curvatura della terra. “Sì, Abraxos funziona così. Guasta le cose in modo abominevole, fino a richiedere una lezioncina di umiltà, dopodiché è pronto a cadere.”

Gabriel sobbalzò quasi via dal cielo. “Cadere?” In effetti gli angeli cadevano – anzi, ne aveva vista un’ondata nei paraggi dell’ultima curva intorno al sole. Cadevano sulla terra, a volte in compagnia di altri angeli, e camminavano la superficie del pianeta e peccavano e amavano e soffrivano e desideravano. E poi, quando i loro gusci mortali erano esausti, se avevano imparato abbastanza, desiderato abbastanza e sofferto abbastanza, veniva concesso loro di tornare nei cieli.

Quindi sì, gli angeli cadevano – ma Abraxos e Camael non erano angeli qualsiasi.

“Certo, ragazzo mio,” rispose Camael serenamente. “Cadere è la parte del lavoro che preferisco. E l’ultima volta Abraxos è caduto come femmina, e io come maschio, e abbiamo avuto un piacevole intermezzo amoroso.”

Gabriel rimase a fissarlo, senza vedere altro che perfezione angelica, e ne fu meravigliato. “Se mai cadrò,” borbottò, “puoi star certo che sarà come maschio.”

Camael rise. “Beh, questo dipende da con chi cadi, ragazzo mio, ma penso che una lezioncina di umiltà sia sufficiente per questo secolo, non trovi?”

“Parole sante,” borbottò Gabriel, e insieme volarono dove voci di una guerra globale rivelavano il colossale casino del primo angelo del cielo. Gabriel però lo capiva. A quanto pareva anche gli angeli erano umani.