Jay Huxtable
Jay Huxtable non arriverebbe al punto di dire che Charlie gli piace, ma senza dubbio non è detestabile quanto si era aspettato. Sarebbe più facile, se così fosse. Si sono visti un po’ di volte e si sono parlati al telefono per aggiornarsi e, per quel che gli risulta, la ragazza ha tutte le rotelle al loro posto. Se non conoscesse le persone coinvolte, Jay direbbe che la sua storia è credibile. Forse si tratta di percezione. Charlie ha avuto la sensazione che fosse una violenza, e perciò per quanto la riguarda lo è stata. Curtis, dall’altra parte, ha visto la faccenda in modo diverso. Oh, fermo lì! Decisamente troppo profondo per le nove di un giovedì mattina. Non ha ancora preso manco una tazza di tè né si è fatto un bel McMuffin superimbottito come piace a lui.
Sfortunatamente, John ha tenuto d’occhio Charlie e l’ha beccata a gironzolare davanti a casa di Linda. «Cristo, è veramente matta, quella» ha commentato mentre glielo riferiva. «Quella Charlie è una palla al piede, ecco cos’è. Ce ne dobbiamo occupare.»
Jay l’aveva scrutato, cercando indizi nelle rughe. Troppo profonde, scavate da anni e anni di disinvolta crudeltà. Avrebbe potuto chiedergli chiaro e tondo cosa voleva dire che se ne dovevano occupare, ma ha preferito evitare.
A John piace giocare con lui, ma a lui non piace essere il suo pupazzetto.
Oggi Jay vedrà Charlie. Di norma scalpita di impazienza all’idea di quegli incontri. Le “informazioni” di Charlie sono sempre talmente misere da essere ridicole, ma la sua ingenuità è dolce.
La trova... tenera. Non è una parola tipica nel suo vocabolario.
Oggi, però, è diverso. Oggi l’idea dell’incontro lo terrorizza. Fissa l’orologio. Se solo potesse fermare il tempo. Si vedranno nelle terre selvagge del Surrey. Alla lettera, hanno appuntamento in mezzo al nulla. Idea di John. Già quello non lo fa stare sereno. Quello, e il fatto che John lo seguirà con la sua auto, «per tenervi compagnia, diciamo». In quella giornata c’è uno scopo che lo atterrisce. L’aria è rarefatta e accelerata dalla velocità e lui è intrappolato nel suo getto. Guarda l’orologio. La lancetta dei secondi si sposta rapida. Passa un altro minuto. Jay non sa come fermarla.
«Cristo! Cosa aveva il Regent’s Park che non andava?» chiede Charlie.
Okay, non sono proprio in mezzo al nulla, ma quasi. Giù da un viottolo, accanto a un ruscello. In un altro giorno forse potrebbe anche trovarlo pittoresco. Jay oggi proprio non riesce ad apprezzare il panorama. Vede solo loro due, in piedi nella nebbia dei rispettivi fiati, e alle loro spalle...
Charlie batte i piedi nel tentativo di scaldarsi, fa un freddo boia. «Hai scelto un posto senza caffetterie il giorno più gelido dell’anno. Ho appena avuto l’influenza. Ho fatto qualcosa di male?»
L’ha fatto? Certo che l’ha fatto, altrimenti John non si troverebbe a duecento metri da lì, l’auto nascosta tra i cespugli. O forse non l’ha fatto. Forse non ha mai fatto niente, ma loro gliela faranno pagare comunque.
«Stai bene? Hai l’aria di essere lì lì per piangere.»
«È il freddo» replica lui.
Sono seduti nell’auto di Jay, proprio come ha detto John. Charlie parla e Jay cerca di afferrare le parole ma gli scivolano tra le dita. Guarda fuori dal finestrino, l’orecchio teso a cogliere rumore di passi. Il cuore gli pesa così tanto da abbatterlo. Ha paura che possa farlo arrivare fino al suolo, sotto, seppellirlo vivo.
«Hai sentito una parola di quel che ho detto?»
«Ti sto ascoltando.»
«Bene, allora ripeti.»
L’uomo alza le mani. «D’accordo, hai vinto.»
«Dicevo che ho un nuovo lavoro.»
«Capisco.» Ma non capisce. Non vede il senso di farselo raccontare. Non lo comincerà, quel lavoro. Non otterrà una promozione. Non ci arriverà mai.
«Volevi dire congratulazioni.»
«Congratulazioni.»
«Non mi chiedi di cosa si tratta?»
«Sono tutt’orecchi.»
«Governante.»
«Pensavo ti piacesse lavorare in albergo.»
«Questo è più interessante. Chiedimi per chi lo farò.»
«Un oligarca nel quartiere Belgravia?»
«No. Clapham, in realtà.»
«Ah, ecco.»
«Ruthermore Road, per la precisione. Un colpo di fortuna.»
Finalmente Jay ci arriva. Ecco perché gongolava tutta.
Lei gli porge la mano. «Piacere, sono Anna. Comincio a lavorare per Linda la settimana prossima.»
Huxtable è fuori dall’auto prima ancora di rendersene conto. Chiama John. «Aspetta, non fare niente.»
«Ho degli ordini.»
«Chiamo subito Curtis.»
«Hai cinque minuti» replica lo scozzese.
Per una volta, Curtis risponde al telefono. È un segno. Un cazzo di segno.
«Ha ottenuto un lavoro da Linda... ci sarà molto più utile, dentro casa...» Si zittisce, sa di non dover dire troppo al telefono.
Il silenzio si protrae, si sbafa il suo tempo. Cinque minuti, ha solo quelli, poi John entrerà in azione.
«Curtis?»
«Sto pensando, dammi un attimo. Okay. Per questa volta, penso che tu abbia ragione. Chiamo John.»
Jay aspetta, non dà niente per scontato. Un motore si avvia, si sente uno scricchiolio di sassi sotto le ruote, poi più nulla.
John se n’è andato.
Huxtable torna di corsa da Charlie, tanto leggero che gli sembra di volare. Il sole sbuca tra le nuvole, rovescia una nebbia lattiginosa sul parabrezza dell’auto.
L’uomo si siede, riprende fiato, la guarda e il volto gli si apre in un sorriso.
«Allora, Anna, parlami di te.»