5

Dopo aver informato la vedova Scargill che l'avrebbe sposata, Gil si era ripromesso di non pensare più a lei.

Ne fu incapace.

Durante i due giorni che impiegò a raggiungere Losford, non pensò ad altro.

Aveva partecipato a poche battaglie per le quali si era sentito meno preparato. Con uno scudo e una spada, si sentiva perfettamente a suo agio. Nessuno lo avrebbe mai giudicato un codardo. Tutte le lezioni che gli erano state impartite sul comportamento onorevole, che era necessario dimostrare durante una guerra, erano impresse nella sua memoria.

Purtroppo non aveva mai imparato a essere galante, a corteggiare con il dovuto rispetto una nobildonna. Aveva rimandato il momento di apprendere quelle cose, reputandole irrilevanti. Di conseguenza, quando era giunto il momento di metterle in pratica ed era stato costretto a prendere in moglie una donna, non aveva saputo che cosa dire.

Sì, lei aveva acconsentito, anche se non avrebbe potuto biasimarla se avesse desiderato un matrimonio diverso. Devo conoscere i vostri congiunti, aveva detto come se fosse all'oscuro del suo passato. Lo ignorava sul serio? In tal caso, come avrebbe reagito quando avesse scoperto...?

Era troppo tardi per chiederselo. Lei aveva accettato la sua proposta di matrimonio. La questione era chiusa. L'avrebbe sposata e avrebbe avuto il figlio che aveva sempre desiderato.

E il retaggio che avrebbe voluto tramandare a quel bambino? La Castiglia balenò di fronte a lui come un miraggio. Quando aveva bisogno di trovare sollievo, rivedeva con l'occhio della mente i variopinti cortili, così lontani dalle foreste di Leicester. Lì, sotto il sole, ben distante dal luogo in cui il nome dei Brewen non significava che disonore, suo figlio sarebbe diventato un uomo orgoglioso.

A mano a mano che gli angoli merlati delle mura di Losford Castle, che si specchiavano nella stretta fascia di acqua che separava l'Inghilterra da Calais, apparivano alla vista, Gil si sentì rassicurato. Quel posto era casa sua più di quanto lo fosse mai stata la propria. Lì, aveva fatto i primi passi verso la redenzione.

Era stato un bambino solitario che portava un nome disonorato, aveva svolto le mansioni di un paggio e in seguito di uno scudiero per il conte, uno degli uomini più potenti di tutta l'Inghilterra. Prima che cadesse sul campo in Francia, aveva plasmato il suo carattere e le sue capacità.

Anche se non aveva avuto il tempo di farsi precedere da un messaggero, le guardie riconobbero il suo vessillo e prima ancora che lui fosse smontato, Lady Cecily, la figlia del defunto conte, e suo marito si precipitarono nella corte per abbracciarlo.

«È passato troppo tempo» dichiarò lei nel tono di affettuoso rimprovero che avrebbe potuto usare una sorella.

Suo marito, Marc, lasciò che una pacca sulla spalla esprimesse i suoi sentimenti. Erano trascorsi otto anni da quando Marc aveva avuto pietà di lui dopo la morte del conte, e gli aveva insegnato dei nuovi modi per reggere lo scudo e vibrare la spada. All'epoca, era sembrato che l'Inghilterra avesse sconfitto tutti i suoi nemici e lui, appena nominato cavaliere, aveva temuto che non gli si sarebbe mai presentata l'opportunità di dimostrare il suo valore in battaglia. Un timore infondato. Le opportunità non gli erano certo mancate.

Marito e moglie lo condussero all'interno del castello e insieme sedettero accanto al fuoco, le mura di pietra che attenuavano l'urlo del vento. Una coppa di vino. L'aroma dell'agnello che stava arrostendo. I volti degli amici. Gil assimilò tutto ciò che lo circondava, lasciando che la stanchezza del viaggio, gli anni e l'imminenza della guerra, defluissero da lui, consentendogli di godere di un senso di pace.

Come sarebbe stato possedere un porto sicuro come quello? La vedova gli avrebbe sorriso nel vederlo come Cecily sorrideva a Marc quando lo guardava?

Quei due, tuttavia, avevano sfidato un re per far trionfare il loro amore, non erano stati costretti a recarsi alla porta della chiesa come due sconosciuti.

«È talmente piacevole rivedervi.» La voce di Cecily lo riportò al presente. «Continuo a sperare di ricevere la notizia che siete in procinto di sposarvi.»

Gil si schiarì la gola. «Solo questa settimana, il duca mi ha scelto una moglie.» Un termine ancora estraneo sulla sua lingua.

«Chi? Ditemelo!»

«So molto poco di lei.» A un tratto, il pensiero di tutto ciò che avrebbe appreso gli sfrecciò nella mente. Il sentore di lei. La sensazione che gli avrebbero procurato le sue labbra. Se la notte dormiva su un fianco o supina. «È la vedova di uno dei miei uomini.»

Cecily scoppiò in una risata. «Be', forse potreste dirci come si chiama.»

«Valerie.» Benché non fosse la prima volta in cui pronunciava il suo nome, adesso si rese conto di quante volte lo avrebbe fatto negli anni a venire. «Lady Valerie, vedova di Scargill.»

«Lady Valerie di Florham? La sua famiglia ha vissuto per molte generazioni a due giorni di viaggio da qui.»

«La conoscete?» All'improvviso, Gil scoprì di essere ansioso di trovare un legame fra la sua sposa e Cecily, che era stata come una sorella per lui.

Lei scosse la testa. «Non ci siamo mai incontrate, ma sono a conoscenza di molte cose sulla sua tenuta e sulla sua famiglia.»

«Una famiglia rispettabile, sostiene Lancaster.»

«È vero.» Cecily e Marc si scambiarono un'occhiata, come se non avessero bisogno di parole per capirsi a vicenda e, per un istante, lui si scoprì a invidiarli. Desiderava quel tipo di amore, quel genere che non aveva bisogno delle parole. «Che cosa pensa del...» Del fatto di sposare un Brewen. «Della vostra famiglia?»

«Non l'ha detto.» Quella domanda tornò a tormentarlo. Il duca l'aveva scelta perché lei non era in grado di protestare? O si limitava a ignorare i misfatti perpetrati molto tempo prima, lontano dal suo angolo di mondo? In quest'ultimo caso, avrebbe dovuto parlargliene. E se lei non avesse più acconsentito a sposarlo, sarebbe stato libero...

Gil si raddrizzò sulla scranna. Non valeva la pena menzionare le sue meschine delusioni. «Non è per questo che sono venuto.»

Mise giù la sua coppa. Il momento di pace e di serenità era passato. «Lancaster si prepara a salpare per la Castiglia e il re sta radunando i velieri per mandare in Francia una spedizione.»

Il viso di Marc si indurì. A quella velocità, anche lui era diventato un guerriero, pronto a battersi.

E Cecily? Non era da lei assumere l'espressione atterrita che assumevano tante donne alla menzione della guerra. Solo un breve lampo di mestizia, subito cancellato. «Re Edoardo non comanda la sua armata?»

Cecily era stata troppo a lungo lontano dalla corte. Non poteva sapere fino a che punto le forze lo avessero abbandonato e con quale frequenza fosse assente dal salone.

«Sono certo che Lancaster consulti il padre e il fratello su ogni decisione.» Parole pronunciate troppo in fretta, come se i più grandi guerrieri inglesi fossero ancora in grado di guidare un'armata. Gil emise un pesante sospiro. Quelle persone meritavano di sapere come stavano le cose. «La verità è che né il re né il suo primogenito sono in buona salute.» Un'ammissione difficile da fare. Per più di quarant'anni un Edoardo aveva condotto i suoi uomini alla vittoria. Che cosa avrebbero fatto adesso?

Cecily e Marc si erano scambiati un'altra occhiata. Quale messaggio segreto si erano trasmessi?

Lei però era cresciuta in quel castello, lo aveva ereditato e lo aveva difeso per l'Inghilterra. Era il baluardo che serviva a fermare chiunque avesse osato attraversare il Canale. «Losford è pronto» dichiarò. «Che cosa occorre al re?»

«Velieri, chiatte, qualunque cosa sia in grado di galleggiare sull'acqua.»

«Non uomini?» domandò Marc. Era venuto in Inghilterra come un ostaggio francese e vi era rimasto per amore, promettendo di difendere le rive di Re Edoardo. Ma sarebbe stato disposto a invadere il proprio paese?

Gil gli posò una mano sulla spalla. «No. Non vi chiederemo una cosa del genere.»

Un istante di sollievo. Poi parlarono di altre cose: quanti velieri erano già pronti e a quale velocità sarebbe stato possibile reperire gli altri. Appariva ormai chiaro che la spedizione non sarebbe partita quando aveva deciso il re.

«Vi porgo i miei ringraziamenti» concluse Gil. «Oltre a quelli del Signore della Spagna.»

«Chi?»

Lui era stato talmente coinvolto nelle questioni della corte che non gli era venuto in mente che il decreto del Parlamento poteva non essersi ancora divulgato in tutta l'isola. «Il Duca di Lancaster ha assunto quel titolo ora che ha sposato la legittima erede del trono castigliano.»

In quel momento, un bambino irruppe nel salone, rallentando il passo alla vista di uno sconosciuto.

«Denys, questo è Sir Gilbert Wolford» lo presentò Marc.

Il bambino raddrizzò immediatamente le spalle e inclinò la testa in un cenno di saluto.

Cecily sorrise, il sorriso di una madre orgogliosa. «Nostro figlio, Denys.» Gli posò una mano sulla testa e gli arruffò i capelli. «Che è ancora sveglio mentre dovrebbe dormire da un pezzo.»

Il bambino – di sette, otto anni? – aveva i capelli scuri e la forma del viso della madre, e gli occhi color nocciola del padre.

«Sir Gilbert è stato addestrato da mio padre» gli spiegò lei.

Gil sorrise, per tentare di metterlo a suo agio. «Tuo nonno era un uomo buono e un valoroso guerriero.»

«Denys dovrà lasciarci quest'anno» dichiarò Cecily in tono mesto.

Lasciarli per trasferirsi in un altro castello, dove sarebbe stato addestrato per diventare un cavaliere, come aveva fatto lui quando era venuto lì per essere addestrato dal padre di Cecily. «Chi sarà il suo insegnante?»

«Non lo abbiamo ancora deciso.»

Nella frazione di un secondo, gli anni del suo addestramento gli sfilarono davanti agli occhi. Quando era stato un paggio, aveva imparato a servire a tavola, recitare poesie e prendersi cura dei cavalli da guerra. Poi, diventato uno scudiero, aveva imparato a vibrare prima una spada di legno e poi una di acciaio e a tenere sempre pronta l'armatura del suo signore, finché anche lui non era stato nominato cavaliere. «Prendereste in considerazione l'idea di affidarlo a me? Potrei insegnargli tutto ciò che mi ha insegnato suo nonno.»

Seguì un lungo silenzio, durante il quale marito e moglie si scambiarono un'ennesima occhiata. Ma non acconsentirono.

Gil imprecò contro se stesso per aver formulato quella domanda. Ogni volta in cui pensava di essersene guadagnato il diritto, qualcosa gli ricordava il suo passato. Quel bambino era l'erede di uno dei più altisonanti titoli inglesi. E nemmeno l'affetto che Cecily gli portava era sufficiente a consentirle di affidarlo alle sue cure.

«Un'idea oziosa» si affrettò a correggersi. «Sono di nuovo in procinto di partire per la guerra.» Dei bambini non più grandi di quello avrebbero accompagnato i loro cavalieri e anche se non in battaglia, sarebbero stati comunque in pericolo. «Denys è ancora troppo piccolo per questo.»

«Non lo sono!»

«Taci, Denys» gli ordinò suo padre.

«Tuo padre ha ragione» confermò Gil. E il cuore gli si strinse alla vista di quel ragazzino ostinato e orgoglioso. No, un discendente dei Brewen non era abbastanza affidabile, ma un giorno un potente signore della Castiglia avrebbe potuto esserlo. «Prima di addestrarti per la guerra, dovrai trascorrere diversi anni a imparare le buone maniere e le poesie.»

Il viso del bambino esprimeva chiaramente ciò che ne pensava. «Voglio imparare a combattere e a comportarmi con onore, non le poesie.»

Cecily lo attrasse a sé, un gesto protettivo e di rimprovero nello stesso tempo. «Lo terrei con noi ancora per un po' di tempo.» Le parole di una madre, non di una contessa.

Denys si dibatté per liberarsi dal suo abbraccio. «Voglio andare subito! Con Sir Gilbert.»

Gil osservò il bambino, il figlio che non aveva ancora avuto, ansioso di combattere e di coprirsi di gloria come lo era stato lui quando non aveva ancora conosciuto la paura. Scambiò un'occhiata con Marc prima di sporgersi verso il piccolo Denys. «Quando te ne andrai da qui, rivedrai di rado la tua casa o i tuoi genitori. Prenditi qualche altro mese. I tuoi genitori troveranno l'uomo giusto al quale affidare il tuo addestramento.» Gli strinse un istante la minuscola spalla. «Tieniti pronto.»

Gli occhi color nocciola si illuminarono. Sì, quel bambino sarebbe diventato un ottimo guerriero, come lo erano stati suo padre e suo nonno.

Cecily si alzò e lo prese per mano per portarlo a letto. «Inoltre, non possiamo chiedere una promessa a Sir Gilbert prima che lui abbia avuto la possibilità di parlare con la donna che diventerà sua moglie. Sarà su di lei che ricadrà il peso del tuo addestramento iniziale.»

Solo a quelle parole Gil si rese conto che non gli era nemmeno passato per la testa di consultare Valerie. Borbottò qualcosa e all'improvviso, malgrado le sue fiduciose affermazioni, comprese quanti cambiamenti sarebbero sopravvenuti nella sua esistenza.

Dopo che Gil le aveva chiesto di sposarlo, Valerie non ne aveva fatto parola con nessuno.

Non aveva ricevuto una parola dal suo futuro marito, che si era recato a Losford. Né il duca aveva confermato la notizia, tanto che lei aveva cominciato a chiedersi se avesse capito bene.

«Dice che dobbiamo sposarci presto» si lagnò con la gazza un giorno in cui erano sole nella stanza. «E poi scompare per giorni e giorni senza una parola.»

La gazza inclinò la testa nera ed emise una serie di suoni, modulati in modo da sembrare una frase. Povera cara. Lui non è un problema?

«Sì!» Valerie sorrise, incerta se essere divertita dall'uccello o da se stessa per aver immaginato che le rispondesse.

Forse quella proposta di matrimonio non era stata che un frutto della sua immaginazione. Forse, se avesse taciuto, il mondo sarebbe rimasto immutato e, dopo Pasqua, sarebbe potuta tornare a casa.

Tuttavia, dopo una settimana di incertezza, non fu più in grado di tacere. Un pomeriggio in cui era sola con Lady Katherine, pronunciò le parole ad alta voce. «Il Signore della Spagna ha scelto Sir Gilbert Wolford come mio futuro marito.»

Ricevette in cambio un tenero sorriso e un rapido abbraccio. «Auguro a entrambi di essere felici.»

Era vero, dunque. Sarebbe diventata la moglie di quell'uomo. La sensazione suscitata dalla sua mano sul proprio braccio le affiorò alla memoria. Deglutì a stento. «Grazie.»

«Che cosa vi ha detto John su Sir Gilbert?»

John. Aveva chiamato Lancaster... John.

Non intendevo insinuare che il mio Signore della Spagna...

Valerie avvampò al ricordo. Aveva incontrato gli occhi di Gil, negato ogni accusa alla condotta del duca, tentando al contempo di placare il furioso martellare del suo cuore, causato dalla vicinanza di lui.

E se fosse stato vero? Se Katherine e il duca...?

Anche se ovviamente non avrebbe potuto chiederlo, doveva stare all'erta e tentare di cogliere i segni rivelatori. Era preferibile conoscere la verità e tenere la lingua a freno.

«Non è stato il Signore della Spagna a parlarmene. È stato Sir Gilbert, Gil, a comunicarmi la notizia. E ha detto così poco...» Valerie scosse la testa. «Che cosa potete dirmi su di lui?»

Katherine scrollò le spalle. «Non so molto su quell'uomo.»

«Ma io so ancora meno» protestò lei. La sua reputazione appariva impeccabile, Lancaster si fidava di lui, ma aveva qualcosa da nascondere? Se Katherine era in rapporti così stretti con il duca, doveva esserne a conoscenza. «È... esigente?»

Un termine più blando di crudele, poiché se lo fosse stato, chi glielo avrebbe detto?

«So che il mio signore lo tiene nella più alta considerazione.»

«Come teneva Sir Hugh?»

Katherine si immobilizzò. Non aveva mai parlato a Valerie di suo marito. «Ne sono certa, sì.»

Anche lei distolse lo sguardo, temendo di aver visto qualcosa di troppo... intimo.

Poi Katherine si schiarì la gola. «Sir Gil è un abile guerriero e un fidato consigliere. Sono sicura che il mio signore lo ha ritenuto un buon marito per voi.» Nondimeno, dava l'impressione di non aver detto tutto.

«Lo chiamavano Il Lupo della Castiglia.» Valerie rabbrividì.

«Un omaggio alla sua perizia. È un temibile guerriero.»

Temibile per i nemici. Lo sarebbe stato anche per lei?

«Valerie?»

La voce di Gil risuonò alle sue spalle, interrompendo il corso dei suoi pensieri. Come se parlando di lui lo avessero evocato. Tuttavia, ora che sapeva che lui era lì, ne percepiva la presenza con ogni fibra del suo essere.

Rialzò la testa, si voltò e trattenne il respiro. Era più alto di quanto ricordasse, ma il suo viso appariva altrettanto severo, come se la disapprovasse. Anzi, peggio. Come se non gradisse il fatto di essere costretto a posare gli occhi su di lei. C'erano stati dei momenti in cui si erano guardati, aveva pensato che forse...

Si era sbagliata? Avrebbe dovuto vivere con un uomo che si rifiutava di guardarla? Poteva darsi che sarebbe stato disposto a recarsi da lei nell'oscurità, solo quando avrebbe potuto giacere con lei senza vederla...

«Devo andare a dare un'occhiata ai bambini.» Katherine scivolò fuori dalla stanza, lasciandoli soli.

Quando la porta si richiuse, solo il cicaleccio della gazza colmò il silenzio. Lei si stampò in faccia un sorriso. Un piccolo sorriso e una testa china avevano rabbonito Scargill. Per un certo tempo. «Sono lieta che abbiate fatto un buon viaggio e siate tornato sano a salvo, mio signore.»

Lui si accigliò.

«Volevo dire, Gil.»

Questa volta lui annuì, anche se non sorrise. «E voi? Siete stata bene?»

Valerie assentì. Era possibile che quell'uomo fosse capace di comprensione? Se anche lui avesse desiderato evitare quel matrimonio, forse avrebbero potuto...

«Lancaster ha ottenuto una licenza speciale dall'arcivescovo. Possiamo sposarci in qualsiasi momento dopo la Pasqua.» Parole così fredde, così prive di sentimento che a lei parve che stessero parlando di come caricare un'imbarcazione.

Non era così sciocca da cercare la passione in un matrimonio. Ogni qualvolta sua madre era rimasta vedova, aveva scelto il marito successivo con lo stesso criterio che avrebbe usato per cogliere la mela più matura dell'albero. Tuttavia...

«Tutti i miei congiunti sono scomparsi» cominciò. Suo padre era mancato prima che lei nascesse. Sua madre si era risposata due volte. Non rimaneva che la tenuta. La terra che era stata concessa alla sua famiglia dalla prima regina castigliana. «Perciò ci sposeremo nella vostra proprietà nel...»

«Leicestershire.»

Verso Nord. Molto lontano dal Kent. «Ci sposeremo nel Leicestershire, allora.»

«La licenza speciale ci consente di sposarci dovunque, non solo nelle nostre parrocchie. La cerimonia avrà luogo qui, a corte.»

«Quindi la vostra famiglia verrà qui. I vostri genitori...»

«Sono mancati da anni. Non verrà nessuno.»

«Perché?» Una domanda troppo brusca. Gil si vergognava di presentarla ai suoi parenti?

Lui scrollò le spalle, il viso impassibile. «Non c'è nessuno che dobbiate incontrare.»

Nessuno le aveva parlato della sua famiglia. Perfino Katherine aveva schivato le sue domande.

«In tal caso, dopo lo sposalizio, ci recheremo lassù. Mi mostrerete la vostra tenuta, conoscerò...»

«No.» Gil distolse lo sguardo e si diresse verso la finestra. «Sono trascorsi molti anni dall'ultima volta che vi sono stato.»

«Ma i vostri servi, i vostri campi, devono essere amministrati.»

«C'è un castaldo che se ne occupa.»

La risposta di lui suonò ferma e calma mentre Valerie si sentì assalire da un moto di collera. «Deve fare un ottimo lavoro se non è necessario che voi lo sorvegliate.» Fu incapace di non lasciar trapelare l'irritazione dalla sua voce. Da quanto le risultava, i castaldi avevano bisogno di essere guidati.

«Quella non è una vita che gradisco.»

Non è una vita che gradisco. Come se avesse una possibilità di scelta.

«Dove vivremo, allora?» Quelle parole le sfuggirono prima che lei potesse arrestarle. Aspre, insistenti, esigenti.

Gil parve stupito. «In Castiglia, ovviamente, dove il Signore della Spagna sarà re.»

Castiglia. Un nome pronunciato nello stesso tono di riverenza che usava la regina, quasi che quel paese straniero fosse la Terra Santa. «Mi pare» azzardò Valerie, «che un sovrano vi risieda già.»

Lui si erse in tutta la persona e avanzò di un passo come se fosse stato attaccato, anche se non alzò una mano. «Quel sovrano ha usurpato il trono. Finché la Castiglia non apparterrà di nuovo a noi, non avremo una casa all'infuori della corte.»

«Capisco.» Valerie non capiva, in realtà. Per quanto tempo una normale vita coniugale sarebbe stata rinviata mentre loro cercavano il Santo Graal? Tuttavia, nessun dubbio sleale poteva essere espresso di fronte alla regina. Sembrava che la stessa cosa valesse per il suo futuro marito. Aveva dimenticato così in fretta il suo dovere di moglie.

Chinò la testa. «Farò tutto ciò che mi chiederete.»

«Non vi chiederò niente.» La voce di lui era simile a un gelido vento. E quando lei sollevò lo sguardo, scorse un viso altrettanto implacabile.

Sebbene le poche cose che le aveva chiesto il suo primo marito non fossero state piacevoli, erano state un suo dovere. Se quell'uomo non intendeva chiederle niente, quale sarebbe stato il suo scopo? Che cos'avrebbe fatto? «Niente?»

L'espressione di lui si modificò. Come se lei lo avesse sorpreso a mentire. «Solo un figlio.»

Un senso di gelo la pervase. Le aveva chiesto l'unica cosa che non era affatto sicura di potergli dare.

«Sapete che non ho avuto figli, non è vero?»

«In tal caso, è ora che li abbiate.»

Fu Valerie ora a restare in silenzio. Aveva fatto tutto ciò che le aveva chiesto il suo primo marito, ma non aveva compiuto il più importante dei suoi doveri. Certo non per mancanza di tentativi da parte di lui. Chiuse gli occhi per difendersi dal ricordo del loro talamo nuziale, nel quale aveva giaciuto sotto di lui, digrignando i denti contro il dolore, in attesa che fosse finita.

Era sterile? Lo ignorava. Neppure sua madre aveva avuto un figlio maschio, pur avendo ricevuto il seme di tre diversi mariti.

«Senza dubbio» bisbigliò prima di rammentare di sollevare gli angoli della bocca. «Uno sposalizio dovunque e quando sarà di vostro gradimento.»

«Dovrà aspettare» ribatté Gil in un tono privo di rammarico. «Finché non avremo radunato i velieri necessari per la spedizione a La Rochelle.»

«Ma io pensavo, cioè...» Chiusa nelle stanze della regina, Valerie aveva prestato poca attenzione ai preparativi per la guerra. Benché sapesse poco o nulla del mondo al di là del Kent, perfino lei sapeva che La Rochelle era molto lontana dalla Castiglia. «Pensavo che sareste salpato per rimettere la regina sul trono.»

Lui scosse il capo. «Anche questo dovrà aspettare. C'è un assedio a Thouars. Re Edoardo intende mandare un'armata per toglierlo.»

Gli occhi sgranati per lo sbigottimento, lei aprì la bocca per rivolgergli una miriade di domande.

Gil se ne era andato.