18

Valerie aveva saputo che i giorni che avevano trascorso a Losford avevano costituito una dilazione, una tregua da tutto ciò che era accaduto e da tutto ciò che doveva ancora accadere. Aveva perfino tentato di fingere che sarebbe durata per sempre.

Ma la fine era arrivata. Gil sarebbe partito il mattino seguente.

Malgrado la brezza che spirava dal mare, la notte di agosto era calda e lei lo aveva atteso nella loro camera da letto, dopo essersi sbarazzata di tutti gli indumenti tranne che della camiciola.

Alle sue spalle, udì il rumore di una porta che si apriva. Si voltò.

Suo marito si stagliava sulla soglia, bloccando la luce. Lei gradì la contrazione che avvertì in fondo all'addome e si tirò la coperta fino al mento.

Lui avanzò nella stanza. «Domani. Il mio dovere...»

Anche se la lasciò in sospeso, lei conosceva il resto della frase. Il suo dovere. Nei confronti del suo signore. Del suo sogno. Irrevocabile.

Un uomo assolveva i propri doveri nei confronti del proprio signore perché era obbligato a farlo.

Il suo dovere di moglie era stato la stessa cosa. Obblighi. Timori. Aspettative. Mai desiderio. Mai gioia. Finché non aveva incontrato lui.

Lo struggimento all'apice delle cosce si intensificò. Senza una parola, Valerie scivolò giù dal letto e si erse in tutta la persona, lasciando che la coperta le ricadesse dalle spalle. Orgogliosa. Intrepida. Senza che nessun uomo le occupasse la mente all'infuori di lui.

«Questa notte» dichiarò, «noi ci uniremo non per dovere.»

Colmando la distanza che li separava in due falcate, Gil l'avvinghiò a sé. Un bacio. Oh, un bacio...

Non c'era da stupirsi che Cecily e Katherine fossero state disposte a sfidare sovrani e convenzioni sociali per provare quelle sensazioni.

Lei non temeva più il suo desiderio adesso, né il proprio. Forse era necessario condividere la passione per consentire al suo seme di mettere radici, per concepire un bambino. In tal caso, quell'ultima notte sarebbe stata la più propizia.

Adesso, a onor del vero, non aveva difficoltà a offrirgli il suo corpo e il suo amore, ma non era ancora capace di dirgli la verità.

Gil era arrivato a incarnare la Castiglia. Lo scopo che si era prefisso era diventato il motivo, ne era convinto, che lo rendeva degno di essere amato da lei.

Valerie non poteva mandarlo in guerra rifiutandogli ciò che si era tanto battuto per ottenere, poiché lo avrebbe indotto a credere che rifiutava lui.

La mattina seguente, Gil si vestì per la guerra mentre lei indossava una veste, quella che avrebbe reso più attraente l'ultima immagine di lei che lui avrebbe portato con sé, quella che avrebbe ricordato finché non si fossero di nuovo incontrati.

«Preferireste tornare dalla regina?» domandò Gil quando fu pronto. «Sono certo che Cecily sarà lieta di avervi qui, ma potreste servire la Castiglia durante la mia assenza.»

Valerie scosse la testa. «Se la regina avrà bisogno di me, mi manderà a chiamare.» Lo fissò a lungo per imprimersi il suo viso nella memoria, in modo da poterlo evocare durante tutti i giorni di solitudine che l'attendevano. «Ho un dono per voi.»

Anche se lui cominciò a protestare, lei alzò una mano. «Non vi ho fatto un dono di nozze. State per partire per la guerra. Non staremo di nuovo insieme... per molto tempo.»

Tese il braccio e lasciò penzolare la lunga punta applicata alla manica. Sfiorava quasi il pavimento. Lei la slegò e gliela mise in mano. «Un pegno.»

Il suo, non quello di una donna senza nome.

Gil piegò le dita attorno al pezzetto di seta bianca e lo strinse, come se non volesse più lasciarlo andare. «Se morirò, giuro che l'unico pegno che mi troveranno addosso sarà il vostro.»

Le lacrime traboccarono, cocenti e inarrestabili. Sebbene si trattasse di una strana promessa, per lei valeva molto più dei voti nuziali che si erano scambiati. In tutto quel tempo, aveva immaginato di non desiderare che un figlio. Ma Gil aveva voluto offrirle molto di più.

No, quell'uomo non era come il suo primo marito. In effetti, era un uomo assai più pericoloso.

Era un uomo la cui perdita l'avrebbe addolorata.

Non ebbero un altro istante per stare soli prima che lui se ne andasse. Gli ultimi preparativi vennero eseguiti rapidamente, furono scambiati degli addii frettolosi. Denys chiacchierava eccitato mentre i suoi genitori si sforzavano di trattenere le lacrime.

Un'ora più tardi, avevano lasciato il castello.

Insieme a Cecily e Marc, Valerie rimase nella corte, seguendoli con lo sguardo finché non furono scomparsi alla vista.

«L'estate sta finendo» osservò Cecily mentre rientravano. «Il vento è diventato impetuoso.» Lo disse con la sicurezza di una donna che era cresciuta accanto al mare e ne conosceva gli umori.

«Non avranno problemi?» domandò Valerie. Suo marito. Il loro figlio. Tanti pericoli.

«Solo il Signore lo sa.»

Voglio che siate fiera di me.

Non sarebbe stata più fiera se Gil avesse perduto la vita. E in tal caso, qualcuno avrebbe notato una pietra spezzata nella sua tasca e un lembo di tessuto spiegazzato sul suo cuore? Senza dubbio, li avrebbero gettati sul ciglio della strada.

«Siete stata gentile, Cecily, a permettermi di restare qui» cominciò Valerie alcuni giorni più tardi, dopo che avevano visto i velieri imboccare le stretto e allontanarsi sempre di più. «Ma io ho deciso di tornare al Castello dei Venti Piangenti.»

Cecily la studiò un istante. «Avete deciso di essere coraggiosa.»

Lei scosse il capo. «Non lo sono stata abbastanza. Non potevo mandarlo in guerra sapendo che io non credevo in quello per cui lui combatteva. Ma quando tornerà, deve saperlo. E spero...»

Sperava che riuscissero ad affrontare insieme la realtà del passato di lui, così come avevano unito i loro corpi per neutralizzare il suo.

Benché la flotta fosse salpata alla fine di agosto, non erano riusciti a dominare il mare.

Giorno dopo giorno, avevano lottato contro la violenza del vento che impediva loro di avanzare. Il povero Denys, scoprì Gil, non era un marinaio. Per fortuna, c'era ben poco che potesse fare un bambino e lui lo lasciò dormire sottocoperta.

In effetti, pochi degli uomini sballottati dalla tempesta avevano la possibilità di godersi un minuto della navigazione. Non potevano fare altro che restare aggrappati al parapetto e augurarsi che le acque si calmassero, al pari dei loro stomachi in subbuglio.

All'alba del settimo giorno, la violenza dei venti diminuì e riuscirono a fare qualche progresso attraverso il Canale.

Il bambino emerse sul ponte con il viso smunto, barcollando come se avesse bevuto troppo vino.

«Vieni qui. Siediti accanto a me.»

Denys obbedì, rischiando di perdere l'equilibrio prima di riuscire ad abbassarsi sulla panca con un minimo di dignità. Rimasero seduti in silenzio, guardando sfilare la costa inglese davanti a loro.

«Abbiamo raggiunto il mare aperto?» domandò il bambino.

Sarebbe dovuto restare deluso così presto. «I venti ci hanno tenuti in vista dell'Inghilterra.» Il mare aperto, La Rochelle, si trovavano ancora a molte miglia di distanza.

Denys assunse un'espressione perplessa, ma annuì, lasciando ciondolare la testa per la stanchezza. «Vorrei poter volare sull'acqua.»

«Appoggia la testa contro la mia spalla» gli consigliò Gil.

Denys esitò.

«Non è vergognoso soffrire il mal di mare. Ho visto perfino il re abbandonare il ponte quando il mare è diventato troppo grosso.»

Anche se debolmente, il bambino sorrise. «Io non sono un marinaio, anche se sono cresciuto sulla riva del mare.» Scosse la testa. «Preferirei affrontare i nemici che le onde.»

«È per questo?» Gil ricordò come Denys fosse passato dall'entusiasmo alla riluttanza. «È per questo motivo che hai esitato quando tuo padre ti ha chiesto se desideravi venire con me?»

Lui annuì. «Ho pensato che vi sareste vergognato di me. Del fatto che soffro il mal di mare.»

«Sul serio? Io ho pensato che fosse... Ho immaginato che preferissi essere addestrato da qualcun altro.»

«Ma i vostri familiari hanno combattuto a fianco del re in Francia.»

Gil aprì la bocca per contraddirlo, poi cambiò idea. Era vero. «È questo che ti hanno raccontato?»

La nausea stava svanendo e Denys aveva riacquistato la sua vivacità. «E che siete stato addestrato da mio nonno.»

«Non ti hanno parlato dei Brewen? Dei loro... misfatti?» Violenza carnale, estorsione, omicidio, tutte cose che lui non poteva menzionare di fronte a un bambino.

Denys scrollò le spalle. «Sono stati perdonati.»

Lo erano stati, benché Gil non fosse stato in grado di perdonare se stesso.

«E io che pensavo che non volessi essere dato in affidamento a un Brewen.» Una strana ammissione da fare davanti a un bambino, ma lui aveva saputo che cosa significava quando aveva avuto la stessa età di Denys.

«Io volevo addestrarmi con voi. Non siete stato voi a fare quelle cose.» Rannicchiandosi contro di lui, Denys chiuse gli occhi e si addormentò.

Il veliero continuò a oscillare con violenza, ma non quanto il mondo di Gil. Il peso che lo aveva oppresso ogni giorno della sua vita? Non significava niente per quel bambino.

Non siete stato voi a fare quelle cose.

Tuttavia, quando era stato più piccolo di lui, se ne era addossato tutta la colpa, convinto che il solo fatto di esserne a conoscenza lo rendesse colpevole dei crimini che non aveva commesso.

Nondimeno, con il passare degli anni, sarebbe stato Denys a tramandare quelle storie. Storie, che anziché diventare più raccapriccianti, sarebbero diventate più benevole. Un giorno, sarebbero stati dei racconti che potevano essere narrati all'ora della buonanotte, senza suscitare degli incubi.

E lui che cosa aveva fatto in tutti quegli anni? Si era battuto incessantemente contro il passato, come se per pura forza di volontà avesse potuto modificarlo. Ed era sempre stato l'unico ad aggrapparsi a una guerra che si era cancellata dalla memoria degli altri uomini.

Tuttavia, aveva preso tempo, sfuggendo al matrimonio, sfuggendo a ogni altra cosa, in attesa di essere redento, certo che la Castiglia, e soltanto questa, sarebbe riuscita a trasformare il passato oltre al futuro. La Castiglia era una visione, l'avverarsi di un sogno che gli avrebbe consentito di riposare tranquillo, che lo avrebbe indotto ad affermare: è sufficiente. Adesso, finalmente, sono degno.

Al momento la Castiglia gli stava scivolando via dalle mani. Non quell'anno. Quello successivo? E se non l'avesse mai raggiunta?

E se invece l'avesse raggiunta?

Sarete ancora un Brewen. Forse, finalmente, non ve ne curerete più.

Aveva pensato di voler rendere di nuovo onorevole quel nome. In effetti, aveva desiderato cancellarlo. Eliminarlo dalla storia in generale, in particolare dalla sua. Allora, aveva immaginato, una donna lo avrebbe guardato e avrebbe visto un valoroso cavaliere, un uomo che meritava la sua ammirazione e non solo.

Il suo amore.

Questo era ciò che aveva atteso.

Estrasse il lembo di seta bianca che gli aveva dato Valerie. Aveva già ottenuto l'amore. Se solo se ne fosse reso conto.

Il vento proveniente dal Canale fece svolazzare la seta. Gil riportò lo sguardo sulla costa. Degli uomini a cavallo sarebbero avanzati più rapidamente del veliero controvento. Non avrebbero raggiunto in tempo La Rochelle. Lo sapeva, anche se il re lo ignorava.

Tornò a ficcarsi in tasca il pegno e sorrise. E se non fossero mai tornati in Castiglia? Che cosa sarebbe accaduto?

Be', si disse meravigliandosi di se stesso, c'era un prete che non aveva mai ricevuto una decente sepoltura.

Era la metà di settembre quando Valerie arrivò al Castello dei Venti Piangenti. Sebbene stupito di rivederla, il castaldo l'accolse e la trattò come la signora del maniero, inchinandosi, prestandole ascolto anche quando lei gli impartiva minuziose istruzioni sulle cure che doveva dedicare ai fagioli.

A dire la verità, sembrava sollevato alla prospettiva di condividere quel pesante fardello.

Come potevano cambiare le situazioni quando ben poco nel rapporto fra Valerie e suo marito si era modificato. In apparenza, se non altro, lei era sua moglie e quella casa, quella tenuta, le appartenevano.

Benché l'autunno fosse la stagione ideale per piantare le rose, non avendo delle talee, lei non aveva la possibilità di ricominciare da capo. Di conseguenza, quando non si occupava delle questioni che riguardavano la conduzione della tenuta, percorreva quello che una volta era stato il parco, studiando il terreno, la luce e ascoltando un canto portato dal vento.

Tuttavia, essendo a conoscenza di ciò era sepolto accanto al muro meridionale, si teneva alla larga da quel luogo, distogliendo lo sguardo, facendosi il segno della croce, apprendendo in quelle settimane una parte del motivo che aveva indotto Gil a lasciare quel posto.

Con sua grande meraviglia, scoprì l'esistenza di un nespolo. Non il suo amato melo cotogno, ma della stessa specie. Un segno, forse. Piante diverse, fiori sconosciuti potevano spuntare da quella terra. E perfino da quella della Castiglia. Al pari di Gil, lei doveva riconciliarsi con il passato. Doveva essere abbastanza coraggiosa da lasciarsi alle spalle la propria casa mentre lui avrebbe dovuto avere il coraggio di tornare nella sua.

Contò i giorni che la separavano dal momento in cui avrebbe potuto coglierne i frutti. Ottobre? Novembre? Allora Gil sarebbe stato a casa?

Trascorsero diverse settimane senza che giungessero notizie dal mare. Erano approdati trionfalmente? Avevano marciato attraverso la Francia per ripristinare la supremazia inglese? O anche quei velieri erano stati dati alle fiamme ed erano colati a picco?

Senza nessuna notizia, Valerie trasse conforto dai ritmi della terra e dal posto che sarebbe diventato un giardino, augurandosi che, come sempre accadeva, sarebbe rinato a nuova vita in primavera.

E augurandosi che anche Gil sarebbe stato di ritorno.

Per diverse settimane, Re Edoardo continuò a nutrire delle speranze, certo che i venti avrebbero mutato direzione, ma alla metà di ottobre la flotta non si era allontanata dal porto originale più di quanto sarebbe riuscito a fare in quattro giorni un uomo a cavallo.

L'inverno era alle porte. La stagione della guerra era terminata.

Imprecando contro i francesi, il re abbandonò ogni tentativo. I velieri rientrarono a Sandwich. Migliaia di uomini avviliti sbarcarono, Gil e Denys fra questi.

Tuttavia, Lancaster non cessò di parlare di guerra e di nuovi piani che dovevano essere pronti prima della primavera, quando sarebbero di nuovo salpati. «Torneremo in Francia e marceremo attraverso le campagne, come abbiamo fatto in altre occasioni. Se mio fratello avrà riacquistato la salute, anche lui potrà partecipare ai combattimenti.»

Parole più simili a una preghiera che a un dato di fatto. Gil sospettava che né il sempre più debole sovrano né il suo malaticcio primogenito sarebbero stati di nuovo in condizioni di guidare un esercito. Anche Lancaster doveva saperlo, sebbene non lo dicesse ad alta voce.

«E con l'aiuto del Portogallo, attaccando da occidente, raggiungeremo Siviglia prima della fine dell'estate.»

Quante volte Gil aveva udito quei piani, li aveva perfino ideati pur giudicandoli impossibili, astenendosi però dal criticarli mentre inseguiva il sogno di Lancaster, che era diventato il suo?

E mentre ascoltava il duca esporre per l'ennesima volta le sue idee assurde, la verità si insinuò in lui. Avrebbero potuto non riconquistare mai il trono.

E lui non se ne curava più.

Ma sua moglie si sarebbe rassegnata a restare in Inghilterra? Malgrado i suoi desideri, non aveva mai appreso la verità. Non era stato un uomo coraggioso, che si sforzava di raggiungere uno scopo meritevole, ma un vile che era fuggito da un pezzo di terra.

In qualche modo, pensò, lei doveva essersene resa conto, anche se lui non lo aveva fatto.

Senza attendere che Lancaster avesse finito di parlare, si alzò. «Siete il mio signore feudale e vi devo i miei servigi, ma non quest'oggi. Quest'oggi ho intenzione di andare a casa.»

Gli volse le spalle e lasciò la stanza senza aspettare una risposta.

All'esterno, nella corte, Denys era felice di trovarsi di nuovo sulla terraferma. Aveva riacquistato tutte le energie di un bambino di sette anni e si stava battendo con una spada di legno contro un altro paggio. E appena lo vide, gli corse incontro sorridendo. «Dove andiamo adesso?»

«A casa.»

Palesemente deluso, il bambino mise il broncio. Gil gli posò la mano sulla testa. «Non a casa tua, Denys. Non per molto tempo, almeno.» Doveva passare a prendere Valerie, e nello stesso tempo consentire a Marc e a Cecily di rivedere, se pur brevemente, il loro figlio. «A casa mia.»

La gioia tornò a illuminargli il viso. «Al Castello dei Venti Piangenti?»

«Esatto.»

A casa, per accertarsi di avere ancora una casa.