Capitolo XVII

 

 

 

 

 

Tutte le cose belle finiscono, anche il Grande Concorso deve arrivare a conclusione. Dove si ragiona di Asimov, di dozzine e di capitelli. Vince sempre il migliore.

 

E così arrivò la sera della domenica, solita ora, solito teatro, stessa prima fila, questa volta però senza Maria, che aveva dichiarato di averne avuto abbastanza. Undici concorrenti, più spazio per gli ospiti di riguardo, un paio di comici, un paio di cantanti, sotto la guida oculata dello stesso Famoso Presentatore. E le undici ragazze sopravvissute all’eliminatoria, che naturalmente indossavano costumi se possibile ancora più minuscoli, che furono sottoposte a quesiti se possibile ancora più difficili e alle quali, per buona misura, fu anche rivolta qualche domanda personale, di quelle che vanno a rovistare nelle speranze o nel rusco.

Undici concorrenti, una vincitrice, la reginetta, qualche gloria anche per la seconda e la terza classificata, avrebbero guadagnato il diritto a un provino per fare le presentatrici per le TV commerciali, e poi c’erano premi di ogni genere, persino vestiti offerti da una famosa casa di moda. Per questa ragione le undici ragazze si odiavano senza alcuna cordialità, ognuna faceva il tifo solo per se stessa.

La sera precedente Primo si era convinto che ci fosse già una predestinata a vincere e l’aveva identificata nella ragazza di San Marino, l’incidente della risposta sbagliata era stato rimediato in modo molto grossolano, era evidente che la ragazza aveva importanti carte da giocare. Gli era sembrato invece che Dorotea non fosse nelle grazie del Presentatore, non in modo particolare, almeno: la sua breve parte era passata quasi inosservata e il tempo che le era stato concesso addirittura più breve della media. Ma le cose, nella serata finale, sembravano diverse, piccoli segni, niente di importante, Dorotea sembrava aver guadagnato molti punti rispetto alla sera prima. Persino il commento del Presentatore alla lettura della domanda alla quale avrebbe dovuto rispondere era un segnale di simpatia («ma i nostri esperti debbono essere impazziti, domande come questa sono troppo complesse!») e naturalmente il pubblico a questi segnali era molto sensibile. A dire il vero la domanda era molto difficile, e secondo Giuseppe era un intero universo al di là della portata di Dorotea, in quanto riguardava un noto autore di libri di fantascienza e Dorotea di libri di fantascienza non ne aveva mai letto uno.

«Dunque, mia bella fanciulla – le chiese il Presentatore – Isaac Asimov, il celebre autore di tanti famosi libri di fantascienza, ha stabilito, in alcuni dei suoi testi più noti, le leggi della robotica, quelle alle quali tutti i robot non possono mancare di ubbidire. Per passare il nostro test, mia bella ma sfortunata fanciulla, lei ci deve dire come si chiamano queste leggi. È chiaro, cara? Non ci deve dire qual è il loro contenuto, ma solo come si chiamano le leggi, una per una».

«Ma è proprio questa la domanda? – chiese Dorotea, con un’insopportabile voce piena di finta timidezza. – È proprio sicuro che questa sia la domanda?».

«Temo proprio di sì, cara, temo proprio che sia assolutamente questa».

Dorotea prese un paio di atteggiamenti che già ai tempi del cinema muto le attrici cercavano di evitare perché certamente obsoleti, espressioni del tipo «io rispondo a questa sciocca domanda, ma poi non ditemi che non vi avevo avvertito, questi sono quesiti per bambini dell’asilo» e recitò, sbuffando appena appena:

«Le leggi di Azimov sono la prima legge della robotica, la seconda legge della robotica, la terza legge della robotica e la cosiddetta legge zero, una legge che compare molto più tardi delle altre – I robot e l’impero credo sia del 1985, ma potrei confondermi con l’edizione canadese – ma alla quale le prime leggi sono subordinate. Se vuole posso dirle cosa recitano le quattro leggi, ma in italiano, il testo inglese lo ricordo solo in parte».

Il Presentatore lanciò per aria i fogli che aveva in mano, in segno di giubilo, il pubblico immaginò di trovarsi di fronte a un personaggio eccezionale, Dorotea dapprima si schermì – troppo buoni, troppo buoni, ma che fate, io non merito questo applauso – poi, compunta compunta, accettò l’abbraccio entusiasta del Presentatore e sedette vicino a lui per rispondere alle domande personali. Nello stesso momento Giuseppe, serio e irritato, stava dicendo a Primo che stavano assistendo a una bufala fuori dal comune, era assolutamente certo che Dorotea non aveva mai sentito pronunciare il nome di Azimov prima di quel giorno.

Intanto il Presentatore aveva tracciato un breve profilo di Dorotea, studi superiori con ottimi risultati, media degli esami universitari altissima (ma che di esami ne avesse dato uno solo si dimenticò di dirlo), questa esperienza che certamente considerava un gioco, e poi?

«E poi – ormai Dorotea l’atteggiamento timido-modesto-turbato da un immeritato successo non lo abbandonava più – dopo la laurea in lingue una seconda laurea in giornalismo e contemporaneamente corsi di filosofia e di sociologia, per arrivare alla preparazione sufficiente per potermi dedicare alla mia grande passione, il recupero dei tanti bambini malati che si trovano, in molti paesi dell’Africa centrale, in condizioni di totale abbandono. Il mio progetto è di potermi presentare tra qualche anno a una delle agenzie dell’Organizzazione Mondiale della Sanità che si occupano di queste povere creature con un curriculum degno del compito al quale mi riprometto di dedicare tutta la mia vita».

Molti applausi, qualcuno si era anche alzato in piedi, Primo ebbe persino la sensazione che alcune delle signore presenti si stessero asciugando una lacrima.

«Ma – adesso la voce del Presentatore era rispettosa e compunta – non pensa a farsi una famiglia sua, non c’è un fidanzato nella sua vita…».

«No, per carità – Dorotea fece un risolino imbarazzato, – non ho mai avuto tempo per queste cose, anche se immagino che in un domani lontano, chissà…».

Insomma fu un vero successo, superiore persino a quello che ottenne subito dopo una ragazza brasiliana, di chiare origini italiane, che rispose a una domanda persino più complicata descrivendo i vari tipi di colonne classiche e impressionò il pubblico, già predisposto alla commozione dall’esibizione di Dorotea, annunciando di voler dedicare la propria vita alla redenzione delle prostitute. A parte uno del pubblico che le gridò «se la prenda comoda», l’unico a scuotere la testa, sempre più irritato, continuava a essere Giuseppe che era passato di sorpresa in sorpresa e aveva la sensazione di vivere in una sorta di incubo, un incubo a colori variopinti, ma sempre un incubo.

Poi tutti capirono chi avrebbe vinto la contesa quando giunse alla ribalta la ragazza di San Marino, alla quale il Famoso Presentatore chiese la ragione per cui le rose e le uova si contavano in dozzine e non in decine. A occhi semichiusi, deliziando letteralmente il pubblico (che alla fine reagì con un vero boato di entusiasmo) la ragazza recitò, d’un fiato, che «in quei casi si applicava il sistema di numerazione sessagesimale, in cui si utilizzano 60 simboli per indicare i numeri e in cui la seconda cifra rappresenta il numero di volte che bisognava aggiungere 60, e in cui comunque, pur utilizzando la notazione decimale, esiste un rapporto tra un’unità di misura e un suo sottomultiplo». D’un solo fiato, senza esitazioni. Non solo. Citò il sistema metrico babilonese utilizzato in Mesopotamia 1800 anni prima della nascita di Cristo, i sistemi metrici sessagesimali, la misurazione degli angoli, il calendario gregoriano e i progetti per sostituirlo con un calendario sessagesimale e finì trionfalmente citando sua madre, che comprava le uova a cappe, termine romagnolo che indica le doppie dozzine e che deriva dal latino capere, e se il Presentatore non la fermava chissà cosa avrebbe scovato ancora. Una memoria di ferro, una sicura vincitrice.

 

Poi si arrivò al voto, votarono le cosiddette giurie esterne, votò il pubblico presente in sala utilizzando un modernissimo sistema elettronico che, da solo, era costato quanto un ospedale nuovo nel Ghana o una casa per la riabilitazione delle prostitute nigeriane a Bergamo. Vinse, come ormai era ben chiaro a tutti, la ragazza di San Marino; seconda arrivò Dorotea, che non seppe nascondere un piccolo moto di stizza; terza la brasiliana di origine italiana, che portava il riverito nome di Chiapponi e che, perbacco, lo onorava. Ci furono complimenti, finti giubili, qualche pianto, molta confusione. E fu a questo punto che Giuseppe ricordò a Primo di avere un appuntamento con Dorotea, non era sicuro che vederla in quel momento, arrabbiato com’era, fosse una buona idea, ma glielo aveva promesso, doveva andare per forza.