Capitolo XII

 

 

 

 

 

Dove si accenna a una possibile incomprensione tra innamorati. Primo si confessa. Un misterioso señor Pedro. Breve ricomparsa della Gis.

 

E al pomeriggio arrivò Giuseppe, con la faccia scura scura di chi ha appena avuto un cumulo di brutte notizie e non ha ancora cominciato a digerirle. Si scusò con Primo per non averlo richiamato, aveva dato poca retta al telefono in quei giorni, troppi impegni, troppo lavoro. Poi gli disse di aver incontrato Dorotea, un incontro piuttosto tempestoso, l’aveva trovata del tutto cambiata rispetto all’ultima volta, lo aveva accusato di scarsa sensibilità, le stava facendo pressioni e ponendo problemi importanti e delicati in un momento cruciale della sua vita, gli aveva anche detto che il suo intero avvenire dipendeva da quanto sarebbe successo in quei giorni. Non avevano litigato, ma Giuseppe aveva dovuto promettere che non l’avrebbe più cercata fino al termine del concorso, in questo modo sia sua madre che il signor Arturo avrebbero smesso di fare pressioni su di lei, a causa sua la stavano martirizzando e lei non sapeva più come difendersi, era indispensabile che lui capisse e si facesse per due giorni – cosa erano poi due giorni – di lato. Alla fine erano arrivati a un compromesso, Dorotea lo avrebbe cercato al telefono ogni volta che aveva la possibilità di farlo, dopo la proclamazione della vincitrice, domenica notte, avrebbe fatto in modo di vederlo, gli avrebbe fatto sapere come, bastava che restasse nei paraggi del Grand Hotel, lui era un giornalista, sapeva come fare. A quel punto Primo gli raccontò della visita che gli aveva fatto il signor Arturo, ma Giuseppe non diede molta importanza a quell’incontro, era convinto che Dorotea avesse dovuto cedere alle pressioni della madre per poter sopravvivere per quei due giorni finali.

Quella, però, gli ricordò Primo, era la parte fatua del suo viaggio, forse era meglio passare a discutere della parte seria, perché Primo aveva qualche novità da raccontare. Le aveva anche Giuseppe, che adesso sembrava particolarmente ansioso di sottoporre a Primo i risultati delle sue prime ricerche, e così fu lui il primo a parlare. Forse – disse forse più volte, per chiarire bene che aveva ancora dei dubbi e non era un ingenuo che si lascia abbagliare dal primo apparente successo – forse aveva conosciuto la persona giusta, quello che poteva togliere qualche velo dai misteri della Voce del Padrone. A questa persona era arrivato quasi casualmente, attraverso un tale, un uomo che trafficava in tutte le cose che si possono acquistare, vendere, affittare e, soprattutto, rubare, e che lui aveva conosciuto quando aveva girato un servizio per la sua rete in un piccolo paese della Calabria, noto per avere la maggior concentrazione di ricercati dalla polizia e ospiti delle patrie galere di tutto lo stivale. Questo tale, dietro congruo compenso, gli aveva organizzato un paio di interviste «impossibili» con rappresentanti della malavita locale, un fatto che gli aveva anche procurato noie con la polizia. Poi, per un seguito di circostanze fortuite, questo, chiamiamolo così, faccendiere aveva a sua volta avuto bisogno di un piacere e Giuseppe glielo aveva fatto «a futura memoria». A questo punto gli era venuto in mente che il faccendiere potesse avere qualche conoscente da quelle parti, qualcuno che avesse avuto modo di conoscere il Presidente e di sapere, sulla sua dimora, qualcosa che tutti gli altri ignoravano, e così era arrivato a conoscere il nome di un tale che viveva lì, nella stessa città di Primo, che aveva interessi in tutti i commerci più torbidi che si svolgevano da quelle parti e del quale, con ogni probabilità, Primo non aveva mai sentito parlare. Lo aveva incontrato, un incontro organizzato con estrema prudenza:

«Lo hai visto in faccia?» gli chiese Primo.

«Mai – Giuseppe sembrava molto contento di sé, come se quella breve esperienza nel mondo della malavita gli avesse dato conferma delle sue doti di giornalista intrepido, – ho solo notato l’anello che portava all’anulare destro, quello potrei riconoscerlo. E poi parlava italiano con un vago accento spagnolo. Per il resto è sempre rimasto nell’ombra, impossibile capire che età avesse, né se fosse alto o basso... Come in un film di spionaggio».

«Fino a che punto ti sei scoperto? Cosa gli hai chiesto?».

«Beh, a quel punto sarebbe stato difficile fare il misterioso, se volevo qualcosa da lui dovevo chiedergliela. Così gli ho detto del progetto di fare un servizio televisivo sul Presidente e sulla casa e gli ho spiegato che la mia azienda era pronta a pagare, a pagare molto bene, per ogni informazione, e che uno scoop sarebbe stato apprezzato e ricompensato con grande generosità. Ha capito subito, mi è sembrato molto impressionato».

Questo tal Pedro era stato estremamente cauto, in pratica non aveva detto niente di concreto, aveva solo bofonchiato che forse quello era il momento giusto, forse lui era l’uomo giusto, ma il Presidente, anche se (forse!) non aveva più le complicità di un tempo, era sempre uomo da prendere con le molle, che lui doveva prendere informazioni, tutti potevano dichiarare di essere giornalisti e magari erano poliziotti. Giuseppe gli aveva detto che avrebbe potuto dargli tutta la documentazione necessaria per provare chi era, e il misterioso señor Pedro si era molto irritato, non aveva alcuna intenzione di ripetere le cose, gli aveva detto, e aveva concluso con una sorta di proverbio mezzo italiano e mezzo spagnolo, qualcosa che aveva a che fare con chi lava la cabeza al burro che perde il sapone y el tiempo. Poi se ne era andato, sempre riuscendo a evitare che Giuseppe lo vedesse in faccia, avvertendolo di non provare a cercarlo, si sarebbe fatto vivo lui, sapeva che stava a casa di Primo Casadei. Adesso – concluse Giuseppe – si trattava solo di aspettare, l’amo era in acqua, il verme pure.

A Primo questo tale che diceva proverbi in due lingue ricordava qualcuno, ma adesso era il momento di far capire bene a Giuseppe che doveva – proprio doveva – abbandonare quella stupida impresa, chiaramente molto al di sopra delle sue forze, che ad ogni momento che passava si rivelavano sempre più inadeguate. Si rese conto che non poteva raccontargli del suo incontro con la Gentile Segretaria se non gli spiegava prima alcuni momenti della sua vita, momenti dei quali naturalmente non poteva andar fiero, ma senza conoscere i quali Giuseppe avrebbe potuto pensare di avere a che fare con un matto. Gli raccontò del suo lavoro per un gruppo di napoletani che, sulla riviera romagnola, commerciavano in cose assolutamente illecite, l’unica possibilità di lavoro che gli era stata offerta dopo aver scontato una condanna per un reato di minor conto, ma comunque pesantemente punito dalla legge.

«Mia madre mi ha raccontato qualcosa – lo interruppe Giuseppe – anche se non conosceva bene i fatti. Quello che l’aveva colpita di più era stata la tua reazione, sembra che dopo il carcere tu sia praticamente scomparso, certamente non hai chiesto aiuto a nessuno».

«Avevo già deluso tutti, non riuscivo a combinare qualcosa di buono. E poi questa condanna, così ingiusta, così immeritata... Dopo accadde che quando uscii dal carcere nessuno sembrò disposto ad aiutarmi, solo un tale con il quale avevo diviso la cella. Mi portò da questo Priamo Esposito, il Padrone. Per me fu una sorpresa, pensavo di incontrare un gangster, invece era solo un signore di mezza età, vestito sobriamente, educato, colto, gentile. Parlammo a lungo, sapeva già molte cose di me, molte altre volle che gliele dicessi. Mi disse cose delle quali mi ero convinto da solo, nel periodo nel quale ero stato in prigione. Mi disse che il mondo ha regole che valgono soprattutto per gli uomini cattivi, ma che non ha compassione per i deboli; mi disse che io quelle regole non le avevo capite e per questo avevo pagato. Ingiustamente? Parola stupida, mi disse, il nostro è un mondo senza giustizia. Mi disse di considerarsi un capofamiglia, e mi spiegò che la sua famiglia aveva regole sue, valori suoi, cose alle quali credere e che tutti rispettavano. Mi parlò del mondo esterno, dell’“altro mondo”, come di un ricettacolo di di ipocriti e di calunniatori. Lui mi chiedeva fedeltà e mi offriva compassione. Ero in uno stato d’animo che non mi consentiva di criticare le sue parole, per un po’ gli credetti. Poi accaddero cose che mi permisero di riscattarmi, potei lasciare lui e la famiglia in credito, gli avevo fatto un grosso favore. Ma siamo rimasti in rapporti molto buoni, direi che tra noi c’è persino amicizia. È uno dei miei lettori più fedeli».

«E tu lo consideri un uomo che conta, intendo che esercita un potere, qui o altrove?».

«Non ne hai nemmeno una pallida idea. Non c’è cosa illecita che nidifichi da queste parti dalla quale lui non tragga un qualche profitto. Droga, immigrazione, rifiuti, riciclaggio di denaro sporco, dì tu. Lui ormai vive pochissimo in Italia, ma amministra tutto attraverso luogotenenti fedeli che non si arrischierebbero mai a fargli uno sgarbo. Pensa che...».

Primo si accorse che stava lasciandosi andare ai ricordi e decise di venire subito al dunque.

«Mi sono rivolto a lui per proporgli il quesito che mi avevi fatto, gli ho chiesto se c’era modo di avere informazioni privilegiate sulla villa del padrone della politica, il che equivale a dire sulla sua vita privata. Non gli ho potuto parlare direttamente ma ti assicuro che è esattamente come se lo avessi fatto. La sua reazione mi ha molto colpito e, te lo dico sinceramente, mi ha anche spaventato. Mi ha chiesto di dirti di abbandonare la tua idea, addirittura mi ha pregato di chiederti di distruggere qualsiasi tipo di prova tu fossi riuscito a raccogliere, di eliminare le tracce del tuo passaggio. La persona che mi ha mandato è venuta qua da Roma per dirmi queste cose, ed è persona di assoluta credibilità. D’altra parte mi piacerebbe che tu incontrassi questo Padrone-Padrino, ti dà l’idea di fare un viaggio nel passato e di incontrare un principe del Rinascimento, esattamente come il Presidente, cioè il Padrone politico, ricorda da vicino proprio un uomo politico, voglio dire un politico nell’accezione comune del termine: furbo, ipocrita, disponibile a cambiare gabbana ad ogni cambiamento del vento, incapace di mantenere le promesse, infido, uno di quelli ai quali non daresti mai la mano e se gliela dai, dopo ti conti le dita».

Giuseppe lo aveva ascoltato con l’attenzione necessaria, ma alla fine gli era sembrato più stupito dalle rivelazioni sul suo passato che spaventato dalle sue raccomandazioni.

«Primo – gli aveva detto – non ho mai pensato che questa fosse una passeggiata e ho messo in conto fin dal principio l’esistenza di rischi, ma continuo a pensare che il gioco valga la candela. Da adesso in avanti, naturalmente, sarò ancora più cauto, terrò un canale continuamente aperto con il mio direttore, ma vorrei che tu considerassi l’ipotesi dalla quale siamo partiti, un’ipotesi sulla quale il giornale e io abbiamo molto contato: il potere di quest’uomo non è più quello di un tempo, e perciò la sua capacità di offendere non è più la stessa, se non fosse così il mio direttore per primo avrebbe riso della mia proposta. E poi, lasciamelo dire, i tuoi strani amici hanno certamente le idee chiare sul potere della mafia e molto probabilmente anche sul potere della politica, ma ho la sensazione che non le abbiano altrettanto giuste sul potere del giornalismo, anche noi siamo figli di puttana mica da ridere».

Primo aveva capito che la sua perorazione era stata inefficace, che Giuseppe l’aveva ascoltata senza capirla e che adesso era solo convinto di aver affidato a un uomo pavido un compito inadatto alle sue forze. Aveva provato ancora, aveva cercato di fargli capire che genere di persone si aggiravano da quelle parti, ma alla fine aveva dovuto rinunciare, tutte le sue parole erano state prive di efficacia.

«Comunque Pedro si è fatto vivo questa mattina presto, chissà come ha avuto il mio numero di cellulare. C’è una persona, a suo dire, che ha accesso alla villa e che ha assoluto bisogno di soldi, un bisogno tale che gli farà superare ogni tipo di timore. Gli ho detto che gli avrei parlato, ma gli ho chiesto di rinviare ogni contatto a dopo la conclusione del concorso, voglio che Dorotea se ne sia andata da qui prima di dedicarmi completamente al lavoro. Prendiamoci un paio di giorni di licenza, due giorni di vita sospesa. Domani sera e domenica, se Maria vuole, vi porto ad assistere al concorso, con un po’ di fortuna ci riprenderanno le telecamere e ci vedrà tutta l’Italia».

 

Primo poteva essere considerato, sul piano dei sentimenti, come un uomo normalmente generoso e gentile, ma in occasioni come quelle prevalevano in lui le istintive reazioni di autodifesa, pensava a Maria e alle bambine e il suo interesse per la salute dei vari Giuseppe scemava notevolmente. Impedire a Giuseppe di procedere nella sua avventurosa indagine, quindi, gli sembrava molto importante solo per i riflessi che l’intrusione nella vita di un uomo potente avrebbe potuto avere sulla sua famiglia, la Gentile Segretaria glielo aveva fatto capire molto bene. Per questa ragione decise di richiamare Roma.

«Temo che ci sia qualche complicazione e dovrei dirle una cosa, molto breve e semplice. C’è modo di parlarle senza doverci incontrare?».

La Gentile Segretaria era, come sempre, molto matter of fact e non gli fece domande:

«Se ricorda dove ci siamo visti l’ultima volta, avrà forse presente che dall’altra parte della strada c’è un telefono pubblico. Se si fa trovare lì tra un’ora esatta, la chiamerò io».

La Gentile Segretaria fu di una puntualità assoluta: ascoltò la breve relazione che le fece Primo e gli fece alcune semplici ed essenziali domande:

«Cosa si ricorda suo cugino di questo Pedro?».

«Un vistoso anello all’anulare della mano destra, con una pietra azzurra. Un vago accento spagnolo. Niente altro».

«Penso di sapere di chi stiamo parlando, lo dovrebbe aver conosciuto anche lei: macché Pedro, è di Barletta e si chiama Alvise, l’accento lo ha preso in Venezuela dove è vissuto a lungo. È un uomo pericoloso, senza scrupoli, ha sempre bisogno di denaro e per il denaro fa qualsiasi cosa. È anche possibile che non stia millantando e questo lo rende ancor più pericoloso. Cercherò di spaventare suo cugino, ma se non ci riesco, per favore, lo mandi via da casa sua. E si ricordi che ha preso un impegno con me, non mi faccia scherzi».