Epilogo

 

 

 

 

 

Nel quale la quistione morale esce silenziosamente di scena.

 

Fecero colazione insieme, la notte era stata piuttosto complicata e a Primo era venuta una fame buggerona. Poi la Gis lo accompagnò alla stazione, dolce e affettuosa come una morosa di altri tempi, non c’era alcuna traccia dell’erinni della notte. Sempre con dolcezza lo salutò e poi fu come se ricordasse qualcosa per caso, ma Primo capì che non era così, gli stava chiedendo qualcosa che aveva in testa fin dal principio.

«C’è ancora un particolare, Primo, roba di poco conto: sei ancora in debito di una busta, una busta gialla. Dopo di che l’incidente è proprio chiuso».

L’unico straccio di prova che Primo conservava, proprio gli seccava separarsene. Disse:

«Capisco, la distruggerò».

«Non darti la pena, lo farà qualcuno per te».

«E allora, cosa dovrei farne?»

«Tranquillo, qualcuno te lo dirà o te lo farà capire».

E con il suo sorriso più dolce sul volto, la Gis se ne andò, ondeggiando leggermente con le anche, e a Primo venne in mente che secondo Poverbio le donne soddisfatte dondolano un po’ più delle altre. Come se, diceva una voce popolare, avessero perso un tacco.

 

Al ritorno a casa, Primo seppe da Maria che era passata un paio di volte di lì la dottoressa Piccolomini, aveva qualcosa da dirgli, forse Maite ne sapeva di più; Maite però fece la faccia da furba, gli fece capire che preferiva che fosse la dottoressa a parlargli, insomma fece la misteriosa. Primo si accordò con i ragazzi e con la dottoressa per incontrarli il mattino dopo, finita la camminata rapida, dopo essersi fatto giurare che non si trattava di cattive notizie, non si sentiva di reggerne altre.

«Pavolone è certamente un bravo ragazzo – gli disse la Piccolomini – ma Maite è qualcosa di più di una brava ragazza, è un fulmine di guerra. Però vuole che sia io a raccontarle cosa ha fatto. Dunque, si è studiata tutti i segnali dell’ovulazione, un po’ su un libro che le ho dato io, un po’ su Internet. Poi ha comprato una siringona di plastica da 50 millilitri, una sorta di idrante, e ha costretto Pavolone a eiacularci dentro, le risparmio la descrizione di come questo sventurato ragazzo alla fine c’è riuscito. Infine si è iniettata tutto in vagina ed è rimasta per un’ora – questa è l’unica parte discutibile – con le gambe legate al lampadario per non perdere un goccio di seme, direi che è l’unica cosa che non può aver letto nei libri. Adesso, con buona pace mia e di tutti gli specialisti, è gravida. Ah, è anche disposta a raccontarle, in privata sede, come ha fatto a far cambiare idea a Reggiani. Si feliciti».

Primo si felicitò, diede grandi pacche sulle spalle di Pavolone, poi fece a Maite la domanda che aveva avuto molte volte sulla punta della lingua:

«Vorrei sapere, ma devi dirmi la verità, che opinione hai degli italiani».

«Brava gente» gli rispose Maite, che gli voleva bene e non lo voleva offendere.

 

Primo avrebbe voluto lasciarsi alle spalle tutto quel periodo, i vecchioni, l’AIDS, la morte di Giuseppe, la Gis, che lo aveva trattato come una concubina, il Presidente, il Padrone, la politica, la mafia, la sua concezione dell’etica stiracchiata da tutte le parti, la sensazione di rischio personale, i timori per Maria e le bambine, ma c’era ancora qualcosa che lo turbava, aveva la precisa sensazione di essere seguito. Si concentrò molte volte su questo sospetto, che sembrava essere diventato una sorta di fissazione, chiedendosi cosa potesse essergli sfuggito; cercò in tutti i modi di identificare la persona che gli stava alle costole. Niente, eppure era certo che qualcuno lo sorvegliava di continuo. Poi un giorno ebbe improvvisamente l’illuminazione, seppe quale era la risposta. Andò nel ripostiglio dove teneva gli attrezzi per il giardinaggio, nell’armadietto dei diserbanti e affini e tirò fuori la grossa carpetta, nemmeno tanto sciupata. Se la mise sottobraccio, uscì spavaldamente di casa, percorse il lungo viale che conduceva al cancello e lì, ai piedi di una delle due colonne di pietra, depose la carpetta. Rientrò di una ventina di metri nel viale e si fermò, dietro a una vecchia quercia, dove aspettò per non più di cinque minuti. Da qualche parte della strada arrivò un ragazzotto, con l’aria felice e innocente, che raccolse la busta, l’aprì, ne controllò per un attimo il contenuto, e se ne andò canterellando. Primo si mosse insieme a lui ma nell’opposta direzione, sereno, finalmente in pace con il proprio destino. Finché durava.

In ogni caso, proprio quel giorno Proverbio sarebbe tornato a casa.