Nel quale si adombrano le difficoltà sentimentali delle rimbalziste. È ragionevole immaginare l’esistenza di leggi illegittime? Ma nessuno conosce la rabbia che Maite nasconde nel suo cuore.
Le gemelle erano appena uscite di casa quando arrivò la dottoressa Luigia Piccolomini, nata a Pordenone 36 anni prima, madre operaia, padre sindacalista, nome di battaglia Gina, gran rimbalzista, centonovantasei centimetri di carattere durissimo, femminista moderata, iscritta alla CGIL, ginecologa con forte propensione per i problemi sociali, unico vizio conosciuto, leggere il Manifesto. Con Primo trovò un accordo facile, si piacquero subito, Primo scoprì di essere amico del suo uomo il quale, chissà perché, non gliene aveva mai parlato.
«Si vergogna perché per arrivare a un metro e settanta deve misurarsi al mattino, alla sera non ce la fa, così ha paura che gli amici lo sfottano quando sanno che sta con me, credo che abbia il terrore che gli altri pensino che, nei momenti di particolare abbandono, lo prendo in braccio». Intanto erano arrivati i ragazzi e Primo entrò in argomento.
«Dottoressa Piccolomini, le dico intanto quello che ho imparato – o che ho creduto di aver imparato – girovagando su Internet. Do per scontato che questi due ragazzi debbono avere rapporti sessuali protetti, se non lo fanno c’è il rischio che Pavolone si ammali anche lui. Fino a ieri hanno usato una pillola anticoncezionale e hanno fatto uso del preservativo solo in qualche occasione, così che solo tra sei mesi sapremo se lui è diventato sieropositivo, questa se ho capito bene è la finestra massima di latenza della sieropositività; oggi però i suoi esami sono negativi e questo richiede la massima prudenza, non si deve sfidare la fortuna. Però senza rapporti completi la fertilità è affidata ai miracoli, e ai miracoli nessuno di noi crede, quindi a noi non possono capitare. Per avere un figlio, bisogna ricorrere alla tecnica, che può essere semplice se la fertilità di Maite è buona, complessa se non è così. Qui intervengono leggi, linee guida, capacità dei centri di gestire le coppie portatrici di malattie infettive e altro che però non sono riuscito a capire, difficoltà di tipo concettuale, ma talmente esposte ai machiavellismi che ho proprio bisogno che lei me le spieghi».
«Domanda: vuole una descrizione accurata, sufficiente o superficiale, che basti solo a capire i termini del problema?».
«La più accurata che lei voglia di darmi».
«Immaginavo. Allora, tutto comincia con una legge approvata nel 2004 che vieta una serie di cose – le donazioni di gameti, ad esempio, la conservazione degli embrioni, le indagini genetiche, roba così – molto importanti per alcuni pazienti, non per questi due ragazzi. Per loro è invece importante che la legge dica che chi vuole avere accesso alle cure deve essere sterile; anzi, la norma dice esattamente “sterile o infertile”, una precisazione che diventa l’origine di molte contestazioni. Però, soprattutto nei primi tempi, questa norma è stata interpretata da tutti in modo restrittivo: debbono essere incapaci di avere un figlio da soli e presentare un documento che lo attesti. Pensateci bene: voi due un documento del genere non lo potreste presentare, quindi voi sembrereste esclusi dai trattamenti. Ci sono polemiche, naturalmente, la legge è stata fatta in ossequio ai principi dell’etica cattolica e ne sono venute fuori norme che a prima vista sono ingiuste e crudeli, per sapere se voi due siete fertili o sterili dovete cercare di fare un figlio, e alla legge – e alla Chiesa cattolica – non sembra interessare un amato niente che poi lei, come si chiama, Paolone, no Pavolone, finisca con l’ammalarsi di AIDS. Pinzellacchere, purché la morale sia salva. Lunga polemica sul significato della parola “infertilità”, che per i medici vuol dire incapacità di avere figli vivi e sani, voi potreste rientrare nella definizione, ma la Chiesa ha in mano il pallino e decide che le definizioni le dà lei. Cambia però, per un breve periodo, il governo del paese, che passa nelle mani del centro-sinistra, anche lui molto rispettoso della morale cattolica, ma che qualche soddisfazione, al suo elettorato tradizionale, deve pur concederla. Escono nuove linee guida che cambiano, almeno un po’, l’interpretazione della legge. Per quello che vi riguarda dicono che possono ricorrere alla procreazione medicalmente assistita anche le coppie nelle quali l’uomo sia portatore di malattie virali sessualmente trasmissibili per le infezioni da HIV, HBV o HCV in quanto l’elevato rischio di infezione per la madre o per il feto costituisce un ostacolo alla procreazione, perché impone precauzioni che si traducono, in effetti, in una condizione di sterilità, da far rientrare tra i casi di sterilità maschile severa da causa accertata e certificata da un medico. È un articolo scritto in modo obbrobrioso, difficile dire se prevalga l’ignoranza o la superficialità, incasina la sterilità con l’infertilità, fa affermazioni false, come quella che esiste un elevato rischio di infezione del feto, e soprattutto ignora i casi come il vostro, per motivi assolutamente imperscrutabili. Qualcuno, da incompetente, ha detto che potreste far ricorso alle inseminazioni semplici, triste fandonia perché anche quelle fanno parte delle tecniche di procreazione medicalmente assistita, come “tecniche di primo livello”. Quindi, ecco cosa vi resta da fare: passare attraverso la trafila di esami che riguardano la sterilità delle coppie, sperando di trovare una ragione documentabile di sterilità, perché in questo caso l’accesso alle tecniche vi sarebbe consentito: se questa causa di sterilità non emerge, dovreste avere rapporti non protetti per 18 mesi, con la speranza che Pavolone non si ammali, e poi ottenere da un medico un certificato di sterilità idiopatica, cioè da cause non accertate; oppure, aspettare un anno e mezzo e poi dichiarare che in tutto questo periodo avete avuto rapporti completi, che ai rapporti non ha fatto seguito una gravidanza e che perciò avete il diritto di essere considerati sterili. È naturalmente una bugia, ma la maggior parte delle coppie segue questa strada. Spero di non avervi rattristato troppo. Concludo: il primario del servizio nel quale lavoro non vi farà neppure il più piccolo sconto, secondo me è un tristo figuro che non crede nemmeno nel radicchio, ma ha deciso che gli conviene fingersi devoto e non farà mai niente che possa dispiacere al vescovo. Adesso sapete proprio tutto. O quasi».
Pavolone in realtà ne sapeva esattamente come all’inizio, aveva anche cercato di seguire quei complicati discorsi, ma era rimasto indietro e alla fine non ce l’aveva proprio fatta e aveva rinunciato, affidando tutte le sue speranze all’intelligenza di Maite, che sicuramente era riuscita a stare attenta. Maite dal canto suo aveva visto confermate le sue cattive opinioni sul paese che l’ospitava, un paese che godeva di un immeritato e misterioso livello di benessere, considerata la fondamentale stupidità dei suoi cittadini. Ma Maite non era soltanto molto critica nei confronti dell’Italia, soffriva anche di un pericoloso senso di dignità, sapeva di avere diritti, come essere umano e cittadina del mondo, e non sopportava di vederli ignorati e vilipesi. Adesso dentro di lei stava montando una specie di furia che le imponeva di non accettare quello che le stavano proponendo, tutte furberie di poco valore che non potevano certo servire a pareggiare le cattiverie e le ingiustizie, non aveva ancora deciso cosa avrebbe fatto, ma certamente non avrebbe subito. Il guaio era che nessuno dei presenti conosceva Maite abbastanza bene da poter prevedere le sue reazioni. Anche Primo si era un po’ irritato ascoltando quella ridicola storia che sacrificava il buonsenso alla superstizione, ma tutto sommato era abituato ai compromessi e quello che la dottoressa Piccolomini, con la capacità di persuasione che le derivava dal suo metro e novantasei di statura, aveva prospettato non gli sembrava poi tanto male. La conclusione poteva dunque essere una sola: Pavolone e Maite avrebbero fatto tutti gli esami necessari per capire se erano o no sterili, e poi avrebbero tirato le somme. Al momento sembravano tutti d’accordo, ma nessuno aveva la più pallida idea di quanta rabbia si fosse accesa nel cuore di Maite.