Capitolo XV

 

 

 

 

 

Il Grande Concorso di Bellezza e di Bravura: 36 ragazze, 72 gambe, denti? Anche in mutande le ragazze pensano. Cosa c’entrano le muse con i musei?

 

Il grande concorso internazionale per miss B e B cominciava quella sera alle 21 al teatro Verdi, un luogo che certamente non poteva pretendere granché sul piano dell’eleganza formale, ma che aveva il privilegio di essere molto, ma molto grande e di poter ospitare un notevole numero di spettatori. Siccome le riprese televisive cominciavano proprio alle 21, i gentili signori spettatori erano stati pregati di prendere posto con almeno mezz’ora di anticipo, cosa che tutti avevano preso molto sottogamba, tanto che dieci minuti prima delle nove c’era una terribile confusione perché tutti si affannavano per raggiungere la propria poltrona prima di incorrere nelle ire degli organizzatori. Giuseppe aveva ottenuto tre posti di prima fila dei quali era particolarmente orgoglioso e si pavoneggiava; Primo non era abituato a portare la cravatta, si sentiva soffocare e contava molto sul fatto che prima o poi – così almeno gli avevano detto – avrebbero spento le luci; ma la più agitata era Maria, che faceva sfoggio del suo unico vestito cinese veramente elegante e che sentiva gli occhi della gente, sia degli uomini che delle donne, su di sé. Tutta la gente che conoscevano, tutti i loro amici, tutte le persone delle quali avevano sentito parlare, erano lì, in quella sala. Tutti cercarono di conservare un’identità, si scambiarono saluti, si fecero dei cenni, dissero cose sgradevoli e malevole di gran parte delle persone presenti fino alle nove meno un minuto, poi scomparvero, nel buio e nel silenzio, si trasformarono in macchine per applausi, perché dalle nove in punto in avanti quello fu solo, unicamente, squisitamente, uno spettacolo televisivo.

Dalle nove in punto di quel sabato sera per tre ore consecutive la scena appartenne totalmente a un presentatore televisivo, uomo noto soprattutto per la sua appartenenza politica a un partito della maggioranza e che era sopravvissuto, perdendo solo qualche modesto e non indispensabile pezzo, a uno scandalo particolarmente odioso perché aveva riguardato minorenni, dell’uno e dell’altro sesso. Sul suo conto si dicevano cose terribili, barzellette e aneddoti spinti, oscenità di ogni genere e persino qualche storiella vera. Era stato diffuso, alcuni anni prima, un filmato nel quale la moglie di un importante uomo politico lo aveva rimproverato per le sue dichiarazioni in favore delle attività venatorie e, ai suoi recisi dinieghi, gli aveva detto che i suoi più cari amici le avevano giurato che si trattava di un noto pro-cacciatore. Su cosa poi procacciasse c’era un certo disaccordo, ragazze certamente, ragazzi forse, droga e bambini, chissà. Comunque, il popolare presentatore salì sul palco, ebbe una discreta dose di applausi, alcuni gli furono tributati a scena aperta, prevalentemente un po’ troppo prima o un po’ troppo tardi rispetto alla battuta che bisognava premiare, ma il pubblico non è fatto di professionisti, impara, ma come tutti impara sbagliando, e le occhiatacce del popolare presentatore ai suoi sostenitori erano assolutamente ingiuste.

Poi arrivarono le concorrenti, trentasei giovani bellezze (un tempo si sarebbe aggiunto, 72 gambe) non molto vestite, accompagnate dal fascino del tutto particolare di una cultura generale per lo meno brillante, che su quel palcoscenico si doveva per forza trovare a disagio, ma che aveva compiti e ruoli di straordinario rilievo, come quello di dimostrare che anche una futura professoressa di matematica si può mettere in mutande e salire su un palco senza necessariamente perdere la sua dignità. Che era poi l’assunto di tutta la manifestazione.

Giuseppe era particolarmente allegro, e il suo buon umore non sembrava per nulla minacciato dalla presenza sul palco della sua morosa, vestita solo di stringhe variamente incrociate e apparentemente felice di offrire la visione della sua semi-nudità allo sguardo bavoso di milioni di telespettatori. Nel primo intervallo dovuto alle esigenze della pubblicità, aprì con Primo una discussione sul problema dei nomi che definiscono le collettività, come si potevano chiamare tutte quelle ragazze riunite insieme sullo stesso palco? Non un gregge, le pecore sono un gregge, non un branco, non una mandria, non un gruppo, non un pugno, non una accozzaglia, non una accolita, non un drappello, non un mucchio, non un sacco: queste definizioni erano adatte rispettivamente per i lupi, le mucche, i facinorosi, le parole, i fedeli, gli eroi, le bugie, le botte. Era più generoso l’inglese, school andava bene per i pesci e per le dattilografe, ma l’italiano era rigido, lasciava poco spazio alla fantasia, e quello spazio era riservato ai grandi scrittori. Primo propose ammucchiata, e Giuseppe nicchiò, ci avrebbe pensato su, certo che la parola gli faceva venire in mente i corpi, ma in un contesto differente. Primo stava per replicare, poi gli venne in mente che uno di quei corpi apparteneva alla morosa di Giuseppe e si mangiò la lingua.

Dopo il primo intervallo-pubblicità ci furono le prime due sfilate, intervallate da un siparietto di cinque minuti, necessario per il cambio del costume da bagno, la seconda passerella esigeva un’attenzione particolare alla parte posteriore del corpo nelle sue differenti latitudini. Nell’intervallo, un cantante che molti ritenevano trasferito al coro degli angeli per la sua età avanzata cercò di riciclare una sua vecchia canzone, prese male una nota, si mangiò un singhiozzo e uscì nell’indifferenza generale, il pubblico voleva vedere i sederi. Dopo che questi ultimi finirono di sfilare e che il Presentatore ebbe concluso i suoi commenti salaci – il più apprezzato fu un doppio senso, popò inteso come notevole numero di belle ragazze e popò inteso come parte posteriore di quelle stesse belle ragazze – venne il momento topico, la selezione basata su un rapidissimo esame culturale, domanda e risposta dovevano portare via complessivamente un minuto, non un secondo di più.

La scelta delle domande era stata la vera idea vincente del Presentatore, vincente e originale: niente quiz banali, nessuna valutazione della cultura elementare, domande secche e difficili insieme, nessuno del pubblico doveva conoscere la risposta e questo avrebbe creato una sensazione di grande rispetto nei confronti delle concorrenti che fossero state in grado di fornire la soluzione dei quesiti. Insomma, tutto doveva reggersi per la forza del contrasto: una bella ragazza, vestita praticamente di stringhe, natiche e tette al vento, immagine classica della bella guagliona, molta carne e niente cervello, che dimostrava – quando lo dimostrava – che una bella ragazza nuda può essere più intelligente e più colta del professore universitario seduto in platea, presuntuoso e pieno di sé come un uovo, venuto per rifarsi gli occhi e destinato ad andarsene umiliato e sconfitto.

La prima domanda era, da tutti questi punti di vista, esemplare. Esisteva una Scala di Torino? E se sì, cosa riguardava? La candidata, una graziosa bruna di Madrid, appena appena un po’ steatopigica, aveva risposto, senza la minima esitazione, che certo, la Scala di Torino esisteva ed era usata per quantificare la possibilità di impatto degli oggetti celesti che si muovono vicino alla terra. Applauso fragoroso, pubblico sbalordito, Famoso Presentatore gongolante. Poi la brunetta spagnola si era un po’ incasinata sul MIT, ma la risposta era esatta, che altro si voleva da lei?

La successiva concorrente era una studentessa di lettere dell’Università di Firenze, unico difetto visibile le ginocchia leggermente valghe, che non ebbe un attimo di esitazione nel rispondere a una subdola domanda che riguardava alcuni chicchi di melagrana, Plutone, Proserpina e la primavera: anche in questo caso, lo spettatore minimamente sospettoso avrebbe notato che la futura professoressa sbagliava sistematicamente tutti gli accenti (ad esempio chiamava Proserpina Proserpìna, forse immaginando che la madre Cerere la chiamasse affettuosamente Pina), ma si trattava evidentemente di particolari insignificanti.

Le domande e le risposte continuarono con un ritmo serrato, dieci delle ragazze risposero esattamente a quesiti quali «dica il nome di almeno sei mesi secondo il calendario della rivoluzione francese», «citi almeno otto delle dodici fatiche di Ercole», e poi i nomi delle renne di Babbo Natale, gli italiani che avevano vinto un premio Nobel, almeno tre luoghi visitati da Gulliver nei suoi viaggi. Un osservatore attento avrebbe potuto almeno interrogarsi su uno degli aspetti più misteriosi dello spettacolo – come poteva albergare tanta erudizione in un numero così elevato di donne tanto giovani – e un osservatore astuto avrebbe certamente notato un singolare errore: una giovane finlandese, belle gambe, non molto seno, fianchi un po’ troppo stretti, alla quale era stato chiesto con quale criterio venivano attribuite le caratteristiche geografiche al pianeta Venere, aveva risposto «Opale, Topazio e Turchese», una risposta che non c’entrava niente, e fu bocciata; dopo un po’, una graziosissima giovane di San Marino – non ho critiche da fare – alla quale era stato chiesto di precisare le pietre natali dei mesi di ottobre, novembre e dicembre, aveva dichiarato, sorridendo e con molta nonchalance, che si ispiravano rispettivamente a dee della guerra, dee dei deserti e dee dell’amore, risposta anche questa priva di senso e non approvata. Una persona sospettosa, a questo punto, avrebbe potuto immaginare che a una parte delle ragazze le risposte erano state consegnate e che in queste consegne c’era stato un errore, la sanmarinese aveva ricevuto la risposta alla domanda che doveva essere fatta alla finlandese. La stessa persona sospettosa si sarebbe ulteriormente convinta che tutta quella esibizione di cultura era un’ignobile farsa, considerando il fatto che alla fine della prima giornata le selezionate, che avrebbero dovuto essere 12, erano solo 10 e che all’ultimo momento, per ragioni non del tutto chiarite dagli organizzatori, era stata ripescata l’undicesima, la ragazza di San Marino, che non conosceva le pietre natali degli ultimi mesi dell’anno – anzi, proprio non sapeva che cavolo fossero le pietre natali – ma non a caso era la più carina di tutte.

Qualche dubbio in verità era venuto anche a Giuseppe, che era certamente un uomo innamorato, ma non tanto da aver perso ogni capacità critica, la sua amorosa era sicuramente intelligente e simpatica, ma colta proprio no, non l’aveva mai sorpresa con un libro in mano. La domanda che aveva avuto in sorte non era tra le più difficili – si trattava dei nomi delle nove muse – ma, almeno secondo Giuseppe, completamente al di fuori della sua portata. Invece, la maggioranza dei presenti non aveva ancora finito di commentare con un brusio e con qualche isolato, ma energico e irritato «òscia lui» l’eccessiva difficoltà del quesito, che la ragazza aveva cominciato a sciorinare i nomi, tutti corretti, patronati inclusi, finendo con un (non richiesto) richiamo al termine mouseion «luogo dedicato alla gloria delle muse, dal quale deriva, cosa che molti purtroppo non sanno, la parola museo», esattamente come un’enciclopedia, con l’aggiunta di quel perfido «purtroppo» che aveva ferito al cuore la quasi totalità degli spettatori. L’ultima sfilata delle concorrenti era stata prevista come l’occasione per l’addio, o meglio, l’affettuoso arrivederci, alle ragazze che il giorno dopo non avrebbero continuato la competizione, ma ebbe meno successo del previsto: gli spettatori – è bene ricordarlo, prevalentemente maschi – non apprezzarono il fatto che le ragazze uscissero per il saluto finale in abito da sera, scollato fin che vi pare, ma pur sempre una delusione, visti i preamboli la gente si aspettava di vederle uscire in «puntino»; le ragazze che non erano state promosse si erano rese conto che c’era stato qualche fondamentale pateracchio, non sorridevano più, davano chiari segni di nervosismo. Tutto comunque era filtrato dall’attento regista dello spettacolo, che di musi ingrugniti non ne mandò in onda nemmeno uno e riuscì persino a smorzare il mormorio di delusione che uscì dalla platea alla comparsa delle ragazze vestite. Tutto sommato, comunque, un successo, la sera successiva si presentava sotto ottimi auspici.