Gli amari ricordi di Maria. Anche Giuseppe si racconta. Eppure, checché se ne dica, il buonsenso può prevalere. L’attribuzione delle colpe non è la stessa per le differenti categorie di persone. Esistono cattolici integralisti o si tratta sempre di musulmani infiltrati?
Quella sera, Primo, Giuseppe e Maria rimasero a chiacchierare fino a tardi, Giuseppe e Maria avevano voglia di parlare, a Primo andava soprattutto di ascoltare: Maria era una ragazza di poche parole, quelle poche volte che raccontava di sé e della sua vita valeva la pena di ascoltarla. A quella parte della sua vita, quella che precedeva il suo incontro con Primo, alle difficoltà e alle umiliazioni delle quali aveva dovuto patire, Maria accennò senza insistere, forse la presenza di Giuseppe la imbarazzava. Spiegò cosa significava per una donna dover subire le voglie di uomini brutali senza avere alternative, o così o il rimpatrio, o così o la fame, o così o la morte. Disse che al suo paese la condizione femminile era ancora peggiore, ma che in Italia la stupiva il contrasto tra una interpretazione forte e coerente della democrazia e il commercio che si faceva del corpo delle donne, prostitute ovunque, nessuna critica o condanna morale ai loro clienti, il fatto che fosse accettato dalla società il principio per il quale se una donna voleva comparire in televisione doveva togliersi i vestiti. Maria frequentava luoghi dove incontrava donne che si vantavano di essere emancipate, moderne, indipendenti, ma poi capiva che quelle stesse donne se ne stavano come oche giulive ad applaudire spettacoli televisivi come quello al quale avevano appena partecipato, un minimo di coerenza avrebbe richiesto il rogo di quelle televisioni e di quei palcoscenici. Era contenta però di esserci stata, ne aveva potuto verificare da vicino la straordinaria volgarità. Pensava però che Giuseppe non avrebbe dovuto stare zitto, era suo dovere parlare a Dorotea, spiegarle quanto era stata degradante per lei quella apparizione. Maria parlava un italiano molto migliorato da quando viveva con Primo, ma inseriva spesso parole dialettali, in fondo la lingua che aveva imparato per prima era il romagnolo, e così Primo era dovuto intervenire spesso per tradurre e chiarire. Non aveva mai espresso la propria opinione, ma gli era parso che Giuseppe fosse stato scosso dalle parole di Maria.
Poi Giuseppe parlò di Dorotea, ne descrisse pregi e difetti, spiegò quale cattiva influenza avesse su di lei la madre, che identificava il successo con la notorietà e la felicità con il successo. Spiegò che la loro relazione era certamente arrivata a un punto critico, che era troppo tardi per fermare questa sua esibizione, ma che da lunedì in poi avrebbe chiesto alla ragazza di discutere senza infingimenti del loro avvenire, quelle due sere dovevano essere l’addio alla stagione dei giochi, quella in cui le ragazze sognano di diventare veline e immaginano di sposare il grande giocatore di foot-ball o il famoso cestista. Il loro dialogo, questo era quanto almeno sperava, poteva continuare, ma tra due adulti, non avrebbe accettato risposte indecise o promesse vaghe. Raccontò di avere un appuntamento con Dorotea alla fine del concorso, domenica notte, lunedì meditava di tornare a Roma, prima di partire dovevano aver preso una decisione, questa volta non avrebbe ammesso rinvii. Continuarono a chiacchierare ancora per un po’, Primo bevendo la sua grappa preferita, Maria sorseggiando un liquore al cioccolato, Giuseppe cercando di far durare il più possibile un grande bicchiere di latte tiepido, lui era astemio. Quando decisero di andare a dormire erano quasi le tre. L’ultimo pensiero di Primo fu proprio per quel bicchiere di latte: lui, di solito, diffidava degli astemi, aveva anche poca simpatia per chi non amava mangiare bene, e sospettava delle persone che non sapevano nuotare, ma gli astemi li sopportava proprio poco. Giuseppe era il primo astemio che gli piaceva, e oltretutto vegetariano, e non sapeva nuotare. Ma chi è in realtà che cambia, noi o il mondo?
La mattina della domenica, a qualsiasi ora fossero andati a letto alla sera prima, Primo e Maria si alzavano alle sette, Maria per andare alla messa delle otto con le bambine, Primo per allungare di mezz’ora la sua camminata rapida. Rientrarono più o meno alla stessa ora, Giuseppe dormiva ancora.
Cinque minuti dopo aver fatto la doccia, ci fu una chiamata della dottoressa Piccolomini.
«L’ho vista rientrare dalla sua camminata del mattino, la controllo dalla finestra. Ho immaginato che le ci volesse mezz’ora per una doccia, ma se vuole posso richiamarla più tardi».
«Sono tutto suo».
«È quello che dice anche il mio compagno e non c’è niente di più falso. Se ha tempo, faccio un salto da lei, c’è una novità».
La dottoressa Piccolomini suonò alla porta dopo meno di cinque minuti, aveva la faccia furba e Primo immaginò che portasse buone notizie e glielo disse.
«Sì – disse la dottoressa, – anche se mi morda un ramarro se ho capito come mai le carte sono cambiate sulla tavola. Ieri sera mi ha chiamato Reggiani, anche per farmi le consegne, ha deciso di prendersi delle ferie. Mi ha chiesto dei particolari sulla storia dei due ragazzi, ha anche voluto sapere dove lavorano e cosa fanno, e quando ho fatto il suo nome ha fatto il rumore che fanno i tacchini quando vedono i serpenti».
«Che sarebbe?».
«Come quando hanno il male del Cecco, la laringite. Sembra, dico sembra…».
«Lasci stare, vada avanti».
«Insomma, è tornato sulla storia delle linee guida, da capo, ha ripetuto tutto quello che ci eravamo già detto, solo che ha cambiato la fine. Mi ha spiegato cosa debbo dire loro: che la loro è comunque una condizione di grave ipofertilità che, viste le lastre delle salpingi, può essere equiparata a una sterilità tout court, ha detto proprio così, tout court. A dire il vero ho creduto che scherzasse, quello era il soprannome che gli aveva affibbiato una specializzanda che era uscita con lui una sera, sembra che non sia un uomo fisicamente dotato, negli spogliatoi lo distruggerebbero, invece parlava sul serio, sterilità tout court. Scriverò esattamente così. Della sieropositività ha parlato solo per raccomandarmi di prendere tutte le precauzioni necessarie. Adesso mi spieghi: o lei è un uomo molto potente, o lui ha avuto una visione».
Primo una vaga idea ce l’aveva, quello sguardo negli occhi di Maite non se lo era dimenticato, ma come quello sguardo avesse potuto trasformarsi in uno strumento di persuasione non riusciva proprio a immaginarlo. Spiegò alla dottoressa Piccolomini che lui, lui, non c’entrava proprio per niente, poteva solo pensare a un ravvedimento, e le chiese come si dovevano comportare da adesso in poi.
«Non so se segue queste cose, penso di no. Dunque al momento al Ministero della Salute comandano i cattolici integralisti, la nostra unica fortuna è che sono poco esperti, poco furbi e hanno un quoziente di intelligenza, diciamo così, bassino. Sono però molto indaffarati a mettere i bastoni tra le ruote, non importa di chi, uno passa e loro gli mettono un bastone tra le ruote. Poiché la cosa più importante per loro è fare bella figura con il Vaticano, immagino che se la prenderanno con tutte le novità che hanno rappresentato una attenuazione della durezza della legge. Tutte cose che durano poco, dopo un amen arriva la magistratura che le rinnega, ma tutte cose fastidiose. Per chi difende questa legge, la fregatura sta nel fatto che è stata scritta da medici che volevano lasciare delle scappatoie aperte per interpretazioni meno disumane, e così facendo hanno approvato una serie di norme molto fragili, ovunque i magistrati mettano il naso, fanno uno scompiglio. Ma la conclusione è che non bisogna dare a questa gente il tempo di fare altri danni. Dica ai suoi ragazzi di venirmi a cercare domani mattina, diamo subito l’avvio alle danze».
Primo sapeva dove trovare Pavolone e Maite, così chiese alla dottoressa Piccolomini la cortesia di aspettare, glielo avrebbe detto lei stessa. Maite, a dire il vero, non si mostrò affatto sorpresa, il che confermò Primo nel suo sospetto iniziale, qualcosa la ragazza doveva aver fatto, sperava solo che non fosse niente di illegale. Dopo di che lasciò i tre a confabulare e a prendere accordi e se ne andò a trovare Proverbio, che sicuramente lo stava aspettando e che si sarebbe lamentato di un ritardo anche minimo, se non vuoi venire non importa, se devi fare un sacrificio lascia stare, una gnöla di questo genere.
Ma quella mattina, Proverbio aveva tutte le ragioni per essere tollerante e magnanimo, lo avevano dimesso dal reparto di terapia intensiva ed era tornato in quello di chirurgia, un importante passo verso la dimissione. C’era ancora l’infermiera che l’aveva accompagnato nel trasferimento, che lo doveva avere in grande simpatia, perché disse, scherzando, ma senza esagerare:
«Bsugnarèpp amazêl parônzar tòtt chi étar, bisognerebbe uccidere quest’uomo per ungere tutti gli altri, forse diventerebbero migliori».
«Ce ne sono di cattivi da dove viene lei?» le chiese Primo.
«Guardi, la trappola che hanno cercato di sistemarci sotto il reparto, con la storia dei vecchioni, morti cadaveri attaccati a un tubo per sentire il rumore delle molle dei loro letti, è la vergogna delle vergogne. Per fortuna che abbiamo incontrato l’unico prete di coscienza di tutta la provincia… Guardi, mi lasci stare che mi comprometto».
Quando rimasero soli, Proverbio si mise a ridere.
«Sembra che siamo stati intimi, ma io me lo ricordo poco. Roba di quando lavoravo alle feste dell’Unità. Adesso quando mi lavava, tutte le volte diceva come ta tsi ardót!, come ti sei ridotto! E mi guardava sempre nello stesso posto, e scuoteva la testa. È una pessimista nata, le ho chiesto quando mi avrebbero dimesso e mi ha detto quand e carnàž e fa la fója, quando spuntano le foglie al catenaccio. Ma per la storia dei quattro vecchi ha ragione, mettere in mezzo la legge è stata una vera porcheria».
Primo gli chiese la sua versione dei fatti, che era poi quella del reparto. Loro davano tutta la colpa al direttore generale, che non si sarebbe preso una responsabilità, gli faceva paura, dicevano, anche l’uomo del sacco, una versione edulcorata dell’uomo nero. E, sempre secondo loro, il fatto che il magistrato non avesse ancora incriminato nessuno era merito del prete, il figlio della vecchiona, che aveva detto al vescovo che o andava bene così o lui faceva uno scandalo, sapeva lui cosa dire. Primo si ripromise di confrontare questa versione con quella di Aquilani, lo avrebbe cercato il giorno dopo.