7.

Erwan viveva in un bilocale al secondo piano di un condominio moderno in rue de Bellefond, nel IX arrondissement. Il quartiere lo lasciava completamente indifferente. Non subiva il fascino né di rue des Martyrs né di place Saint-Georges e non sembrava particolarmente impensierito dai vicoli sinistri attorno alla stazione di Saint-Lazare o a place Clichy. Gli importava soltanto che la sua via fosse tranquilla, i vicini invisibili e che nell’affitto fosse compreso il parcheggio.

Settanta metri quadrati organizzati da vero poliziotto: un salotto adibito a ufficio, una camera che era un dormitorio e una cucina a vista, all’americana, dove mangiava in piedi. Pochi mobili, nessun ornamento alle pareti, niente suppellettili. La sua unica ossessione era la pulizia. Pagava profumatamente una donna che andava due volte alla settimana e lui stesso dava una pulita nei weekend. Erano cinque anni che viveva in quell’appartamento e lo aveva già rimbiancato da cima a fondo due volte. Amava l’odore di pittura che restava per mesi: l’odore della novità, della rinascita.

Quando girò la chiave nella toppa, si era già dimenticato di Sofia e si stava chiedendo quale fosse il vero motivo della sua missione in Bretagna. Perché il Vecchio aveva deciso di mandarlo là? Davvero era per imbastire una «versione accettabile» di un incidente occorso durante una cerimonia di iniziazione delle matricole? O forse voleva costringerlo a respirare l’aria del Finistère, la regione di cui sosteneva fossero originari? Oppure era solo per tenerlo lontano da Parigi per qualche giorno?

Secondo Morvan i bretoni avrebbero collaborato e l’inchiesta sarebbe stata chiusa nel giro di un paio di giorni. Come no. Di sicuro i militari dell’aeronautica navale sarebbero stati chiusi come ostriche, i gendarmi lo avrebbero considerato un rivale e il procuratore avrebbe preso precauzioni alla minima scoperta. Per affrontare un ambiente tanto ostile gli sarebbe servito un mago delle scartoffie. Philippe Kriesler, alias Kripo, il suo vice, sarebbe stato perfetto. Era il burocrate della squadra, quello che si occupava di redigere i rapporti e i verbali d’interrogatorio, che si sorbiva tutti i mandati, le note spese, le procedure... Bisogna essere portati per quel genere di cose, e Kripo era imbattibile.

Erwan gli telefonò ma trovò la segreteria. Lasciò un messaggio, ricordandosi che il suo vice sarebbe rientrato soltanto quel giorno dalle ferie. Avrebbe ricevuto il messaggio in tempo? Si diede qualche ora prima di contattare un altro poliziotto.

Caffè. Nel silenzio dell’appartamento gli tornarono in mente i bocconi amari di quella giornata: i lividi della madre, le omissioni del padre, le foto di Sofia... Una famiglia di matti.

Si riteneva l’unico membro sano del clan. O comunque il meno fuori di testa. Single, quattromila euro al mese, una routine quotidiana precisa come una dichiarazione dei redditi. Indossava completi Celio, leggeva «L’Équipe» e il suo unico vizio era concedersi una birra di tanto in tanto. Aveva anche altre passioni, molto più raffinate – musica classica, arte, filosofia... – delle quali non riusciva tuttavia a parlare con nessuno. Non che ne avesse voglia, comunque: questioni private. Si atteneva a quella che era la sua immagine ufficiale: il miglior comandante della Omicidi, un’altissima percentuale di casi risolti e numerosi premi a livello nazionale vinti come tiratore sportivo.

Come poteva anche solo sognare Sofia Montefiori?

Erwan aveva sempre associato la bellezza femminile al denaro, e ogni giorno nella sua vita di poliziotto non faceva che confermare quanto detto da Frédéric Beigbeder: «Le donne non sono puttane, però non ne conosco nessuna bella che stia con un povero». Nei film la moglie del miliardario di turno finisce sempre a letto con l’eroico sbirro che prende il minimo sindacale. Nella vita vera, invece, preferisce restarsene sdraiata sul bordo della propria piscina.

Doveva accontentarsi di prede meno affascinanti ma simpatiche: commesse, cameriere, estetiste. Non disdegnava affatto quelle sue conquiste; anzi, mostrava loro grande rispetto e le trattava gentilmente per compensare l’atteggiamento di vago disprezzo con cui si dovevano confrontare ogni giorno. Niente gli dava il voltastomaco più dell’espressione «impieghi minori» e trovava irritante qualsiasi qualifica professionale che terminasse con il suffisso -ina o -ista. Si vedeva bene nei panni del difensore delle sartine.

Purtroppo nessuna delle sue relazioni durava mai a lungo. Era come in quella canzone: Quando una marchesa incontra un’altra marchesa, che cosa si raccontano? Le cassiere potevano offrirgli soltanto storie da cassiere, non molto appassionanti, e lui snocciolava i suoi aneddoti da sbirro, più interessanti, forse, ma raccapriccianti e perversi. La scintilla non scoccava mai.

Niente di grave. Preferiva sognare. Preferiva Sofia. Dentro di sé pensava che l’amore, quello vero, dovesse restare inaccessibile e non c’entrasse nulla con il sesso.

Si trattava di uno degli insegnamenti del padre. Il vecchio bruto, il campione di intrighi, era un puritano. Amava soltanto le ninfette, e in modo platonico. Le rare volte che Erwan l’aveva visto eccitato era stato per qualche ragazzina adolescente, poco più che bambine. Ne era rimasto affascinato. Vedere quel gigante rubicondo trasformarsi in un Babbo Natale benevolo e premuroso aveva un che di mostruoso. Il ruffiano che aveva riempito di puttane i letti della maggior parte dei politici, l’uomo che riforniva di cocaina i tossici eccellenti, il ricattatore al servizio della Buoncostume, della Omicidi e delle forze speciali della polizia cercava ristoro a quella fonte di purezza senza secondi fini.

Ma proprio perché era figlio di suo padre Erwan sapeva benissimo che in questo mondo il sesso è una forza onnipotente. La prima lezione che ogni buon poliziotto deve imparare consiste nel fatto che il sesso è dappertutto, sempre. Sotto le apparenze della cultura, dei discorsi, delle religioni, delle uniformi pulsa la carne. L’urgenza di toccare seni, di affondare il proprio dardo in una fessura calda e umida. Il resto è letteratura.

Erwan abbandonò quelle riflessioni sui massimi sistemi e si sedette alla scrivania, su cui appoggiò una tazza e la caffettiera. Quando ebbe acceso il computer, diede un’occhiata alle e-mail che gli aveva mandato il Vecchio. La prima riguardava la base aeronavale implicata nella «morte accidentale di un cadetto», l’accademia per piloti chiamata Kaerverec 76 dal nome del villaggio vicino, sulla costa occidentale del Finistère, il dipartimento più a ovest di tutta la Francia; il 76 indicava l’anno nel quale era entrata in funzione.

Suo padre aveva allegato alcuni link sull’accademia, dove gli EOPAN (gli allievi ufficiali piloti dell’aeronautica navale) seguivano un corso biennale prima di passare un terzo anno negli Stati Uniti per completare il loro addestramento come piloti di aerei da caccia. Al ritorno erano pronti per mettersi ai comandi dei Rafale che decollavano dalla portaerei Charles-de-Gaulle. Gli ultimi arrivati erano gli allievi della classe Condor 2012.

Ogni anno, all’inizio di agosto, si presentavano alla base una ventina di candidati selezionati sulla scorta del curriculum. Erano tenuti sotto osservazione per un mese: esami teorici, selezione in volo, valutazioni psicologiche, simulazioni... La prima settimana di settembre la dozzina di superstiti subiva le prove di iniziazione riservate alle matricole.

Erwan rilesse il messaggio che Morvan aveva ricevuto dallo stato maggiore. Era stato redatto da Jean-Pierre Verny, tenente colonnello del reparto investigativo della gendarmeria di Brest, e riassumeva i fatti in poche righe. Venerdì 7 settembre, a mezzogiorno, l’accesso alla base era stato chiuso ai visitatori, e ufficiali e corpo docente erano stati allontanati. L’accademia era diventata un gigantesco campo da gioco con un’unica regola: farne passare di tutti i colori ai nuovi arrivati. Alle cinque del pomeriggio le dodici matricole erano state radunate sulla pista. Imbrattamento, prove fisiche, insulti e sevizie fino alle otto. Dopodiché i ragazzi, nudi e insudiciati, erano stati fatti disperdere nella brughiera per una caccia all’uomo con modalità non meglio specificate. Il mattino successivo ne mancava uno all’appello: Wissa Sawiris, ventidue anni, di Le Mans. Di buon’ora, nel corso di una manovra militare, era stato lanciato un missile sull’isola di Sirling, a pochi chilometri dalla costa. A mezzogiorno gli esperti di balistica militare avevano analizzato le macerie del bunker che era stato colpito e avevano scoperto dei resti umani. Non ci era voluto molto per capire che si trattava delle spoglie dello studente scomparso. Era stata la testa, separata dal corpo, a consentire una prima identificazione, nonostante fosse bruciata.

Erwan bevve un altro sorso di caffè e si fregò gli occhi. Tutta quella faccenda era semplicemente incredibile. Già non si spiegava come avessero potuto lanciare un missile a pochi chilometri da una base dove dei ragazzi erano stati liberati come fagiani prima della caccia, ma che quel missile avesse centrato proprio il bunker in cui si era nascosto uno di loro era francamente inconcepibile. Forse quella storia nascondeva un’altra verità?

Il telefono cominciò a vibrare. Kripo.

«Sei tornato dalle vacanze?»

«Ho appena messo giù lo zaino. Sono andato a ricaricarmi un po’ le pile nell’Alto Reno. Perché mi cercavi?»

«Domani si parte.»

«Dove andiamo?»

«Nel Finistère. Una storia di nonnismo finita male.»

«Non possono pensarci i gendarmi?»

«È successo in una base dell’aeronautica navale: è richiesta la presenza della squadra Omicidi.»

«I militari sono d’accordo?»

«Pare di sì.»

«E i media?»

«Non ne sanno ancora nulla. Saremo noi a stendere il rapporto ufficiale.»

Erwan immaginava già i titoli dei giornali: Esercito: ancora problemi; Nonnismo: il flagello torna a colpire. I politici ne avrebbero discusso, vecchie proposte di legge sarebbero state riesumate, si sarebbero susseguite le trasmissioni televisive. Le solite pagliacciate.

Kripo sospirò. «Verrei volentieri ma ho un appuntamento martedì a mezzogiorno.»

«Non puoi rimandarlo?»

«L’ho già spostato due volte.»

«Con chi?»

«L’IG

Erwan faticava a immaginare che il suo vice potesse avere qualche problema con l’ispettorato generale – la «polizia dei poliziotti» – e ancor meno che potesse testimoniare contro qualche collega. Kripo, cinquantadue anni, scapolo di ferro a pochi anni dalla pensione, era un dilettante. Nonostante fosse plurilaureato, non aveva mai superato il grado di tenente e considerava il proprio mestiere come un passatempo, perseguendo invece con passione quelli che avrebbero dovuto essere semplici hobby: suonare il liuto, cantare in un coro rinascimentale, studiare le dinastie dell’alto medioevo...

«Come mai?»

«Sai, il mio problemino con la pistola...»

Sei mesi prima Kripo aveva perso la pistola d’ordinanza. Alla stazione era scoppiato il panico, finché non l’aveva ritrovata nella custodia del liuto. La faccenda aveva fatto abbastanza rumore perché venisse steso un rapporto che, a quanto pareva, era stato trasmesso ai «manzi in umido», come venivano chiamati i commissari dell’ispettorato generale. A quel punto sarebbe stato più logico farsi affiancare da qualcun altro, ma Erwan teneva al suo burocrate «personale».

«Farai andata e ritorno in aereo.»

«A spese della ditta?»

«A quello ci penso io. Ci sarà pure bisogno di portare qualche prova a Parigi per farla analizzare.»

«Come vuoi. A che ora partiamo?»

«All’alba. Dobbiamo arrivare prima di mezzogiorno.»

«Con la tua macchina o con la mia?»

«La mia. Alle cinque sarò sotto casa tua. Intanto ti mando il materiale che ho già sul caso.»

Un altro caffè. Erwan cominciò a cercare su Internet qualche informazione sulle pratiche di iniziazione delle matricole. Dall’esterno udiva provenire il frastuono assordante del traffico, la pioggia sferzava i vetri. Rabbrividì di piacere.

Si rese conto di aver già dimenticato le sue vacanze. Si era rifiutato di raggiungere i Morvan sull’isola di Bréhat ed era stato indeciso fino all’ultimo se comprare un biglietto low cost per la Turchia. Alla fine era andato due settimane nei Paesi Baschi, dove si era rintanato in un alberghetto con qualche libro e un po’ di DVD. La sua unica avventura era stata con la ragazza che noleggiava le tavole da surf sulla spiaggia di Bidart. Non ricordava più nemmeno come si chiamava. Proprio un signore...

Gli bastò scrivere la parola «nonnismo» nella stringa di ricerca per ottenere migliaia di occorrenze. Le definizioni si potevano grosso modo riassumere come segue: «Tradizione che consiste nel far pagare a caro prezzo ai nuovi arrivati l’accesso a una scuola o a una corporazione. Angherie, umiliazioni, insulti, torture e vessazioni, il tutto mascherato da pseudogoliardia». Quella pratica innescava una reazione a catena, in cui le vittime non vedevano l’ora di diventare a loro volta carnefici l’anno successivo e così via.

Non era una faccenda recente: secondo gli storici le origini del nonnismo risalivano ai riti di iniziazione primitivi e alle cerimonie di passaggio dell’antichità. Peraltro era un’usanza diffusa in tutto il mondo: nei college inglesi si chiamava fagging, negli Stati Uniti hazing, in Spagna novatada... L’idiozia non conosce frontiere.

Cominciò a leggere qualche cronaca relativa a singoli episodi e rimase sbalordito dalla frequenza degli incidenti. Nel settembre del 2011, a Bordeaux, nel corso di un «weekend d’integrazione», come venivano chiamati adesso, la situazione era sfuggita di mano: ragazze pubblicamente denudate e umiliate, una croce in fiamme... Due mesi dopo, all’università Paris-Dauphine, avevano inciso sulla pelle di una matricola le iniziali della confraternita. L’anno prima si era verificato uno stupro all’istituto commerciale di Nancy. Nel 2009 erano stati riportati abusi sessuali in un liceo di Poitiers. Nel 2008 si erano registrate «umiliazioni a carattere sessuale» nella facoltà di medicina di Amiens... Ogni inizio autunno si trasformava in un viaggio all’inferno.

Ma la cosa peggiore era che tutte quelle violenze avvenivano con la benedizione dei responsabili degli istituti. Erwan immaginò presidi, professori e sorveglianti mentre sbarravano le porte delle scuole dopo aver liberato i mostri al loro interno, un po’ come uno che faccia il palo mentre gli altri componenti della sua gang criminale stanno violentando una ragazza.

Lui, che aveva conservato intatta la sua capacità di provare disgusto, si sentì nauseato. Non era l’unico. Quelle pratiche erano vietate ormai da tempo. Una legge del 1998 dichiarava illegale ogni forma di nonnismo. Esistevano associazioni e comitati che si battevano contro queste usanze. Il ministero dell’Educazione emanava ogni anno circolari in cui veniva ribadito il divieto. Con che risultato? Si era diffusa una nuova prova che consisteva nel costringere le matricole a mangiare quei documenti, come atto di sfida. No comment.

Spense il computer e decise di dormire almeno qualche ora. Piegò camicie, calze e pantaloni e li ripose in una borsa da viaggio. Mentre preparava i bagagli, continuava ad avere davanti agli occhi la medesima scena: ragazzi stesi a terra su una pista di atterraggio, tremanti e bersagliati di insulti e uova marce, farina e merda da parte di alcuni figuri mascherati.

Si chiese se davvero quell’inchiesta gli avrebbe dato la boccata d’aria nella quale aveva sperato.