Gaëlle non aveva dovuto chiamare il suo agente perché le trovasse un casting. Il gioco si chiamava Chi perde vince. Non aveva capito nulla del regolamento. C’erano una ruota, delle domande e vinceva il concorrente che otteneva il punteggio più basso. Cercavano una ragazza che girasse la ruota. In costume da bagno, of course.
Una cretinata in più alla televisione. Poco importava. Bisognava che la vedessero, costasse quel che costasse. Le ragazze come lei per motivarsi si riempivano la testa di nomi, di aneddoti su attrici famose che agli esordi della carriera avevano partecipato a stupidi concorsi di bellezza o accettato ruoli di secondo piano in qualche insignificante trasmissione televisiva. Louise Bourgoin, ex meteorina di Canal+; Helena Noguerra, ex animatrice su M6; Aishwarya Rai Bachchan, ex Miss Mondo; Claudia Cardinale, ex più bella italiana di Tunisi; Sophia Loren, ex Miss Eleganza...
Gaëlle si guardò attorno. Sedie pieghevoli, distributore dell’acqua, moquette logora. Nessuna sorpresa nemmeno tra le concorrenti. Quelle meno giovani le conosceva già: ragazze che frequentavano il Castel, il VIP, il bar del Plaza. Altre venivano chiaramente da fuori Parigi: provinciali. Ma anche se il loro look lasciava a desiderare, avevano qualcosa di molto più importante: la giovinezza.
Istintivamente le venne da pensare che presto avrebbe compiuto trent’anni e che ormai era spacciata. Ma di nuovo riuscì a trovare alcuni precedenti eccellenti: Cate Blanchett era diventata famosa dopo i trent’anni, come pure Naomi Watts e Monica Bellucci. Per non parlare della regina indiscussa: Sharon Stone, che aveva sfondato con Basic Instinct a trentaquattro anni. Poteva ancora sperare.
Nonostante la giovinezza fosse il suo unico capitale, conduceva una vita in cui gli anni contavano il doppio, se non addirittura il triplo: locali, alcol, droga... Impossibile tirarsi indietro. Bisognava sottostare alle regole della notte. Anche quel giorno era andata a letto alle sei del mattino. Al VIP era riuscita a sedersi al tavolo di un importante regista che non faceva che bere e parlare, parlare e bere. Quando alla fine era riuscita a metterglisi accanto, quello ormai dormiva della grossa, con la testa sprofondata nei cuscini.
Tirò fuori lo specchietto per controllare di essere in ordine e subito se ne pentì, perché significava ammettere la propria debolezza davanti alle altre. Ma ciò che vide le piacque: a dispetto delle occhiaie, ritrovò il suo visino da bambola russa.
Quando aveva sedici anni, non avrebbe mai immaginato che a trenta avrebbe avuto un volto simile. A dire la verità non pensava nemmeno che sarebbe sopravvissuta fino a quell’età: all’epoca pesava poco più di trenta chili.
Gaëlle aveva preso coscienza del proprio corpo soltanto durante la pubertà e quella scoperta aveva rischiato di distruggerla. Aveva smesso di mangiare, trincerandosi dietro un rifiuto assoluto della vita. Era stato allora che aveva scoperto il piacere del digiuno. Quella sensazione lancinante di fame alla quale si accompagna sempre una leggera vertigine. Ricordava ancora i suoi svenimenti: l’ebbrezza di perdere conoscenza in mezzo agli altri. Una vana illusione: non appena si riprendeva, ritrovava sempre il suo corpo, una massa di carne immonda, un ripugnante contenitore di organi.
Il bagno era il suo quartier generale. Vomitare, evacuare, vomitare... Stomaco e intestino erano perennemente infiammati. Le cadevano i capelli, aveva la pressione bassa e problemi di circolazione. Al minimo urto, la pelle si copriva di ematomi che assumevano strane sfumature color malva. Dormiva con la finestra aperta per fare corrente e teneva il condizionatore impostato sulla temperatura minima. Un trucchetto noto a ogni anoressica (e a ogni modella): il freddo brucia le calorie. La sua unica consolazione era che anche solo muovendosi, anche solo respirando, dimagriva...
Un giorno, dopo avere preso dei lassativi e avere spinto troppo, aveva avuto un prolasso rettale. Era stata ricoverata: la prima di una lunga serie di degenze all’ospedale.
Nel reparto specializzato in disturbi dell’alimentazione trovava ragazze simili a lei: esseri perennemente affamati, giovani che sembravano morti ambulanti. Ammirava i loro grandi occhi febbrili, i corpi scheletrici. Le sembravano risplendere come lucciole, che brillavano alla massima intensità prima di spegnersi per sempre.
Ogni volta che la rimandavano a casa sua madre piangeva, suo padre le faceva una sfuriata. Gaëlle si scusava, prometteva che avrebbe mangiato, ma evitava il cibo che aveva nel piatto allo stesso modo in cui si gira attorno a un tombino della fogna.
A diciannove anni era entrata in coma. L’avevano rianimata e alimentata a forza di flebo. In ospedale era riuscita a trascinarsi dal letto all’armadio per prendere lo specchio che si era fatta portare di nascosto. Nel suo reparto, come in un castello di vampiri, ogni superficie riflettente era bandita. Aveva contato i lividi, accarezzato le ossa che sporgevano da sotto la pelle. E all’improvviso aveva riacquistato la ragione. O quasi. Aveva deciso di affrontare il problema da una prospettiva diametralmente opposta e non aveva più smesso di mangiare.
Aveva cominciato a battere tutti i supermercati, riempiendo il carrello di bistecche o approfittando delle promozioni sui cereali (dodici pacchi al prezzo di sei). Il frigorifero era diventato il suo migliore amico. Mangiava, si ingozzava, ingrassava, navigava in solitaria, con l’ago della bilancia come unica bussola.
Aveva ritrovato il suo vecchio corpo: spalle rotonde, natiche a forma di cuore, seno prosperoso. Un corpo da cospargere di talco o da mangiare. Le erano tornate le mestruazioni. Gli uomini avevano cominciato a ronzarle attorno. Un mix di lusinghiere attenzioni e ostile minaccia.
All’inizio non aveva capito. Gaëlle aveva trascorso l’adolescenza negli ospedali. Nella sua ossessiva guerra contro il peso non c’era stato spazio per il risveglio del desiderio, per la scoperta del sesso. Solo di recente aveva acquisito consapevolezza del suo corpo di donna e dell’effetto che faceva agli uomini. Il proprietario di un bar dove lavorava nei fine settimana l’aveva sbattuta su un tavolo in cucina, sollevandole la gonna mentre grugniva come un animale. Durante un ricevimento, un amico di suo padre, un prefetto o un deputato, l’aveva seguita in bagno e aveva tirato fuori l’uccello. E poi c’era stato quell’attore sposato con tre figli che l’aveva tempestata di SMS, uno solo dei quali sarebbe bastato per ricattarlo.
Aveva capito che non doveva avere paura. Anzi, quella era la sua forza. Li avrebbe fatti impazzire per poi dominare quella loro follia. Aveva cominciato a vestirsi di conseguenza, affinando le movenze e il modo di truccarsi. All’inizio era stata un po’ goffa, come un supereroe che avesse scoperto da poco i suoi poteri, ma con il passare del tempo aveva imparato a controllare il suo fascino e a sfruttarlo. Ora, quando entrava in un ristorante, riusciva a percepire il brivido che provocava, l’attrazione sessuale che suscitava.
Era al contempo preda e predatrice. Quel corpo che aveva così tanto odiato era diventato la sua arma.
«Ci facciamo una cicca?»
Si trovò di fronte un tipo rachitico, con una T-shirt sformata dall’aria non troppo pulita. Le stava mostrando un pacchetto di Marlboro come se fosse la proposta dell’anno.
Gaëlle lo inquadrò subito: metà gay e metà ruffiano.
«Non fumo.»
Quello, senza smettere di sorridere, le si sedette accanto. Aveva più o meno venticinque anni, ma nel volto mal rasato si percepiva già qualcosa di marcio. «Avremmo potuto parlare di lavoro.»
«Che lavoro, di preciso?»
«Sei proprio una tipa divertente...» Abbassò la voce. «Sto in produzione. Potrei darti delle dritte sul tipo di ragazza che stanno cercando.»
«Mi sembrava piuttosto chiaro», disse lei indicando le candidate.
Sogghignando, il tipo le tese una mano ossuta. «Kevin.»
A Gaëlle sembrò di stringere una zampa di gallina. Lanciò uno sguardo alle sedie che una dopo l’altra si stavano vuotando: ancora due e poi sarebbe toccato a lei. «Non dovevi uscire a fumare?» Sospirò.
«Preferisco provarci con te.»
«Okay, ci hai provato. Adesso puoi andare.»
Lui fece una risatina che crepitò come un peto. «No, davvero, ti posso aiutare, raccomandarti al produttore e...»
«Non me ne frega niente di questo casting.»
«Sei davvero eccezionale!» esclamò lui, scoppiando in una fragorosa risata. «Ho proprio quello che fa per te.»