15.

A Erwan, che si aspettava di trovare una base dell’esercito in piena regola, Kaerverec ricordò una scuola elementare: un cortile quadrato, edifici anonimi dal tetto piatto circondati da pensiline a sbalzo come in un villaggio del Far West.

Parcheggiarono e cercarono riparo sotto una tettoia alla loro destra. Le Guen andò subito ad avvertire il colonnello Vincq. Erwan si scrollò di dosso l’acqua. Aveva già capito che quell’umidità gli sarebbe penetrata nelle ossa.

«Oltre il cortile», spiegò Verny per ammazzare il tempo, «ci sono le sale riunioni e gli uffici dell’amministrazione. Davanti a noi le aule, le camere e le docce. Alle nostre spalle i refettori, la palestra e le sale ricreative.»

«Non è molto grande.»

«Kaerverec ospita soltanto una trentina di allievi, ai quali si aggiungono gli istruttori, gli educatori, i membri dello stato maggiore e un contingente di soldati incaricati di sorvegliare il materiale dell’esercito. In tutto meno di cento persone. È l’area circostante che è immensa: dal mare ci separa una striscia di un chilometro per tre. Con quello che costano i terreni sul litorale al metro quadro è un lusso incredibile.»

«È qui che sono stati lasciati gli EOPAN

Verny fece finta di non aver sentito. «Se vuole possiamo farle visitare gli hangar e le piste. La base possiede una decina di aerei e...»

Erwan smise di ascoltare. Le bandiere erano a mezz’asta, senz’altro in omaggio a Wissa. Ce n’erano quattro: quella francese, quella europea, quella bretone e una con insegne che non conosceva: un cigno, una spada, una nave... Doveva essere lo stendardo dell’accademia.

Tornò a provare la sua naturale avversione nei confronti delle uniformi. Non sopportava l’ambiente militare e tutti i segni esteriori che gli si accompagnavano. Le poche volte che aveva dovuto indossare l’uniforme – al termine dell’accademia di polizia e in occasione della consegna di qualche medaglia – era stato un calvario. Tanto più che quando era costretto a infilarsi l’unica che possedeva si ricordava di tutti i chili che aveva preso...

«Dove diavolo è andato Le Guen?» si spazientì Verny. «Vado a vedere.»

Il gendarme scomparve. Kripo si appoggiò a un pilastro e si rollò una sigaretta, in posizione da cowboy.

In quel momento due piloti attraversarono il cortile. Sopra l’uniforme indossavano delle specie di pantaloni gonfiabili.

«Sembrano omini Michelin», osservò Erwan.

«È per la forza di gravità», disse Kripo accendendosi la sigaretta.

«Cosa?»

«Sono tute anti-g. In un aereo a reazione la forza di gravità può raggiungere gli otto g nel giro di pochi secondi, il che significa una pressione superiore di otto volte il tuo peso. Il sangue scende di colpo nelle parti declivi del corpo, non riesce più a raggiungere il cervello e si perde conoscenza. È per questo che si vestono così: la tuta contiene un liquido che esercita una pressione sulle gambe per impedire che il sangue venga spinto alle estremità. Le chiamano babygro

«E tu come fai a saperlo?»

«Cultura personale.»

La pioggia continuava a battere sull’asfalto e sui tetti producendo un suono simile a quello di una mitraglia, interrotto soltanto a tratti dal rumore delle bandiere che si agitavano al vento e dai versi dei gabbiani. Finalmente Le Guen e Verny ricomparvero in compagnia di un uomo di corporatura media, intorno alla cinquantina, vestito con una tuta mimetica il cui disegno si intonava alla perfezione con le sfumature argentate dei suoi capelli corti.

Stretta di mano. Il suo volto ispirava un’immediata simpatia. Sotto il grigiore bretone, s’intravedeva il sole del Sud: pelle abbronzata, quasi dorata, occhi blu che ricordavano la Costa Azzurra.

«Mi dispiace», disse sorridendo dopo essersi presentato, «ma non posso riceverla nel mio ufficio. I lavori avrebbero dovuto essere terminati prima del rientro dalle vacanze, ma le cose non sono andate così.»

«Non si preoccupi.»

Erwan si domandò se quella non fosse una manovra per metterli in imbarazzo o per far loro capire che non erano i benvenuti. L’ufficiale si lanciò in una tirata in perfetto burocratese, deplorando quello «sfortunato incidente», quella «tragedia», senza mai smettere di insistere sull’assoluta necessità di concludere le indagini il prima possibile perché le lezioni potessero ricominciare. Parlava in modo smozzicato, quasi stenografico, tralasciando gli articoli e infarcendo le frasi con espressioni da caserma come «gradi sulle spalle», «spina», «CV ufficiali» e altri termini incomprensibili come gazier, boost o over-shooter.

Erwan capì subito il messaggio senza bisogno di ulteriori spiegazioni: fate quello che dovete e levatevi dai piedi. Vincq continuava a sorridere. Era un uomo attraente e conservava ancora tutto il fascino del pilota capace di fare innamorare le ragazze.

«Quanto tempo le servirà per accertare i fatti e chiudere l’inchiesta?» gli domandò.

«Dipende dai fatti.»

«Cosa significa?»

«Che è ancora troppo presto per risponderle. Potremmo sempre scoprire qualcosa di nuovo.»

Il sorriso scomparve.

«Non c’è niente da scoprire. Il soldato ha voluto sottrarsi alle prove previste dall’iniziazione delle matricole e si è nascosto...»

«Questa è soltanto un’ipotesi. Per ora l’unica cosa concreta che abbiamo è un cadavere rinvenuto in un bunker dopo l’esplosione di un missile. È un punto di partenza, non di arrivo.»

Il colonnello lanciò uno sguardo interrogativo a Le Guen e Verny, poi cominciò a camminare nervosamente a testa bassa, con le mani dietro la schiena. La pioggia tamburellava come un rullante al circo nel momento clou dello spettacolo. «Faccia come crede», concluse. «Ma si dovrà sbrigare. Non fanno che chiamarmi dal SIRPA per sapere quello che potranno o non potranno dire.»

Il SIRPA: servizio d’informazione e di pubbliche relazioni delle forze armate. Strano che Vincq avesse menzionato l’organo di comunicazione dell’esercito prima di ogni altra cosa.

«Per non parlare delle risorse umane della marina nazionale e dei servizi di comunicazione del ministero della Difesa!» aggiunse. «Al giorno d’oggi sono tutti ossessionati dai media!» Sollevò un dito. «Ma soprattutto faccia attenzione a non usare mai il termine “nonnismo” nel rapporto! Dovrà parlare di “tradizioni”, “weekend d’integrazione”, “pratiche formative”. Misuri le parole! Queste cazzo di associazioni contro il nonnismo ci salteranno alla gola quando lo verranno a sapere.»

«Capisco.»

«No che non capisce. Mi faccia trovare un rapporto pronto per domani mattina. Le chiedo soltanto questo. Un incidente è un incidente. Non vogliamo passarci tutto l’autunno!» Si congedò dal gruppo con un cenno della testa e fece per andarsene.

«Colonnello, solo una cosa. Oggi non c’è lezione, vero?»

«No. Perché?»

«Perché sono appena passati due piloti in tenuta di volo.»

«Semplici voli d’addestramento. Il nostro è un programma estremamente rigoroso. Non potevamo annullarli.» Sogghignò in modo sinistro. «Sono sicuro che non intralceranno le sue indagini volando a duemila metri d’altezza.»

Da lontano si udì il rombo dei motori. Il colonnello scomparve. Le Guen e Verny si rilassarono, nascondendo a stento la soddisfazione per il modo in cui Erwan era stato rimesso al suo posto.

«La camera di Wissa», disse lui per riprendere il controllo della situazione.

«Non vuole sistemare prima i suoi bagagli?»

«Non ne vale la pena.»

I quattro uomini attraversarono il cortile in direzione dei dormitori.

«La spazzatura è già stata raccolta?»

«Quale spazzatura?» chiese Le Guen.

«Quella di venerdì, sabato e domenica. I rifiuti dell’iniziazione.»

«Sono passati questa mattina. Perché diavolo le interessa?»

Erwan non rispose.

L’atrio non offriva particolari sorprese: un distributore di caffè, un pannello con qualche annuncio, alcune vecchie riviste sulle mensole di una libreria. Al primo piano, un corridoio completamente spoglio. Il poliziotto apprezzava quello stile spartano, anche se i muri sembravano fatti di cartone e il linoleum si sollevava a ogni passo. Dietro le porte, suoni di radio e televisioni: i piloti consegnati. Erwan e Kripo si scambiarono un’occhiata. Loro erano i profeti di sventura.

Verny si fermò davanti alla grande croce gialla di nastro segnaletico che sbarrava la soglia di una camera. «La procura l’ha autorizzata a rompere i sigilli?»

«Tranquillo.» Erwan posò la borsa e strappò via il nastro. Kripo gli passò un paio di guanti di lattice. Li infilò prima di prendere la chiave che gli stava tendendo Verny.

Un cubicolo di poco più di una decina di metri quadrati. Un lavandino in un angolo. Due letti separati da una finestra in asse con la porta. Come armadi, due scaffali di metallo simili a quelli che si usano negli spogliatoi delle palestre. Una scrivania accanto a ciascun letto. Una era ingombra di oggetti: computer portatile, sveglia, cellulare: gli effetti personali di Wissa.

«Non è stato toccato niente», confermò Verny. «Al suo compagno è stata data un’altra camera. Ha portato via tutte le sue cose.»

«In attesa che arrivino i tecnici, infilate tutto dentro le buste per la repertazione.» Erwan osservò il pavimento perfettamente lindo e i cestini vuoti. «Vedo che qualcuno ha fatto le pulizie.»

«Se ne occupano a turno gli allievi», spiegò Le Guen. «Ogni mattina due di loro puliscono le camere. L’hanno fatto anche sabato. Nessuno sapeva ancora che Wissa era scomparso.»

«Quindi non erano due ragazzi del primo anno?»

«Certo che no. Per quarantott’ore i Ratti... cioè, i nuovi arrivati, non possono rientrare alla base.»

Erwan ignorò quell’ultima osservazione. «Tu trova due testimoni e comincia la perquisizione», disse a Kripo. «Non devono essere né studenti né istruttori: segretari, personale amministrativo. Controlla tutto con la massima attenzione. Non credo che troveremo molto, ma faremo comunque passare al setaccio la camera dai tecnici.»

«Mi scusi, non so se ho capito bene», intervenne Verny. «Non è quello che si aspettavano...»

Il poliziotto si voltò verso di lui. «Tenente colonnello, ho l’impressione che lei non capisca la situazione e non so come farglielo capire in altro modo. Si riparte da zero.»