26.

Le nove di sera. Nella sede della Firefly Capital risuonavano ancora le voci dei trader (la differenza di fuso orario con Wall Street). Quando Loïc aveva scelto una lucciola come simbolo del suo fondo d’investimenti, gli era sembrata una buona idea: era da solo, microscopico, e voleva brillare nella notte della borsa. Ora, con una trentina di dipendenti e più di cinque miliardi di dollari da gestire, quella lucciola era diventata un enorme verme luminescente.

Si alzò e andò a chiudere la porta. Non sopportava l’eccitazione che regnava nelle sale di contrattazione. Urlavano, si sbracciavano, si agitavano, ma senza mai staccare il culo dalla sedia. Nell’immenso appartamento in stile secondo impero che ospitava il suo fondo in avenue Matignon, Loïc si era concesso il lusso di un ufficio semicircolare, che gli dava l’illusione di trovarsi nella cabina di pilotaggio di un piroscafo. Per quanto sapesse benissimo che si trattava di un cliché, alcune mattine quel pensiero riusciva a infondergli la carica necessaria per affrontare la giornata.

Nonostante fosse già passata un’ora, non riusciva a togliersi dalla mente la telefonata del padre. Una sfuriata, l’ennesima, anche se quella volta era stata piuttosto breve. Morvan non era un esperto di mercati finanziari e chiaramente aveva appena appreso una notizia della quale ignorava l’esatto significato: le azioni della Coltano erano in rialzo.

C’era stata un’epoca in cui Loïc e i suoi colleghi non perdevano d’occhio un minuto l’andamento di certi titoli (a New York, anche durante le partite di baseball, trasmettevano su un tabellone gli aggiornamenti del CAC 40 o del Dow Jones). Oggi passavano tutto il tempo incollati al cellulare per seguire i movimenti di questa o quell’azione. Lui però non si prestava più a questo genere di eccessi ed era ormai qualche giorno che non controllava la posizione della Coltano. In effetti il titolo della società aveva subito un rialzo del venti per cento, un incremento che dipendeva senz’altro da una serie di acquisizioni di pacchetti consistenti a prezzi elevati.

Non riusciva a inquadrare la situazione: si trattava di un aumento spropositato, anche se in teoria la Coltano non sarebbe dovuta interessare a nessuno. Le società minerarie non sono mai un buon affare: investimenti ingenti, andamento altalenante, paesi instabili, corruzione dilagante... Sapere quanto guadagnino di preciso queste compagnie sperdute in qualche boscaglia è impossibile, tanto più che loro stesse non brillano per trasparenza. Lo sapeva per esperienza personale: era stato lui a trasformare la Coltano in una società modello black box. Era riuscito a eludere i recenti controlli della SEC e dell’AMF, le commissioni nazionali americana e francese per le società e la borsa. L’anno precedente aveva addirittura fatto in modo che gli investimenti assorbissero tutti gli utili apparenti.

Una strategia a doppio binario: consentiva alla società di pagare meno tasse ma soprattutto di nascondere gli enormi guadagni futuri, dal momento che le ultime prospezioni sul terreno avevano rilevato alcuni giacimenti promettenti. L’informazione non avrebbe dovuto essere divulgata, a maggior ragione perché era sempre più difficile guadagnare ingenti quantità di denaro nei paesi poveri.

Ma la vera ragione di quella pianificazione era che suo padre – Loïc ne era certo – stava tramando qualcosa di losco. Il Vecchio era stato chiaro: nessuno avrebbe dovuto sospettare dell’esistenza di nuovi giacimenti né interessarsi alla Coltano. Non serviva essere Machiavelli per capire che progettava di sfruttare quelle risorse di nascosto, alle spalle delle autorità congolesi e dei soci. Un traffico con il Ruanda? O qualcosa d’altro?

Scartando l’assurda ipotesi di un’OPA, l’acquisto massiccio di azioni poteva indicare che qualcuno era venuto a conoscenza di quegli sviluppi e voleva la propria fetta di torta. Il rialzo avrebbe attirato l’attenzione dei generali, che si sarebbero domandati come mai il valore della Coltano fosse aumentato all’improvviso.

Anche se Loïc non aveva tutti gli elementi che gli sarebbero stati necessari per valutare la faccenda, era sicuro che la morte di Nseko, direttore storico del gruppo nonché sorridente dittatore, potesse in qualche modo c’entrare. Ma come? Il congolese era al corrente dei nuovi giacimenti? Aveva parlato? Chi era stato a ucciderlo?

Mentre disegnava dei teschi sul suo bloc-notes, ripercorse la storia della società. Quando nel 1971 suo padre aveva arrestato l’Uomo Chiodo, per ringraziarlo il maresciallo Mobutu gli aveva dato in concessione dei terreni ricchi di manganese. Morvan, che non sapeva niente di miniere ed estrazione, aveva creato una joint venture con alcune società belghe, francesi, lussemburghesi e congolesi per lo sfruttamento dei giacimenti.

Per vent’anni non c’erano stati problemi, e Morvan aveva tenuto d’occhio il suo gruzzoletto africano senza smettere di fare il poliziotto in Francia. Alla fine degli anni Novanta, tuttavia, suo padre aveva capito due cose: che presto Mobutu non ci sarebbe stato più per rinnovargli la concessione e che nel suolo congolese c’era un minerale assai più vantaggioso da estrarre, il coltan, utilizzato nella fabbricazione di componenti elettronici per cellulari e console di videogiochi, un settore all’epoca in pieno sviluppo. Prima che il vecchio Leopardo, malato e abbandonato dalle grandi potenze, fosse fatto sloggiare, Morvan gli aveva strappato un’altra firma, convalidata dai ministri delle Miniere, dell’Economia e della Pianificazione, tutti individui che ungeva da venticinque anni con l’appoggio della Francia e le cui teste ugualmente non avrebbero tardato a saltare. La concessione riguardava certi territori ricchi di coltan nella provincia del Katanga, lontano dalla regione del Kivu, dov’erano invece situati i vecchi giacimenti, una polveriera che dopo il genocidio nel vicino Ruanda si sarebbe trasformata in una palude insanguinata.

Nel 1998 Morvan aveva fondato la Coltano, una holding con sede a Parigi che raccoglieva fondi francesi, lussemburghesi e congolesi. I generali erano stati costretti ad accettare l’accordo: a occuparsi ufficialmente dell’estrazione sarebbe stata una SRL congolese, la raffinazione e la distribuzione sarebbero invece state affidate a società europee. Ciò nonostante, suo padre sapeva che la propria posizione nel gruppo non era particolarmente forte e così, per consolidarla, qualche anno dopo aveva proposto di quotare la Coltano in borsa. Grazie a quella decisione erano arrivati nuovi capitali e il suo ruolo nel consiglio di amministrazione ne era uscito rafforzato.

L’OPA, gestita da Loïc, era andata bene, ma Grégoire non era riuscito a sfruttare la situazione a proprio vantaggio: al momento possedeva soltanto il sedici per cento del gruppo; Heemecht, la società lussemburghese, ne deteneva il diciotto per cento e i congolesi circa il ventotto. La parte restante era stata spartita fra altre società minerarie belghe, lo stato francese e un’infinità di piccoli investitori in possesso dalla quota di azioni detta flottante.

La Coltano era l’unica società mineraria di coltan quotata in borsa, nonché la sola a fare uso di tecnologie di estrazione e macchinari moderni (nel Kivu i contadini locali erano ancora costretti a lavorare con il piccone in un clima allucinante di terrore e violenza). La cosa rendeva il gruppo interessante, senza tuttavia riuscire a bilanciarne i punti deboli. Loïc rilesse le analisi che lui stesso aveva prodotto sotto banco per scoraggiare ogni possibile acquisto: utili stagnanti, giacimenti prossimi all’esaurimento, tecnologie datate... Quanto bastava per far passare ogni voglia.

Sollevò la cornetta.

Mark Cesby era analista presso la Blackrock, la più grande società d’investimento al mondo: diecimila soldati che mettevano a frutto un capitale di tremilacinquecento miliardi di dollari. Loïc lo aveva conosciuto quando lavorava a Wall Street. L’inglese, uno specialista di fondi nel settore minerario, era un gigante con basette alla Joe Coker nonché il perfetto esempio dell’eccentricità britannica in fatto di abbigliamento: scacchi, scacchi, nient’altro che scacchi!

«Hai visto l’andamento della Coltano?» gli chiese Loïc senza tanti preamboli.

Lo stava chiamando sul suo numero privato: tutte le conversazioni sulle linee della Blackrock venivano registrate.

«Incomprensibile», rispose l’inglese.

«È tutto quello che mi sai dire?»

«Ragazzo, è la tua società. Dovresti essere tu a spiegarmelo.» Cesby, originario di Liverpool, non aveva perso l’accento da operaio.

«Sai bene che è più complicato di così», svicolò Loïc. «Chi sta comprando?»

L’analista scoppiò a ridere. «Ragazzo, non offenderti, ma non riesco a capire a chi potrebbe venire duro per quel tuo buco sperduto nella foresta... Senza contare che il capo dell’azienda si è appena fatto ammazzare. È il solito problema dei mercati emergenti: l’idea in sé non sarebbe male, ma finché ci saranno guerre, corruzione, instabilità politica...»

Loïc conosceva quella tiritera a memoria. «Non hai sentito niente su una possibile OPA

«E magari anche sulla terza guerra mondiale?»

«Il titolo è in crescita. Stanno comprando al rialzo.»

«Vuoi un consiglio?»

«Non farti scrupoli.»

«Se c’è qualcuno così idiota da voler investire nei tuoi sassi, approfittane. Vendi al prezzo di costo e buttati sulle rinnovabili. La Coltano è talmente addormentata che riuscirebbero a mettervelo nel culo senza che nemmeno ve ne accorgiate.»

«Grazie del consiglio.» Loïc rise.

Riagganciò, rassicurato sull’immagine pubblica della società: i suoi escamotage per indebolirla avevano funzionato. Ma il mistero non era stato risolto. Diede un’occhiata all’orologio – a Wall Street era ancora pomeriggio – e fece un altro numero.

Arnaud Condamine era un trader, quindi un compratore. Sopravvissuto alla crisi del 2008, godeva ancora della fiducia di numerosi fondi istituzionali. Era un tipo strano, dall’aspetto selvaggio e giovanile. Un nerd che dava l’impressione di vivere incatenato alla sua postazione fasciato in un completo scuro. Lavorava, mangiava e senza dubbio dormiva davanti al suo terminale Bloomberg.

Condamine fu meno negativo di Cesby. L’idea di una scalata non gli sembrava così assurda. «Dovevate aspettarvelo: il vostro azionariato è troppo frammentato. Vi manca un leader, non avete un programma definito... Inoltre, con la morte di Nseko, il gruppo si è indebolito.»

«Non sai chi sta comprando?»

«E come potrei?»

In teoria i nomi dei compratori e dei venditori avrebbero dovuto essere riservati, anche se in pratica, almeno nelle operazioni più consistenti, si trattava di un segreto di pulcinella. I mediatori, per smuovere il mercato, non esitavano a rivelare l’identità di questo o quel compratore «visionario».

«Chiama i tuoi broker. Guarda chi sta comprando e per ordine di chi.»

«Sono cose che non si fanno.»

«E io tiro di coca solo a Natale.»

«Cosa mi dai in cambio?»

Loïc disse in tono misterioso: «Non te ne pentirai».

«Ti richiamo.»

Loïc incrociò le mani dietro la testa e tornò a valutare le due ipotesi: un’OPA lanciata da un grosso gruppo concorrente che operava nel settore minerario, oppure qualche pesce piccolo che era al corrente dei giacimenti e stava facendo insider trading.

Invasione o tradimento: quale delle due?

Decise di farsi una sniffata per schiarirsi le idee.