Il computer di Sawiris non nascondeva né messaggi in codice né complotti a sfondo religioso né segreti militari. Nella cartella protetta il copto aveva semplicemente salvato le conversazioni chat e le e-mail con un interlocutore d’eccezione: Di Greco in persona.
Non era difficile ricostruire la cronologia degli scambi: quando all’inizio di luglio Wissa aveva saputo di essere stato ammesso ai primi test della scuola, aveva scritto una lettera all’ammiraglio, sicuramente per dimostrargli la sua stima e dichiarargli tutto il suo entusiasmo; Di Greco gli aveva risposto via e-mail, dando inizio a una corrispondenza regolare.
Dapprincipio piuttosto distaccato, il Grande Corpo Malato aveva ben presto cominciato a mostrare una certa simpatia nei riguardi dell’allievo, dispensando consigli e raccomandazioni. Un atteggiamento che mal si conciliava con l’idea che Erwan si era fatto dell’ufficiale, ma sicuramente l’età e la malattia dovevano averlo addolcito. A meno che non si trattasse di una trappola... Qualsiasi cosa fosse, ritrovava nello stile di quelle e-mail la solennità che l’aveva così impressionato nel corso della loro conversazione: per iscritto Di Greco aveva lo stesso tono grave e saccente.
Erwan passò ai messaggi di agosto. Le parole di incoraggiamento diventavano ordini, esortazioni. Nel giro di qualche settimana Di Greco sembrava essere riuscito a fare al ragazzo un lavaggio del cervello completo. Quelle «lettere aperte a un giovane pilota» erano ormai pezzi d’indottrinamento in vista di ciò che l’ufficiale chiamava «il battesimo». L’ammiraglio voleva sapere se Wissa avrebbe accettato di seguire un addestramento parallelo... Erwan non aveva tempo per leggere tutto ma capì che il maestro stava cercando di iniziare il discepolo al furor guerriero.
Quegli scambi avevano un non so che di affascinante. Prima di tutto per il rigore della scrittura: non un solo errore di ortografia o di sintassi, nessuna delle abbreviazioni usate negli SMS. Inoltre, Di Greco non nascondeva nulla: né nomi né luoghi. Menzionava più volte Bruno Gorce come suo «uomo di fiducia» e parlava spesso del no limit e del relitto del Narval.
Erwan ci aveva visto giusto: fin dal principio Wissa era stato pronto a sottoporsi a un rituale molto più pericoloso rispetto alle prove dell’iniziazione. Il ragazzo sembrava deciso a impegnarsi fino alla morte, come un kamikaze.
«Pazzesco, vero?»
Erwan si voltò: Branellec, in piedi dietro di lui, sorseggiava un caffè. L’aula in cui si era sistemato ricordava uno studio di registrazione. Alcuni computer lavoravano a pieno regime: macchine che sondavano, decrittavano, scandagliavano l’universo virtuale del web. Un groviglio di cavi a terra, stampanti che gemevano sui banchi, hard disc che borbottavano lungo le pareti, sotto carte dello stato maggiore e schemi di aerei. L’Uomo Stampella non si era accontentato di violare il PC di Wissa: stava analizzando tutti i computer della scuola e le connessioni internet attive.
«Semplice lavaggio del cervello», minimizzò Erwan. «Non credo che sia la chiave dell’omicidio...»
«Non capisco che altro possa servirle.» Il tecnico si avvicinò e da sopra le spalle del poliziotto digitò qualcosa sulla tastiera. «Nella sua ultima e-mail Di Greco dà inequivocabilmente appuntamento a Wissa sul Narval alle dieci di venerdì sera.»
Branellec aveva ragione. Per un momento Erwan pensò che il caso fosse chiuso. Aveva trovato il colpevole: un vecchio astioso, sadico e manipolatore. Il movente: la volontà di fare del male e il culto della sofferenza. Le circostanze: un no limit che aveva preso una brutta piega e si era trasformato in un’orgia di sangue. Le prove: il messaggio che confermava che Di Greco aveva attirato Wissa sul Narval. Probabilmente, considerato che l’unica obiezione a questa ricostruzione avrebbe riguardato la debolezza fisica dell’ufficiale, si poteva ipotizzare la presenza di alcuni complici, forse Bruno Gorce e i suoi fedeli soldati. Il suicidio dell’ufficiale era stato l’atto conclusivo che suggellava il tutto.
Ma Erwan tornò subito al principio di realtà: né l’asportazione degli organi né lo stupro né i dettagli rituali si conciliavano con una prova di resistenza sfuggita di mano.
Non escludeva che Di Greco fosse colpevole, ma in un modo ancora da definire. D’altro canto, scorrendo i messaggi dell’ufficiale, aveva individuato alcune allusioni a un altro segreto. Il militare menzionava uno «sconvolgimento recente» nella sua vita, una «svolta radicale» che lo aveva cambiato nel «profondo». A cosa si riferiva? Alla sua malattia e al fatto che si fosse aggravata? Prometteva al giovane allievo che gliene avrebbe parlato quando si fossero incontrati sulla spiaggia funesta.
Quelle parole rivelavano una complicità ambigua tra Di Greco e Wissa. L’ammiraglio era un vecchio omosessuale represso? “Vediamo: il Grande Corpo Malato dà appuntamento al copto sul Narval, in un modo o nell’altro riesce a metterlo fuori combattimento, lo lega, lo tortura con strumenti di metallo a punta, lo violenta con una mazza d’arme, gli asporta gli organi e lo trasporta fino al tobruk.”
Non quadra. Prima di tutto la tempistica: il vecchio aveva portato a compimento quell’incubo in una notte per poi rientrare in tutta tranquillità sulla portaerei prima dell’alba? Impossibile. Poi la questione della forza fisica: quella ricostruzione richiedeva un’energia che il veterano non possedeva più ormai da tempo. Infine il profilo: non si diventa un killer psicopatico a settant’anni. A meno che l’ammiraglio non avesse dei precedenti. Un passato guerriero nel quale avesse potuto soddisfare impunemente la sua sete di sangue...
Bisognava scavare ancora, chiedere la collaborazione dell’esercito. A quel punto le autorità non avrebbero più potuto rifiutargli il fascicolo completo dell’ammiraglio.
«Puoi verificare da dove sono state inviate le e-mail di Di Greco?» chiese a Branellec, tornando ad argomenti più concreti.
«Da un punto di vista tecnico è facile. Ma legalmente sarà più complicato. Il server utilizzato da Di Greco è quello della portaerei e...»
«Questa faccenda ha la massima priorità.» Erwan si alzò. «Mi metti tutto su una chiavetta?»
«Detto fatto.»
L’Uomo Stampella inserì fischiettando una chiave USB in un computer della sua postazione. La macchina cominciò a ronzare. Erwan trovava irritanti la sicurezza e la soddisfazione di Branellec. Prefiguravano la convinzione che si sarebbe presto diffusa alla base.
La sua ipotesi per il momento era un’altra: Di Greco aveva raggiunto il Narval dove Wissa, che aveva incontrato qualcuno nella brughiera, non era mai arrivato. L’ammiraglio non aveva saputo proteggere il proprio discepolo e, tormentato dal rimorso, si era suicidato.
Ma cosa voleva dire «Lontano»?
Branellec estrasse la chiave e gliela passò. «Help yourself!»
Erwan guardò l’orologio appeso sopra la porta: le otto e mezzo. Avrebbe dovuto informare Verny e gli altri di quanto aveva appena scoperto in vista della conferenza stampa? Troppo presto. Voleva rileggere le e-mail a mente lucida, assimilarle prima di scrivere un rapporto.
Stava per uscire quando bussarono alla porta. Aprì senza chiedere chi fosse. Sulla soglia trovò Michel Clemente, il medico legale. Indossava un soprabito fradicio e un cappello scozzese da Sherlock Holmes. Pura comicità involontaria.
«Cosa c’è?»
Il medico storse il naso di fronte al viso segnato di Erwan. «Ha un momento?» domandò. «Le devo parlare.»
Il poliziotto lanciò un’occhiata a Branellec, che non aveva nemmeno sollevato il naso dai suoi computer. «Mi segua.»