49.

«Che cazzo stai facendo, porca puttana?»

La voce del Centauro su tutte le furie. Quella che sentiva da dietro i muri della cucina quando picchiava Maggie. Erwan si era finalmente deciso a telefonare al padre.

«Proseguo con le mie indagini.»

«Ma dove cazzo hai la testa? Non ti sei accorto di tutto il bordello che stanno facendo in Bretagna?»

«La faccenda si è complicata e...»

«Non ho ancora ricevuto nessun rapporto.»

«Abbiamo un altro morto sul groppone.»

«Chi?»

«L’ammiraglio Di Greco.»

Silenzio. Erwan ebbe l’impressione di aver colpito suo padre in pieno stomaco. All’improvviso capì quello che avrebbe dovuto intuire già da molto tempo: i due si conoscevano.

«Cos’è successo?»

«Suicidio.»

«Impossibile.»

Erwan sorrise: allora poteva ancora fidarsi del suo istinto, anche se ultimamente faticava un po’ a mettersi in moto... «Lo conoscevi?»

Nessuna risposta.

«È stato lui a chiamarti?»

Finalmente il Vecchio ammise: «Comandava la flotta che proteggeva i pozzi petroliferi di Port-Gentil quando io ero in Gabon. Mi ha telefonato lo scorso fine settimana, quando hanno ritrovato il cadavere sull’isola».

“I predatori si aiutano sempre a vicenda.” Quando lo aveva incontrato sulla CDG, Di Greco non gli aveva detto nulla al riguardo. Il gusto del segreto. O peggio ancora... «Eravate rimasti in contatto?»

«Non proprio... Ci vedevamo ogni tanto.»

«In quali occasioni?»

«Consegne di medaglie, cerimonie ufficiali, stronzate del genere.»

«Quali funzioni ha ricoperto in marina in questi anni?»

«Non ne ho idea.»

«Non ti ha mai dato ragguagli in proposito?»

«Ti ho detto che non lo so. Da quando sono tornato dall’Africa non ho più lavorato con lui, se è questo che vuoi sapere. Ma conoscevo i suoi valori: non avrebbe mai potuto suicidarsi.»

«Si è sparato in testa questa notte sulla Charles-de-Gaulle

«Assurdo.»

«Sono stato io a trovate il cadavere nella sua cabina. Gli analisti criminali ci stanno lavorando proprio adesso. Confermeranno il suicidio.» Erwan sentiva il respiro pesante e lento del padre. Il soffio di un bufalo sulle terre fumanti dell’Africa.

«Credi che sia collegato con l’omicidio?» chiese infine Morvan.

«Forse.»

«Un poliziotto dovrebbe avere soltanto due risposte: o sì o no.»

«Di Greco aveva un’influenza fortissima sugli allievi ufficiali della K76. Li spingeva a ferirsi, a sottoporsi a delle prove, a fortificarsi per diventare dei supersoldati. Forse ne ha mandato fuori di testa uno, che poi si è sfogato su Wissa.» Erwan non credeva più a questa ipotesi ma voleva sondare le reazioni del padre. «Ah, c’è anche un’altra cosa: Di Greco e Wissa avevano una corrispondenza piuttosto... curiosa.»

«Sono solo indizi... Che prove hai?»

Erwan eluse la domanda. «Il suicidio dell’ammiraglio sarà comunicato oggi alla stampa. Il suo gesto è già stato interpretato come un’ammissione di colpevolezza.»

«Sei matto? Non tirarlo in mezzo in questa faccenda!»

«Perché?»

«Non c’entra nulla con tutta questa merda. È stato lui a chiamarmi. Voleva chiudere l’inchiesta al più presto e aveva bisogno di un poliziotto in gamba per dirigerla. Screditerete il suo nome mentre il vero assassino è ancora in circolazione.»

«La parola “Lontano” ti dice qualcosa?»

Questa volta il silenzio che seguì alla domanda fu abissale. Non gli capitava tanto spesso di lasciare senza parole il vecchio 007.

«Lo sai o no cosa vuol dire?»

«Non per telefono.»

«Dammi almeno una pista.»

«No. Te ne parlerò di persona.»

Che tranquillità, che potenza nel suo tono di voce: Erwan non sarebbe mai riuscito a mostrarsi così autorevole. Ecco la differenza tra i veri boss e i galoppini come lui.

«Torniamo alla cosa più importante», continuò il padre. «Hai un’idea di chi possa essere l’assassino?»

«No.»

«Allora torna a Parigi. Subito. Lascia che se la vedano da soli con questa rogna e vattene.»

«Non posso. Io ho cominciato l’inchiesta e...»

«Zitto. Ci sono cose più importanti di cui ti devi occupare qui.»

«Quali?»

Suo padre parve prendere fiato e poi sputò: «Tua sorella è scomparsa».

«Pensavo che la facessi seguire.»

«Appunto. I miei uomini se la sono lasciata scappare.»

«Quando?»

«Ieri pomeriggio. Li ha seminati. Sono preoccupato.»

«Hai controllato il suo cellulare?»

«Voglio che lo faccia tu.»

«Non se ne parla neanche. Prima devo finire qui.»

Stava per menzionare l’inquietante scoperta dell’alba – i capelli rossi e le unghie nere che senz’altro annunciavano una nuova vittima – ma per un’oscura ragione tacque.

Morvan rifletté qualche istante. «La conferenza stampa darà fuoco alle polveri», disse in un tono se possibile ancora più pacato. «Militari e gendarmi faranno partire le grandi manovre. Tutto il Finistère sarà messo sotto stretta sorveglianza. Torna a Parigi e occupati di Gaëlle. Poi deciderai cosa fare.»

«E i termini di flagranza?»

«Sai anche tu che, quando la storia sarà di dominio pubblico, la procura nominerà un giudice.»

Suo padre aveva ragione. Dopo la conferenza stampa non avrebbe più potuto condurre le sue indagini in pace, solo con l’aiuto dei tre moschettieri. Politici, media e opinione pubblica avrebbero cominciato a fargli ogni genere di pressione. L’inchiesta sarebbe diventata un affare di stato.

«Facciamo un patto», proseguì Morvan. «Torna a Parigi e trova tua sorella. Poi, se non saranno riusciti a identificare l’assassino o ci sarà un altro cadavere, potrai tornare lì. Credimi, staccare per un paio di giorni ti farà soltanto del bene.»

Erwan andò alla finestra e si accorse che il tempo era ulteriormente peggiorato. Alcune sentinelle stavano ammainando le bandiere, chiudendo le finestre e sbarrando le porte. Allerta meteo confermata.

D’un tratto fu colto da una stanchezza estenuante. Quella base militare, quei soldati, quel paesaggio... Aveva nostalgia dei ponti parigini, dell’odore di asfalto, dei fumi dei tubi di scappamento, dei soliti crimini, della violenza urbana. «E Loïc?» gli chiese, come se cercasse una ragione in più per tornare.

«L’ho appena fatto rilasciare.»

«Come?»

«Tu non ti preoccupare.»

«Ci saranno strascichi?»

«No, ma ormai il danno è fatto. Quel coglione ha firmato i documenti per il divorzio. Sofia è riuscita a convincerlo mentre era dentro.»

I suoi occhi dal taglio mongolo, i pomelli rossi sulle guance, i capelli da squaw, l’invito a cena... «E non è una buona notizia?»

«Il problema nella nostra famiglia è che nessuno capisce mai niente.»

«Allora prenditi il tempo di spiegarci le cose.»

«Torna a casa. Ne parleremo a quattr’occhi. Cos’è, vuoi chiedere la residenza in Bretagna?»

Erwan considerò per un’ultima volta i pro e i contro. A Parigi avrebbe potuto interrogare il Vecchio su Lontano e forse sarebbe riuscito a capire quale fosse stato il ruolo dell’ammiraglio Di Greco. «Arrivo questo pomeriggio», disse. «Ci vediamo nel tuo ufficio, poi riparto.»

«Prima devi trovare tua sorella.»

«Entro sera penserò anche a quello. Tu nel frattempo fatti dare le autorizzazioni per avere i tabulati delle chiamate partite dal suo cellulare e tutto il resto.»

«Ti aspetto in place Beauvau dopo le tre. Lascia che se la sbrighino da soli.»

Suo padre riappese. Erwan non si mosse. Con la vista appannata dalla pioggia che inondava i vetri, restò con l’orecchio incollato al telefono ad ascoltare il segnale di linea.

Il Vecchio.

Gaëlle.

Loïc.

D’un tratto gli venne voglia di chiamare la madre per completare la foto di famiglia. Sul telefono di casa. Maggie lasciava sempre il cellulare in borsa o in qualche cassetto. Da brava vecchia figlia dei fiori diffidava degli apparecchi elettronici e delle loro onde cancerogene.

Il telefono squillava. Nessuna risposta. Una volta si sarebbe preoccupato: suo padre l’aveva riempita di botte? Ferita? O forse era riuscito ad ammazzarla? Partì la segreteria. Erwan lasciò un messaggio e capì che una volta era adesso.

Non aveva mai smesso di avere paura.