Erwan si precipitò in place Beauvau, dove suo padre gli aveva lasciato il fascicolo sulle ricerche di Gaëlle. Era tutto a computer, ma anche annotato su carta, che rappresentava ancora il supporto preferito alla DCRI. Se cancellare una memoria informatica era praticamente impossibile, un pezzo di carta poteva sempre essere bruciato o inghiottito.
Diede una rapida occhiata ai rapporti. Gli uomini di suo padre avevano fatto un pessimo lavoro. Dopo aver studiato i registri delle chiamate – da quando era sparita, Gaëlle non aveva più usato né il cellulare né il bancomat – si erano concentrati sul suo ambiente: amici, conoscenti, colleghi... Inutilmente. Avevano anche perquisito il suo appartamento, concludendo che la fuggitiva aveva portato con sé telefono e agenda, oltre naturalmente a un po’ di contante.
Per conoscere i suoi programmi e i provini ai quali avrebbe dovuto partecipare sarebbe invece stato molto più semplice telefonare alla sua agente, Barbara Soaz, proprietaria della Cinénova, in rue Saint-Ambroise, nel XXI arrondissement. Ma nessuno l’aveva contattata.
Le sette di sera. Forse sarebbe riuscito ancora a trovare qualcuno in agenzia, ma era meglio andarci di persona. Si ributtò nel traffico a sirene spiegate. Durante il percorso ripensò a come avrebbe dovuto proseguire la propria inchiesta una volta ritrovata la sorella. L’Uomo Chiodo, l’Africa, suo padre: non aveva alcuna intenzione di scartare quelle piste.
Prima di tutto bisognava accertarsi che Thierry Pharabot fosse veramente morto. Poi ne avrebbe studiato a fondo la storia, naturalmente chiedendo informazioni al Vecchio ma anche consultando i verbali del processo, che si sarebbe dovuto procurare. Quando i fantasmi del passato infestano il presente, diventano essi stessi corpo del reato.
Non riusciva a smettere di pensare alle parole del padre. Confessioni alla Morvan: indecifrabili. Una volta un pezzo grosso della polizia gli aveva confidato: «Tuo padre è talmente abituato a mentire che non si può credere nemmeno al contrario di quello che dice». Erwan era d’accordo. Lo 007 era diventato un maestro nell’arte di confondere verità e menzogna.
Raggiunse rue Saint-Ambroise in meno di venticinque minuti. Gli uffici della Cinénova si trovavano di fronte alla chiesa che dava il nome alla via, vicino al Bataclan. Parcheggiò su un passaggio pedonale, abbassò l’aletta parasole con la scritta POLIZIA e si guardò nello specchietto retrovisore. Il labbro ormai si era sgonfiato e gli ematomi cominciavano a scomparire. Si tolse i cerotti: poteva bastare.
Passe-partout. Citofono. Terzo piano. SUONARE PRIMA DI ENTRARE. Nonostante l’ora, la piccola agenzia cinematografica brulicava come un formicaio. Un’aspirante attrice fotocopiava un copione; un’altra, in lacrime, spiegava a un assistente distratto che una puttanella che andava a letto con chiunque le aveva rubato la parte; un’altra ancora era immobile, con lo sguardo fisso nel vuoto, e pronunciava parole in silenzio, muovendo soltanto le labbra. Stava di sicuro ripassando la parte. Pareva di essere nella sala d’attesa di uno psichiatra.
Si materializzò un assistente, palestrato ed effeminato allo stesso tempo: il risultato non era dei migliori. Erwan si presentò. L’ufficio della padrona di casa era quello, lui l’avrebbe avvisata e... Il poliziotto si diresse verso la porta e l’aprì con violenza.
Barbara Soaz più che un’agente sembrava la sua caricatura. Intorno alla sessantina, seduta sulla sedia come una regina cuscita sul suo trono, era avvolta in uno scialle nero. Messa in piega impeccabile, seno generoso, enormi occhiali di tartaruga che ricordavano le maschere dei primi aviatori.
L’apparizione di Erwan non sembrò spaventarla. Ne aveva viste di peggio. Saltando i convenevoli, lui cominciò subito a interrogarla su Gaëlle. La storia del fratello preoccupato non parve convincerla; il distintivo della polizia si rivelò molto più efficace.
La donna si lanciò subito in un monologo sulla «crisi del settore»: «Troppi attori, troppi pochi ruoli!».
«Sì, d’accordo. Gaëlle aveva in programma qualche provino per oggi?»
«Non lo so», rispose Barbara Soaz, in un tono che lasciava intendere che lei non si occupava dei pesci piccoli.
«Lunedì scorso è andata a un casting per Chi perde vince», disse una voce che sembrò sbucare dal nulla.
L’ufficio della regina e quello del culturista comunicavano attraverso una finestrella nella parete.
«Cos’è?» chiese Erwan voltando la testa.
«Un progetto per un quiz televisivo.» Mister Muscolo gli passò attraverso l’apertura un modulo con l’intestazione di una casa di produzione, la Anagram. «Non è stata presa», aggiunse.
«E questa casa di produzione è a posto?»
L’assistente guardò la regina madre senza rispondere.
«In che senso?» chiese Barbara Soaz.
«Queste società scritturano delle mezze puttane per fare le comparse. Voglio sapere se organizzano anche l’altra parte del lavoro.»
«Ha una visione alquanto pittoresca del nostro mestiere», protestò la donna sorridendo. «È finita l’epoca delle cortigiane.»
Erwan si avvicinò alla scrivania con l’aria minacciosa. «Chi è il proprietario della società?»
«Ce n’è più di uno. È una casa di produzione enorme: il trenta per cento delle trasmissioni in onda sui canali nazionali è suo. Ha centinaia di dipendenti.»
Erwan si rivolse di nuovo all’assistente. In questo caso era meglio trattare con i santi invece che direttamente con Dio. «Chi organizzava il casting?»
«Un tizio di nome Kevin, ma tutti lo chiamano Kéké. Lo conosco di vista. Lavora anche lui come free lance. Un ruffiano da quattro soldi.»
A quella parola Erwan sentì scattare qualcosa dentro di sé. «Dov’era il casting?»
«Nei loro studi: hanno dei loft vicino a Nation.»
Trovò l’indirizzo sul modulo: avenue de Taillebourg, nel XXI arrondissement. Alzò lo sguardo verso Barbara Soaz, che aveva già cominciato a leggere un’altra scenografia: per lei l’affare era chiuso.
Le strappò di mano i fogli e le rivolse un’ultima domanda. «Gaëlle ha qualche possibilità di diventare un’attrice professionista?»
«Le stesse che ha un sacrestano di essere fatto papa.»
Mentre si infilava in tasca il modulo con l’indirizzo, provò un’immensa tristezza per la sua sorellina.