Di nuovo in macchina. Cinque minuti dopo Erwan era in place de la Nation e ci mise ancora meno a percorrere avenue de Taillebourg. Per la prima volta si sentì sopraffatto dalla preoccupazione. Non riusciva a togliersi da davanti agli occhi l’immagine di Gaëlle seduta insieme alle altre in attesa del casting come in una specie di fiera del bestiame per produttori depravati.
Nella sua mente i ricordi si rincorrevano come quando, in televisione, il segnale è disturbato e a un canale se ne sovrappone temporaneamente un altro. Rivide Gaëlle bambina che andava a giocare con le bambole in camera sua mentre lui studiava per l’esame di diritto: lo distraeva ma lo faceva anche morire dal ridere con le sue faccette e i suoi «trucchi» (usava la crema Nivea della madre). Poi la ricordò più grande e più magra, curva sui compiti (voleva essere «più brava dei maschi»), e in seguito all’ospedale, esanime, che respirava a fatica: uno scheletro di trenta chili con le costole che sembravano doverle lacerare la pelle a ogni respiro. Ma soprattutto gli tornarono in mente le volte in cui aveva cercato rifugio tra le sue braccia sotto il tavolo della cucina, quando il Vecchio picchiava la mamma, ancora e ancora...
Il numero civico indicato sul modulo comprendeva una serie di studi ristrutturati da poco all’interno di una corte lastricata. Erwan entrò e scoprì alcuni loft con enormi finestre coperte da tende. Gli ingressi, dai quali uscivano fasci di cavi spessi quanto boa, erano sorvegliati da guardiani e ragazzi armati di ricetrasmittenti, nastro adesivo e cacciavite: soldati semplici di un esercito posticcio.
Chiese di Kéké e ottenne in cambio risposte, gesti, indicazioni: stava fumando. Proseguì per la sua strada e raggiunse una seconda corte, sulla quale si affacciavano altri loft. Lo spazio questa volta era occupato da uno spilungone con l’auricolare e tipi con le cuffie. Tutti sembravano connessi con un altro mondo: quello dei milioni di telespettatori a cui rifilavano immagini e parole di una stupidità e una volgarità sconcertanti. Altre domande.
Kevin se ne stava davanti a uno studio, in pausa sigaretta. Di una magrezza scheletrica, infilato in una T-shirt lurida, rideva come un cretino in mezzo a due bionde appariscenti, vistose quanto due tranci di merluzzo nella carta stagnola.
Erwan si avvicinò, con l’aria minacciosa e il distintivo in bella vista. Le due bambole si eclissarono.
«Gaëlle Morvan. Ti dice qualcosa?»
«No.»
Una sberla.
«Pensaci meglio: ha partecipato ai provini per Chi perde vince.»
«Ne vedo talmente tante», disse il giovane fregandosi la guancia.
Un’altra sberla.
«Una ragazza molto carina, molto bionda...»
A Kevin sfuggì un sorriso: il suo mondo era fatto di ragazze «molto carine, molto bionde». Erwan lo afferrò e lo sbatté contro il muro. Con l’altra mano prese il cellulare e trovò una foto di Gaëlle senza trucco, con una maglietta a righe, a Bréhat. Dimostrava al massimo sedici anni.
«È mia sorella, stronzo!» urlò mostrandogliela. «Le hai parlato sì o no?»
L’altro si liberò dalla presa e gonfiando il petto esile disse: «Cosa vuoi fare? Il fratello maggiore che gioca al poliziotto cattivo? Da dove salti fuori? Da Blue Bloods? Sei...».
Non riuscì a terminare la frase. Erwan gli sferrò un pugno nello stomaco che lo mise in ginocchio. Poi lo prese per il collo e lo sbatté con la nuca contro il muro. «Hai intenzione di parlare, testa di cazzo? Perché ti giuro che se non lo fai ti sistemo io. Prima ti spacco la faccia, poi ti porto in questura, dove passerai una notte che non dimenticherai tanto facilmente.»
Kevin cominciò a tremare. Alcune giovani attrici che passavano di lì corsero via spaventate.
«Sì, sì... Mi ricordo...»
Per incoraggiarlo Erwan gli fece picchiare di nuovo la testa contro i mattoni. Un tesserino con la scritta CASTING cadde per terra.
«Cosa ti ricordi?»
«Ehm... Abbiamo fumato una paglia. Abbiamo parlato.»
«Di che?»
«Voleva dei contatti.... Cercava...»
«Glieli hai dati?»
«Uno solo.»
Senza rendersene conto Erwan aveva cominciato a stringere le mani intorno al collo dello sgorbio, che aveva già gli occhi velati di lacrime. Lo lasciò andare e fece un passo indietro, sputando per terra con rabbia.
«Payol...» disse Kevin ansimando. «Michel Payol.»
«Chi è?»
«Un addetto stampa. Uno che conosce un sacco di gente.»
Calcio nello stomaco.
«UN MAGNACCIA?»
Kevin si piegò su sé stesso e vomitò. Erwan aspettò che riprendesse fiato. Era abituato a quella violenza. Non troppo diversa da quella di Di Greco e dei suoi soldati.
«Non usiamo mai quella parola ma...»
«Gestisce delle escort?»
«Fa da intermediario tra le ragazze e la gente con la grana... In genere stranieri. Diplomatici, uomini d’affari...»
«L’indirizzo.»
«Non posso farlo... Mi scopriranno...»
Erwan lo rimise in piedi tirandolo per i capelli. «Meglio che finire sottoterra...»
«Per... perché dice così?»
Il poliziotto tirò fuori la pistola e gliela puntò in faccia. «Perché se ti ammazzo poi sarò io a fare le indagini, pezzo di stronzo. Sono della Omicidi, capisci? Gaëlle non è stata la scelta migliore... Dammi l’indirizzo di questo tizio e mi tolgo dai piedi.»
«Avenue d’Eylau 18.»
«Cosa ti viene in tasca per avergli mandato Gaëlle?»
«Se lei... Insomma, se succede qualcosa...»
Lo afferrò per i capelli, lo girò e lo sbatté con violenza contro il muro, spaccandogli di netto il naso. «È già successo.»
Mentre si dirigeva alla macchina, incrociò due vigili che correvano trafelati nella sua direzione. Sventolò il distintivo tricolore e un attimo dopo li aveva già dimenticati.