65.

Alle due del mattino Loïc non era ancora riuscito a scoprire nulla.

Aveva parlato con alcuni operatori di borsa presenti sulla sua lista. Due li aveva trovati nei rispettivi uffici, due in un bar, un altro in un ristorante nell’VIII arrondissement. Da tutti, senza eccezione, era stato mandato a quel paese.

Non aveva argomenti per farli cantare. In una situazione del genere il padre avrebbe tirato fuori un fascicolo e il fratello avrebbe estratto la pistola. Lui poteva soltanto offrire loro da bere. Broker e trader sono tenuti a rispettare il segreto professionale, che violano ogni giorno solo a patto di un ritorno personale. Purtroppo Loïc non aveva informazioni da vendere. Inoltre, tutti sapevano che era lì per conto di suo padre, il che faceva di lui una persona con cui nessuno avrebbe dovuto parlare.

Morvan continuava a provare a chiamarlo, e ogni volta per Loïc era come sentire suonare il gong di un incontro di boxe in cui le prendeva di santa ragione.

La cosa peggiore di tutte era l’alcol. A mano a mano che la notte avanzava, a ogni nuovo incontro sprofondava sempre di più in un inferno fatto di bicchieri e cubetti di ghiaccio tintinnanti, di odori di cocktail. Per quanto tu ti possa illudere di aver dimenticato l’alcol, l’alcol non si dimentica mai di te. Avvertiva dentro di sé una specie di prurito che gli tormentava i nervi.

Dopo un’ora nei bar aveva cominciato a battere le discoteche. Prima il VIP, poi il Montana e ora il Parnassium, vicino a rue de Rennes. Una pista non più grande di un fazzoletto, che faceva pensare a uno di quegli assurdi record del tipo: quante persone possono entrare in una cabina telefonica? Una scatola nera attraversata soltanto dai violenti fasci di luce di qualche sporadico faretto. I soldatini della finanza sono soliti affollare questi ritrovi di artisti alla moda, presentatori televisivi e intellettuali nottambuli. Quello che non possiedono per natura – talento, fascino, fama – lo comprano con il denaro, per avere almeno l’illusione di appartenere al bel mondo.

Loïc ordinò una Coca-Cola Zero e si buttò nella mischia. Gli bastò fare qualche passo per avvistare una sua vecchia conoscenza: Hervé Serano. All’epoca di Wall Street lo chiamavano tutti Jamón-Jamón. L’ambiente della borsa non brillava certo per finezza... D’altro canto, Serano, oltre che per le prodezze finanziarie, era noto per le sue imprese falliche: elicottero, autofellatio e acrobazie consimili... Di nuovo, che classe!

Loïc gli andò incontro. Si rimproverò di non aver pensato prima a lui: il trader era l’uomo che faceva al caso suo. Convenevoli. Basso e tarchiato, Serano se ne stava stravaccato su un divanetto fra due bambole già piuttosto brille (sulle prime Loïc aveva creduto di riconoscere in una delle due sua sorella). Il tipo era ubriaco fradicio. Non doveva lasciarsi scappare quell’occasione.

Una delle ragazze gli cedette il posto. Loïc aveva ancora in mano la sua bibita, che avrebbe potuto passare per un whisky e cola (anche se in realtà non poteva nemmeno più permettersi di condire l’insalata con l’aceto). Cominciò a parlare di affari, affettando un tono informale, a metà fra l’alticcio e il complice. Serano sproloquiò dei milioni che aveva guadagnato quella settimana.

«E sui minerali, cosa mi sai dire?»

«Lo sapevo dove volevi arrivare.» Il trader rise. «Non ti dirò nulla.»

«È normale che controlli il mio territorio, no? Hai comprato azioni della Coltano?»

Senza rispondere, Serano tracannò un sorso di vodka. Loïc riuscì a sentirne il profumo. Fu come se qualcuno gli avesse afferrato e ritorto violentemente le viscere.

«Ne hai comprate o no?»

«Non c’è bisogno che te lo dica.»

“Continua a dipanare la matassa”, si disse. «Il problema è che non sei l’unico, e la cosa comincia a preoccuparmi.»

«Hai l’occasione per salvarti il culo!» esclamò Serano agitando la bottiglia.

Altro sorso. La musica assordava. Le casse erano come falle nelle pareti di un sottomarino da cui si riversavano scrosci sonori, avarie che li avrebbero inghiottiti.

«E comunque non è che ci sia molto da capire», aggiunse il trader assumendo d’un tratto un’aria sognante, «se si pensa ai vostri risultati...» Scoppiò a ridere. «Senza offesa!»

La bionda seduta accanto a Serano gli massaggiava l’inguine con discrezione. Loïc trovava ripugnante tutta quella farsa: il potere che i quattrini conferivano a un bruto come Jamón-Jamón, il quale li aveva guadagnati parlando semplicemente al telefono; la meschinità della puttanella, pronta a tutto per poche centinaia di euro; l’odore dell’alcol che gli dava alla testa...

Cominciò ad avvertire delle vampate di calore, preludio di un attacco di panico. «Chi sono i tuoi clienti?»

Serano gli si avvicinò all’orecchio e, coprendosi la bocca con la mano, disse: «Non sono abbastanza sbronzo per farti i nomi».

«Si tratta di fondi? Società minerarie? Speculatori?»

«Posso dirti un’unica cosa, che è anche la più strana: vogliono soltanto azioni della Coltano. Nient’altro.»

Al ritmo della musica techno che sballottava la folla come se fosse nel cestello di una lavatrice, Loïc capì quello che era successo: qualcuno aveva divulgato la notizia dei nuovi giacimenti. I geologi? I complici di suo padre che lavoravano sul posto? Ma come poteva gente come loro conoscere banchieri e investitori?

Provò a sondare in un’altra direzione. «Temiamo un’OPA

«Capirai!» Il trader scoppiò a ridere. «Vogliono soltanto la loro fetta di torta!»

«Quale torta?»

Non riuscì a sentire la risposta. Il malessere che provava diventava sempre più intenso: sudore sulle tempie, nausea, pulsazioni in sincrono con i centoventi beat al minuto della pista...

Posò il bicchiere e si alzò. «Mi puoi assicurare che non si tratta di una manovra concertata?»

«Non che io sappia.» Serano tracannò un’altra sorsata. «Al tuo impero!»

Loïc trattenne istintivamente il respiro per non inalare i miasmi di quel veleno. Erano quasi dieci anni che non toccava una goccia d’alcol, ma il suo vizio non era invecchiato di un giorno. Restando in apnea, abbassò lo sguardo e vide che l’altro ridacchiava guardandosi tra le gambe mentre la sua compagna si ritraeva disgustata. Lei gli aveva tirato fuori l’arnese e il trader ne aveva approfittato per liberarsi: quel coglione stava pisciando sul tavolo!

«Oh, oh, oh, oh!»

Loïc se ne andò alla svelta, osservando i ballerini sguazzare inconsapevoli nella pozzanghera di urina che si allargava sulla pista. Avanzò facendosi largo tra volti deformati dalle luci, risate che fischiavano come feedback acustici, bocche spalancate simili a ferite sanguinanti, e guadagnò l’uscita.

“I geologi...” Quando si fu chiuso dentro la sua Aston Martin, tremante, congelato e bollente allo stesso tempo, si disse che uno di quei bastardi aveva sicuramente parlato. La pista africana non aveva senso. Se, come sospettava, suo padre aveva già cominciato lo sfruttamento delle nuove miniere, lo aveva fatto con l’aiuto di qualche nero sperduto in mezzo alla foresta. Aprì la casella di posta per controllare se gli esperti avessero risposto alle sue e-mail: niente.

Nel frattempo contò: suo padre l’aveva cercato otto volte.

C’era un’unica soluzione. Infilò la mano nel vano del cruscotto. Bustina di carta pergamena e polvere bianca. Si preparò tre strisce sulla plancia, che sniffò una dopo l’altra senza riprendere fiato. Fu colto da uno spasmo e sbatté con la nuca contro il poggiatesta.

La terza volta era quella buona.