Le sei del mattino. Lavato, rasato e vestito, Erwan si sentiva pronto ad affrontare il briefing prima della partenza per Brest. Ma innanzitutto doveva interrogare il padre sull’Uomo Chiodo.
Senza volerlo, Kripo gli aveva schiarito le idee: occorreva indagare sugli antefatti del caso. Cos’era successo esattamente a Lontano, nel Katanga, tra il 1969 e il 1971? E nei quarant’anni successivi? Avevano soltanto chiuso la belva in gabbia e buttato la chiave?
Nell’infanzia di Erwan l’Uomo Chiodo aveva preso il posto delle classiche streghe e degli altri babau. Ogni notte non erano orchi e vampiri che andavano a cercarlo; era un giovane ingegnere belga con una scatola degli attrezzi e un sacco pieno di chiodi... Per non parlare delle terrificanti statuette nell’ufficio di Morvan. Aveva sempre pensato che uno di quei demoni avesse divorato l’anima del padre. Ecco perché il Vecchio picchiava la moglie.
Parcheggiò sotto i platani di avenue de Messine e salì per le scale di servizio che davano accesso all’ala di Grégoire.
«Cosa diavolo ci fai qui?»
«Che magnifica accoglienza...»
Stranamente anche Morvan era già pronto. Indossava la sua solita divisa: bretelle e camicia bicolore.
«Entra», gli disse dopo aver gettato un’occhiata all’orologio.
La porta d’ingresso si apriva su un piccolo vestibolo che dava su una stanza da letto-ufficio. Erwan notò la valigia aperta.
«Sei in partenza?»
«Andata e ritorno. Questione di un paio di giorni.»
«Dove?»
«Kinshasa.»
«Stai scherzando?»
Morvan infilò alcune camicie nel trolley. «Ti sembra forse che stia scherzando? Con questo maledetto caldo sarò costretto a cambiarmi ogni due ore.»
«Che cazzo ci vai a fare?»
«Affari. Caffè?»
«Volentieri.»
«Ce n’è ancora di caldo in cucina. Portane una tazza anche a me.»
Erwan obbedì. Intuì che quel viaggio lampo in Congo aveva qualcosa a che fare con la Coltano e con i problemi di cui suo padre gli aveva parlato, ma se ne fregava. Tutto ciò che riguardava i quattrini del Vecchio lo disgustava. Si chiese anche se ci fosse qualche legame alla lontana con il nuovo Uomo Chiodo...
Nel cucinino trovò il caffè ancora fumante nella macchinetta. A quasi settant’anni il padre viveva ancora come uno studente. “Tutto quel macello per finire così...”
Tornò di là con le due tazze.
«Grazie. Dammi qualche notizia di tua sorella.»
«Va tutto bene. È a casa... tranquilla.»
«Voglio sperare. Dov’era finita quella cretina?»
«Ti risparmio i particolari.»
«Hai ragione. Le devo chiedere un favore, ma è meglio che lo faccia tu.»
Erwan rivide Gaëlle che urlava sulla porta del suo appartamento, avvolta nell’asciugamano di spugna. Non era sicuro di essere la persona più adatta per domandarle qualcosa. «Che genere di favore?»
«Questo fine settimana toccherebbe a Loïc guardare i bambini, ma lui non può farlo.»
«Perché?»
«Cause di forza maggiore.»
«Non dirmi che...»
«No. Solo che non sarà a casa. Di sicuro non stasera. Bisognerebbe che Gaëlle andasse a prendere i piccoli a scuola e li tenesse con sé finché non torna.»
«Dov’è?»
«Mi dispiace ma non te lo posso dire.»
Morvan aveva pronunciato quelle parole nel tono più tranquillo possibile ma, nonostante fosse abilissimo a dissimulare i propri sentimenti, Erwan si accorse che era insolitamente nervoso. Senza appoggiare la tazza, il padre terminò di fare la valigia: beauty-case, iPod, libri, asciugamano...
«Perché non chiedi a Sofia di...»
Il Vecchio lasciò cadere il rasoio elettrico, con l’aria stanca. «Allora non hai proprio capito niente! Non c’è margine di errore!»
«Cosa intendi dire?»
«Se divorziano, Loïc dovrà tenere un comportamento irreprensibile. Quella puttana italiana userà ogni minima cosa contro di lui.»
«Ma non aveva promesso che non avrebbe tirato in ballo la storia del fermo?»
«Appunto. Userà tutto il resto.»
Aprì un cassetto del secrétaire, prese una pistola che teneva nella sua custodia e la infilò tra due camicie.
«Pensi di superare i controlli con quella?»
«Dopo quarant’anni di servizio va ancora che è una meraviglia.»
«Stai andando a caccia?»
«Non ti riguarda. Cosa volevi?»
«Parlare dell’Uomo Chiodo.»
Grégoire prese una busta piena di contante, contò velocemente le banconote (tutti biglietti da cento) e le mise, insieme al passaporto, nella tasca interna della giacca. «Non è il momento, davvero.»
«Non obbligarmi a convocarti in commissariato.»
«Sei in macchina?» Morvan sorrise. «Accompagnami a Roissy. Ne parleremo per strada.»