Joseph Irisuanga non sembrava provenire da questa terra. All’altezza delle tempie aveva due corni sottocutanei e una fila di chiodi gli scendeva dalla cima della fronte fino alla base del naso. Niente sopracciglia. Iridi degli occhi rosse. Orecchie penzolanti. Il risultato avrebbe potuto essere qualcosa di artificiale, ripugnante o comico, ma il nigeriano sembrava rivelare in questo modo la sua vera natura: un mutante fatto di carne e di ferro.
Erwan gli si sedette di fronte e si sforzò di apparire naturale. «È uno zentai?» buttò lì ostentando una tranquilla indifferenza.
Nessuna risposta.
«Non le dà fastidio quando respira?»
Nessuna risposta.
Erwan si chiese se capisse il francese. In realtà il sospettato non aveva alcun interesse a parlare. Gli sarebbe bastato attendere l’arrivo del suo avvocato per potersene andare con le mani in tasca, sempre che la tuta glielo consentisse.
Irisuanga prese in mano il bicchiere di caffè – un’attenzione del comitato di accoglienza – e lo sollevò come se volesse brindare con Erwan. Sotto il lattice si indovinavano le unghie appuntite. Il nigeriano era un eccellente candidato per il ruolo del predatore del Sainte-Anne.
«So chi è», gli disse finalmente.
Un invito al dialogo.
«Ci conosciamo?»
«L’ho vista alla festa poco fa.»
«C’era anche lei?»
«Le sembra che stia tornando dall’Opéra?»
Da uno con una faccia simile Erwan non si sarebbe mai aspettato quei modi rilassati, quello humor. Joseph Irisuanga aveva una voce dolce e profonda. Parlava un francese perfetto, quasi senza accento: le sue sillabe parevano foderate di velluto.
Erwan vide profilarsi un alibi. «C’era parecchia gente mascherata questa sera.»
«Lo sa che appartengono tutti a universi diversi?»
«Sì, me l’hanno spiegato un paio di amici: Lartigues e Redlich.»
«I maestri di cerimonia...»
«Li conosce?»
«Fratelli di sangue.»
«È un modo di dire?»
«No.»
Erwan scelse di riprendere il caro vecchio tono da sbirro. «Lartigues e Redlich potranno confermare la sua presenza in villa du Bel-Air tra le dieci e l’una?»
«Non sono i soli: una trentina di persone sono in grado di farlo.»
«Quando è stato fermato, andava nella direzione opposta. Dov’era diretto?»
Il nigeriano sorrise. Erwan si stava abituando al mutante.
«Non so di cosa mi stia accusando, ma se l’unico indizio che ha è il mio senso di marcia, non mi pare che sia partito molto bene...»
«Risponda.»
«Ho lasciato la festa intorno all’una», disse sbuffando per la stanchezza. «Ho preso un taxi in boulevard Soult. Mi ha lasciato all’angolo con rue de la Glacière.»
«Questo non mi dice dove stava andando: sui suoi documenti c’è scritto che abita nel XVI arrondissement.»
«Si dovrà accontentare della mia risposta. Non voglio coinvolgere nessuno in questa storia.»
«Il taxi di che compagnia era?»
«Non ne ho idea. Faccia le sue ricerche: un cliente come me non passa certo inosservato.»
«Dove si trovava nella notte tra venerdì 7 e sabato 8 settembre?»
«A Lagos, in Nigeria.»
«Quando è arrivato a Parigi?»
«Domenica alle sette di sera.»
«Ci sono testimoni che possono confermarlo?»
«La mia famiglia. Diversi ministri. Chiami la compagnia aerea. Stiamo solo perdendo tempo qui, sia io sia lei.»
Erwan fece finta di non aver sentito. «Lei è proprietario di una galleria d’arte.»
«Direi piuttosto azionista e gestore.»
«È specializzato in arte africana?»
L’altro rise, rivelando i canini letali. I suoi occhi rossi lo fissavano con la stessa precisione di un puntatore laser. «Un negro non può far altro che importare statuette dal suo paese, no?»
«Credevo che...»
«La galleria Onyx espone alcuni tra i pittori e i fotografi più in voga del momento. E nessuno di loro è africano.»
Irisuanga gli stava sfuggendo di mano come una saponetta. Nonostante il suo aspetto, i rapporti con Redlich e Lartigues e la vicinanza con la scena del crimine, non avrebbe potuto fare nulla per incriminarlo o tenerlo in stato di fermo.
«Quale religione professa?»
«Appartengo a una chiesa pentecostale di Lagos.»
«Non è animista?»
«Un altro luogo comune. Che cosa sta cercando, uno stregone?»
«Me lo dica lei...»
Il nigeriano cominciava a perdere la pazienza. «In Africa siamo tutti animisti. I culti hanno nomi diversi ma la foresta è sempre quella. E anche gli spiriti.»
«Le credenze yombe le dicono qualcosa?»
«Vengono dal Congo, no?» D’un tratto prese un beffardo accento africano. «Congo essere molto lontano da me, padrone.»
Sapeva molto bene di essere intoccabile.
«Dove ha studiato?»
«A Oxford.»
«Cosa?»
«Letteratura inglese e storia dell’arte.»
«Non medicina?»
«No.»
«Non ha mai praticato la chirurgia? Mai tagliuzzato i suoi amichetti fetish?» Erwan si era alzato in piedi, con l’aria truce. Doveva salvare l’onore. Quella era di sicuro la prima e l’ultima volta che sarebbe riuscito a interrogarlo. Irisuanga lo guardava dal basso all’alto, con estrema calma. Aveva appoggiato le mani sul tavolo: sul dorso, anelli sottocutanei formavano rilievi simili a vene circolari.
«Me ne sbatto delle sue cazzate», disse il nero con voce stanca. «Se vuole incriminarmi per gli omicidi dell’Uomo Chiodo, dovrà trovare qualcos’altro.»
«Non ho parlato né di omicidi né dell’Uomo Chiodo.»
Il nigeriano scoppiò in una crassa risata, fredda come il cristallo. «Quindi mi sarei tradito? Dopo gli articoli sui giornali? Dopo lo spettacolo da Lartigues? Cosa crede? Che un africano non sappia fare due più due?»
Erwan si diresse verso la porta e la spalancò. «È libero di andare, signor Irisuanga.»
«Sono sempre stato libero.»
In corridoio trovò ad attenderlo Amarson, con l’aria preoccupata. «L’azzeccagarbugli è arrivato», gli disse a bassa voce.
Irisuanga li raggiunse sulla soglia: squadrò i due poliziotti con disprezzo. Meccanicamente, Erwan si mise la mano in tasca ed estrasse il cellulare. Lo accese e controllò i messaggi. Levantin. Lo richiamò.
«Okay», cominciò subito l’esperto. «Al settantaduesimo campione prelevato su Anne Simoni abbiamo trovato un sangue diverso dal suo.»
«Dove, di preciso?»
«Dietro l’orecchio sinistro, come si fa con lo champagne.» Fece una risata amara. «Senz’altro un gesto scaramantico...»
«Di che gruppo?»
«Zero negativo. Abbiamo avuto fortuna. Se fosse stato zero positivo, ce l’avremmo avuto in quel posto. È il gruppo di Anne Simoni e Ludovic Pernaud.»
«Qualcosa di particolare?»
«Si tratta di un gruppo molto raro, ma c’è comunque qualche milione di sospettati.»
«È particolarmente diffuso tra le popolazioni africane?»
«No, non mi pare, ma verificherò.»
In fondo al corridoio, Irisuanga discuteva con il suo legale, anche lui di origine africana. Il nuovo arrivato non aveva niente a che fare con quegli avvocati che si presentano in commissariato trafelati e scarmigliati per tirare fuori i loro clienti. Sembrava uscito direttamente dalle pagine di «Vogue», benché fossero le tre del mattino.
«Da questo campione puoi ricavare un cariotipo?»
«Ci stiamo lavorando.»
«Fa’ le stesse analisi anche su Ludovic Pernaud.»
«Stai scherzando?»
In quel momento l’uomo dagli occhi rossi si voltò e gli lanciò uno sguardo divertito. Passarono alcuni agenti in divisa. Erwan non ne era sicuro ma aveva avuto l’impressione che il mutante gli avesse fatto l’occhiolino.
«Un’ultima cosa», disse Levantin. «Forse non è niente, ma abbiamo già uno zero negativo.»
«Chi è?»
«Thierry Pharabot in persona. Ho verificato sulla sua cartella clinica dello Charcot.»
Erwan non voleva credere a uno scenario tanto terrificante quanto irrazionale: l’Uomo Chiodo che tornava dal regno dei morti...
«Pharabot è stato cremato nel 2009 e abbiamo diversi milioni di candidati per il suo ruolo. Richiamami quando hai qualcosa di nuovo.»
Uscì alla ricerca di Kripo. Il suonatore di liuto stava chiacchierando con i piantoni sul marciapiede mentre si rollava una sigaretta. «Allora?» gli domandò distrattamente. La stanchezza non faceva che sottolineare la sua naturale indifferenza.
«Meglio che non me lo chiedi. A che punto sei con le cartelle cliniche di Lartigues e Redlich?»
«Dovrebbero arrivare domattina.»
«Mi serve anche quella di un certo Joseph Irisuanga. Fatti dare le sue generalità. Ti avverto, non sarà facile: è nigeriano ed è protetto dall’immunità diplomatica.»
Kripo non parve spaventato da quella nuova difficoltà. Si infilò la sigaretta in bocca e tirò fuori il quaderno degli appunti. «Vuoi sapere se è vaccinato?»
«Voglio conoscere il suo gruppo sanguigno e quello degli altri due. Tutte le cure che hanno ricevuto da quando sono nati.»
Non riusciva a togliersi un’idea dalla testa: sul corpo di Anne Simoni c’era il sangue di Pharabot. Impossibile pensare che fosse una semplice coincidenza. Allo stesso tempo, si trattava di un prodigio inspiegabile.
«Irisuanga. Credi sia stato lui al Sainte-Anne?» volle sapere il suo vice.
«Penso che dovremmo lasciare il certo per l’incerto.»
«Cioè?»
«Dietro tutta questa faccenda c’è Pharabot, e non solo come modello.»
«Non capisco niente di quello che stai dicendo.»
Erwan scoppiò a ridere. «Neanch’io, devo ammettere...»