Gaëlle stava funzionando con il generatore di riserva, come un computer in caso di temporale o di corto circuito. Non assorbiva più nessuna energia né sensazione dal mondo esterno. Ciò nonostante nel dormiveglia captò il rumore della porta della sua camera che si apriva lentamente. Non riconobbe subito la figura che vide sulla soglia.
Dovette accendere la luce per riuscire a identificarla. L’ultima faccia che si aspettava di vedere in quel posto: Sofia Montefiori in persona.
«Posso entrare?»
Erano le quattro del mattino (le avevano ridato l’orologio) e Sofia era radiosa. Aveva una freschezza inossidabile, una vitalità inalterabile da neve perenne. Eternamente bella: senza stagioni, senza tregua.
«Certo», rispose con voce roca, ravvivandosi istintivamente i capelli.
L’italiana prese una sedia e si mise accanto al letto.
«Sei venuta con Loïc?»
«Dovrai abituarti a vedermi senza di lui.»
«Certo...» mormorò Gaëlle. «I poliziotti ti hanno lasciata entrare... a quest’ora?»
«Dimentichi che anch’io mi chiamo Morvan.»
Sorrise. Avrebbe voluto trincerarsi dietro la sua abituale aggressività ma non ne aveva più la forza. «Hai saputo?» domandò facendo uno sforzo per mettersi a sedere.
«Loïc mi ha telefonato.»
«Voglio dire... tutto quanto?»
Sofia annuì tirando fuori un pacchetto di sigarette. «Si può fumare qui, vero?»
L’odore della camera era in sé una risposta a quella domanda. Gaëlle osservò la cognata accendersi una Marlboro. Era sempre stata invidiosa del suo incarnato, ma in quel momento notò qualcosa di diverso: ora che la guardava da vicino, l’italiana aveva le occhiaie e la pelle lucida, un po’ grassa. Con stupore si accorse anche delle rughe agli angoli degli occhi. Le chiamavano zampe di gallina, ma quelli erano piuttosto artigli d’aquila. Il divorzio?
«Ne vuoi una?»
«No, grazie. Ne ho già fumate troppe. Sei stata gentile a venirmi a trovare.»
«Volevo parlarti di una cosa.»
Ogni volta che abbassava le palpebre Gaëlle tornava a vedere l’assassino incappucciato. Se apriva gli occhi, era ancora peggio: impressi sulle pareti beige le apparivano i corpi di Jacques Sergent e dell’infermiere, scossi dalle convulsioni.
Sofia cominciò a raccontarle una storia assurda secondo la quale i loro due padri si conoscevano da decenni e avevano combinato in segreto il matrimonio dei figli allo scopo di riunire le loro quote della Coltano. Sembrava così ossessionata da quelle scoperte da non accorgersi nemmeno che tutto quello che stava dicendo era ridicolo se paragonato alla violenza di quella notte.
A Gaëlle venne da ridere. I piani del Vecchio non la stupivano, ma l’idea che per causa sua anche l’eredità della coppia perfetta potesse andare distrutta le dava uno strano piacere.
«Cosa ne pensi?»
Trasalì. Aveva smesso di ascoltare per un momento. La stanchezza. I sedativi. «Cosa?» sussurrò.
«Che ne pensi della mia proposta di alleanza?»
«Alleanza?»
«Dobbiamo metterli in ginocchio. Trovare il modo di...»
«Lascia perdere. Ci ho rinunciato.»
«Da quando? Perché?»
«Forse per via del mio volo dal terzo piano. O per il tentato omicidio. Non saprei...» rispose con aria sognante.
Sofia le prese la mano. «Ti capisco», disse, in un tono pieno di rimprovero che lasciava intendere l’esatto contrario. «Ma non dobbiamo farci fregare. Quei due stronzi ci manipolano da quando siamo nate e...»
«Cosa vorresti fare? Mandarli sul lastrico? Non hai i mezzi e finirai per rovinarti con le tue mani. Denunciarli? E con quali accuse? Per avere combinato il vostro matrimonio? Per la legge francese non è nemmeno un reato...»
La contessa indietreggiò sulla sedia, con l’aria delusa. «Non ti riconosco più.»
«Nemmeno io, e la cosa non mi dispiace.»
Sofia si alzò in piedi senza darsi la pena di sistemarsi la gonna, un modello di Chloé che Gaëlle aveva trovato in avenue Montaigne. “Questa è per l’italiana”, si era detta, “non per me.”
Stava per uscire quando cambiò idea e tornò sui suoi passi. Dal suo volto era scomparsa ogni traccia di collera e di delusione.
«Volevo dirti anche un’altra cosa...»
“Finalmente...” Gaëlle aveva capito subito che non era venuta soltanto per sapere come stava o per cospirare con lei contro i loro padri.
«Sono andata a letto con tuo fratello.»
«Siete ancora sposati, no?»
«Non con Loïc, con Erwan.»
Gaëlle scoppiò in una fragorosa risata. Quella notizia non la stupiva: l’italiana e il poliziotto si erano sempre piaciuti – e senz’altro riconosciuti – senza saperlo. «Attenta», scherzò. «Anche se è bravo a nasconderlo è ancora più sciroccato di Loïc.»