«È l’unica soluzione.»
«Sicuro?»
«Altrimenti non riusciremo a convincerli.»
«Allora procediamo.»
Le sette del mattino. Morvan camminava nervosamente nell’ufficio a mezzaluna di Loïc. Appena aveva saputo dell’aggressione di Gaëlle si era precipitato al Sainte-Anne. Non aveva visto nessuno: la piccola si era riaddormentata ed Erwan se n’era già andato. Dopo di allora non aveva più avuto notizie né della prima né del secondo.
Con in testa una massa di pensieri incoerenti era andato a svegliare Loïc per sistemare almeno il casino della Coltano. Aveva rinunciato al suo primo piano: rispedire Gaëlle tra le braccia dei tre banchieri in modo da convincerli che l’informazione che aveva dato loro era una fregatura. Non era più il caso di coinvolgerla: sua figlia aveva già abbastanza problemi.
Doveva dunque affidarsi agli specialisti. Secondo Loïc l’unico modo per sistemare le cose era far crollare il prezzo delle azioni. Inizialmente i tre banchieri avrebbero pensato a una fluttuazione prima del grande rialzo ma poi si sarebbero convinti che la dritta che avevano avuto era un bidone: non esisteva nessun nuovo giacimento. A quel punto si sarebbero affrettati a vendere. L’inconveniente di questa strategia era che Morvan avrebbe dovuto liquidare le proprie azioni per provocare il crollo del titolo. In altre parole, avrebbe dovuto rovinarsi con le proprie mani per salvarsi la pelle.
«E i neri come faranno a saperlo?» chiese preoccupato Grégoire.
«Come sempre: dai loro consulenti finanziari.»
«Si faranno prendere dal panico.»
«Ricompreremo le azioni più tardi, e a un prezzo più alto. L’andamento del titolo si stabilizzerà.»
Morvan sorrise: un seppuku finanziario.
«Kabongo mi strapperà le palle.»
«Avvertilo, informalo del piano. Poi, quando gli altri non sospetteranno più nulla, voi due potrete cominciare a sfruttare i nuovi giacimenti.»
Il Vecchio annuì: preferiva non confessare che lo sfruttamento era già cominciato. Continuava a camminare, le mani in tasca. Istintivamente diffidava di questo tipo di proiezioni. Da quando era iniziata tutta quella faccenda non aveva mai visto una previsione avverarsi, in nessun campo. La vita ha sempre più immaginazione degli uomini.
In realtà le cose importanti erano altre. Fingevano di discutere come uomini d’affari navigati ma erano ancora in stato di shock. In meno di ventiquattr’ore Gaëlle aveva cercato di suicidarsi ed era scampata a un tentato omicidio. C’era un assassino a piede libero che stava attaccando a viso aperto il suo clan. I loro calcoli da ragionieri contavano davvero poco.
«E i lussemburghesi?» si informò Loïc. «Ci stanno anche loro?»
«Me ne occupo io.»
Aveva già chiamato Montefiori: gli andava bene, nessun problema. Aveva anche colto l’occasione per interrogarlo sui famosi chiodi importati dalla Heemecht. L’italiano aveva detto di non saperne nulla. Perché no? Dopotutto la sua azienda trasportava migliaia di container all’anno. Ma un poliziotto non doveva mai lasciare nulla al caso, e quello era l’ennesimo problema che andava ad aggiungersi agli altri.
«Chi sono?» insistette Loïc.
«Ti ho detto che ci penso io.»
Il figlio fece un gesto di rassegnazione. Morvan lo osservava con la coda dell’occhio: gli sembrava più vigile del solito. Dopo il tentato suicidio della sorella, era piombato in una strana apatia, tanto che il Vecchio aveva temuto una ricaduta: eroina o alcol. Ma la coca pareva bastare a rimetterlo in sesto. A meno che Sofia non gli avesse già parlato e lui stesse soltanto aspettando il momento buono per far esplodere la propria collera a proposito del matrimonio combinato...
“In ogni caso, prima regoliamo la questione della Coltano e poi a te penso io, caro mio.” Aveva già deciso che avrebbe spedito per l’ennesima volta Loïc in una clinica specializzata per una disintossicazione in piena regola.
Restando in argomento, aveva già prenotato un posto anche per Gaëlle all’istituto Les Feuillantines di Chatou, una struttura che prendeva in cura ricchi pazienti affetti da depressione. Conosceva molto bene quel posto: lui stesso si era fatto ricoverare lì più di una volta. I suoi uomini l’avrebbero protetta. Niente più poliziotti né funzionari, solo agenti abituati ad avere a che fare con colpi di stato e attentati terroristici.
Rimaneva Erwan. Non aveva ancora avuto l’occasione di dargli una strigliata, ma questa volta si sarebbe fatto sentire: l’assassino continuava ad avvicinarsi alla loro famiglia e il figlio sembrava incapace di arrestarlo o identificarlo.
«Quindi posso contare su di te?» riprese piazzandosi davanti alla scrivania.
«Aspetta», disse Loïc alzando le mani, «non è sicuro al cento per cento. Ci rimetteremo e forse non riuscirò a ricomprare tutte le azioni. Inoltre bisognerà andarci cauti, per non far aumentare troppo il valore del titolo. Se le mie previsioni sono corrette, al momento del rapporto annuale le azioni avranno riguadagnato il valore attuale. Nessuno ci vede, nessuno ci becca...»
Morvan si chinò sul piano della scrivania. «L’unico vero rischio è che i neri scoprano i nuovi giacimenti. Distraili, che si concentrino sui giochi di borsa e si dimentichino di quanto c’è in ballo. E soprattutto che non pensino che li abbiamo voluti fregare. Se anche dovessimo rimanere in maniche di camicia, non sarà poi così grave: ci rifaremo con i minerali estratti.»
Parlare lo aiutava a chiarirsi le idee: stava navigando a vista, tra i consigli di quel cacasotto di suo figlio, le minacce del clan Kabila e le aggressioni dell’assassino dei chiodi.
Loïc fissò il padre. Aveva gli occhi così azzurri che era impossibile guardarli troppo a lungo senza essere colti dalle vertigini, come succede quando si osserva il cielo. Morvan capì che Sofia non gli aveva ancora parlato.
«Non è che poi te ne pentirai?» chiese Loïc.
«Chiamami quando avrai venduto tutto.»
Il figlio sollevò la cornetta. «Oggi è domenica, ma provo comunque a fare qualche telefonata.»