Non era più il momento della diplomazia. Erwan decise di fare irruzione all’istituto Charcot con due furgoni blindati, ciascuno dei quali aveva a bordo due squadre di gendarmi. Come minimo quaranta uomini, riuniti in tempo record, considerato che era domenica. Alle quattro del pomeriggio il battaglione era pronto ad attaccare.
Affidò a Le Guen e Archambault il compito di gestire l’operazione: dovevano bloccare tutte le uscite per impedire ai pazienti, al personale medico, alle guardie e ai visitatori di lasciare il perimetro dell’istituto prima di essere stati ascoltati. Il vantaggio all’OPG era che chi si trovava all’interno di fatto era già rinchiuso.
Quanto a lui, assieme a Kripo avrebbe interrogato il sospettato numero uno: Jean-Louis Lassay, primario di psichiatria e direttore dell’istituto. Si fecero scortare da Verny, garante dell’ordine e della legalità nel territorio bretone. In realtà, nessuno aveva l’autorità per ordinare un simile intervento, ma quello spiegamento di uniformi equivaleva a un salvacondotto.
Lassay, sempre abbigliato come uno studente di un college inglese, andò loro incontro con passo marziale mentre le forze dell’ordine prendevano d’assalto il complesso.
«Cosa significa questa invasione?» protestò lo psichiatra, a testa alta.
Un minuto dopo erano nella sala riunioni, come tre giorni prima. Erwan spinse Lassay su una sedia ed estrasse la pistola. Non era sicuro che quello fosse l’atteggiamento giusto, ma decise di giocarsi il tutto per tutto dando un ulteriore giro di vite. «Io e te dobbiamo fare quattro chiacchiere.»
«Ah, adesso mi dà del tu? Ma cosa...»
«Chiudi il becco. Parlami della morte di Pharabot.»
«Le ho già detto tutto, ho...»
«Mi serve sapere il giorno, l’ora e le circostanze esatte.»
Lassay era sempre il bell’uomo brizzolato che li aveva ricevuti qualche giorno prima, ma ora sembrava essere stato irradiato: aveva la pelle di un rosso acceso e i lineamenti gonfi. Si passò una mano sul volto e balbettò: «Non capisco... Questa irruzione le costerà caro, lei...».
«Rispondi», lo incalzò Erwan rinfoderando l’arma. Si sentiva un coglione con la pistola in mano.
«Thierry Pharabot è deceduto nella notte del 23 novembre 2009», cominciò lo psichiatra.
«Dov’è il certificato di morte?»
«Nel nostro archivio. È stato redatto la notte stessa da un medico della Cavale blanche.»
«Perché non da te?»
«È la legge. La morte dev’essere constatata da un medico esterno all’istituto. Il giorno dopo un commissario di Brest è venuto a convalidare le circostanze del decesso. Abbiamo tutti i documenti. Posso farle delle fotocopie.»
Erwan lanciò a Verny uno sguardo interrogativo: non sapeva che ci fosse un commissariato a Brest. Il gendarme confermò con un cenno del capo.
«Verificheremo», disse il tenente colonnello.
Il decesso di Pharabot non poteva essere stato inscenato. I prelievi erano stati effettuati prima che morisse? O subito dopo?
Erwan osservò Lassay: riusciva benissimo a immaginarselo mentre eseguiva esperimenti psichiatrici non troppo ortodossi, ma i trapianti di midollo richiedevano altre competenze. Inoltre, sentiva che lo stupore del medico era genuino: Lassay non capiva nulla di quello che stava succedendo.
«Poi cosa ne avete fatto del corpo?»
«Thierry Pharabot non aveva famiglia. L’abbiamo... l’abbiamo bruciato.»
«Dove?»
«Al crematorio di Brest, nella zona industriale di Le Vern. Le sue ceneri sono state disperse nel cimitero di Kaerverec. Di nuovo, potrà trovare tutto quanto nel fascicolo.»
Altra occhiata a Verny, altro cenno di conferma. Dietro di lui, Kripo gli fece un gesto discreto. Ora si ricordava: l’alsaziano si era già informato.
Ma le cellule avrebbero potuto essere prelevate prima che il corpo fosse incenerito.
«Sia più preciso», riprese. «Tra la constatazione del decesso da parte del medico e la convalida del commissario il corpo è restato nell’OPG?»
«Sì. Ma perché mi fa queste domande?»
«Dove?»
«Nell’obitorio del nostro ospedale.»
«Niente di particolare da segnalare a riguardo?»
«Del tipo?»
Erwan liquidò la domanda con un gesto. «Chi si è occupato del trasporto del cadavere? Voi o le pompe funebri?»
«Noi. In ambulanza.»
«I nomi degli infermieri incaricati?»
«Posso verificare. Perché le interessano tanto questi particolari?»
«Sai cos’è un trapianto di midollo osseo?»
«Sono un medico...»
«Qui c’è l’apparecchiatura necessaria per effettuare un intervento del genere?»
«Questo è un istituto psichiatrico!»
«La volta scorsa mi avevi parlato di un centro di ricerca.»
«Per il cervello. Non facciamo prelievi di cellule!»
«Alcuni strumenti potrebbero essere stati utilizzati per qualcosa di diverso dalla loro funzione specifica, no?»
«Penso di sì, ma...» Lassay aggrottò le sopracciglia. «Cosa vuole insinuare?»
«Un innesto di midollo per modificare il gruppo sanguigno e il DNA del trapiantato. Per alcuni fanatici il corpo dell’Uomo Chiodo avrebbe rappresentato una grandissima opportunità.»
«Che genere di opportunità? Pharabot ha passato due terzi della sua vita in manicomio. Chi potrebbe volere le sue cellule? Sta delirando.»
Erwan misurava a grandi passi la stanza – il poliziotto cattivo –, Verny sorvegliava la porta e Kripo prendeva appunti.
«Cosa sai dirmi delle linee cellulari immortalizzate?»
«È una pratica che va di moda. Congelare cellule staminali per coltivarle in caso di bisogno.»
«Avete un posto refrigerato in cui potrebbero essere conservate?»
Lassay non sembrava più provare né paura né collera: le insinuazioni di Erwan lo lasciavano semplicemente sgomento. «In che lingua glielo devo dire? Questo è un istituto per malati pericolosi. Cosa crede, che qui conduciamo esperimenti alla Frankenstein? Facciamo già abbastanza fatica a tenere tranquilli i pazienti!» Si alzò e lo squadrò con disprezzo. «Adesso ne ho abbastanza.» Lanciò un’occhiata alla finestra. «Questa irruzione, questi uomini armati... È tutto ridicolo! Sta solo perdendo tempo, il mio e il suo.»
«È tutto quello che hai da dirmi?»
«Vada a farsi fottere.»
Erwan gli tirò un ceffone violentissimo. Lassay dovette aggrapparsi al tavolo per non perdere l’equilibrio. Strinse i pugni e fece per affrontarlo. Era più alto di lui di qualche centimetro e ben piazzato.
Esistono due categorie di uomini: quelli che sono terrorizzati dalla violenza fisica e gli altri. Psichiatra o no, Lassay era pronto a spaccargli il muso.
Verny si frappose tra i due, pistola alla mano. «Fermatevi subito.» Con il braccio teso teneva a distanza Erwan mentre si rivolgeva al medico. «Voglia scusare il comandante Morvan per il suo gesto... inqualificabile.»
Quelle semplici parole servirono a smorzare la tensione. Lo psichiatra sembrò tornare alla realtà: il mondo civilizzato e le sue regole. Erwan fece qualche passo indietro, brontolando.
La porta si aprì di colpo: Le Guen.
«Un infermiere è scomparso», annunciò. «Pare che se la sia data a gambe quando ci ha visto arrivare.»
«Come si chiama?» chiese Lassay.
«José Fernández.»
«Plug?» disse di rimando lo psichiatra. «È uno degli infermieri che lavora qui da più tempo.»
I soprannomi sono sempre rivelatori. Questo in particolare ricordò a Erwan l’incontro con il medico punk di quella mattina. «Perché lo chiamate così?»
«Per le estensioni in silicone ai lobi delle orecchie.»
«È un fanatico della body art?»
Lassay si lasciò sfuggire una risatina sfregandosi una mano sulla guancia. «È coperto di tatuaggi e piercing.»
Erwan passò davanti a Le Guen e uscì nel corridoio. Verny e Kripo gli corsero dietro. Il gendarme aveva ancora la pistola in mano.
«La rimetta via», ordinò Erwan, «o finirà per spararsi in un piede.»
«È scarica», ribatté l’altro, livido.
«Troviamo l’infermiere. Priorità assoluta.»