VI

La ragazza chiuse la porta, salutata dall’ultimo, melodioso messaggio dell’acchiappasogni. Il pomeriggio era stato tranquillo, e l’unico episodio degno di nota era rimasta la visita dell’agitato collezionista che cercava il volumetto del 1928 in inglese. O meglio, pensò serrando con attenzione il secondo chiavistello, la lettera che c’era tra le pagine. Perché dall’atteggiamento dell’uomo le era parso chiaro che non era certo la guida alle bellezze del golfo, così come si presentava alla fine degli anni Venti, a interessarlo.

Dai libri saltava fuori di tutto. Certe volte era anche divertente; lei stessa aveva trovato una pagella, alcune poesie vergate a mano, una ricetta di vecchi farmaci. Le era anche capitata una Bibbia che, dopo la Genesi, si trasformava in un romanzo pornografico. Nella maggior parte dei casi i ritrovamenti si riducevano ad appunti scritti in grafie incomprensibili, liste di impegni da sbrigare o di luoghi da vedere. Lei dava una scorsa veloce, poi cestinava.

Di quella lettera, invece, le era rimasto in mente il nome della donna, che si chiamava come la sua migliore amica e compagna di banco delle elementari. Quando aveva deciso di restituirla al proprietario, se n’era ricordata subito.

Certo, rifletté mentre si avviava nella sera verso la fermata dell’autobus, quel maleducato non si meritava di riaverla. Era stato davvero scortese, e lei aveva dovuto rimetterlo in riga. Non c’era niente di più falso e sbagliato dell’adagio secondo cui il cliente ha sempre ragione; anche se non era la titolare, ma solo una commessa, nessuno poteva permettersi di mancarle di rispetto. A colpirla di più era stata la reazione dell’uomo quando gli aveva consegnato la missiva. Sul suo volto si erano alternarti sollievo e pena, felicità e un’inspiegabile rassegnazione.

Scrollò le spalle, non era un problema suo. Però era curiosa e avrebbe accolto volentieri le confidenze di quell’individuo, anche solo per capire l’importanza di una lettera che, alla fine, si riferiva alla banale consegna di un regalo. Non l’aveva letta con attenzione, e non rammentava se ci fossero la data e il luogo di un appuntamento. Comunque, il collezionista era più interessante del figlio, che le era parso un tossico come tanti.

Del resto, in fatto di uomini la ragazza aveva gusti particolari. Le colleghe dell’università, le uniche persone che riusciva a frequentare nel poco tempo libero di cui disponeva, erano attratte da bellocci per lei insignificanti: fisici atletici, dentature perfette, vestiti alla moda. Lei era intrigata dai tipi tormentati, capaci di provare sentimenti intensi e difficili da decifrare. Secondo suo fratello aveva la sindrome della crocerossina.

Sorridendo arrivò alla pensilina del trasporto pubblico. Non c’era nessuno, segno che avrebbe dovuto attendere la corsa un bel po’. Sospirò, rassegnata.

Dopo qualche minuto, una motocicletta sopraggiunse rombando. Inchiodò con una frenata spettacolare e si arrestò a qualche centimetro da lei, che era sovrappensiero. La ragazza sobbalzò e imprecò a mezza voce. Il centauro si tolse il casco ridendo, era uno studente che un po’ le faceva il filo, uno dei quartieri alti che prendeva lo studio con molta allegria e poco impegno.

«Ciao» la salutò. «Non lo sai che in questa città è pericoloso rimanersene sola a quest’ora?»

«Ma sei cretino?» rispose lei con una mano sul petto e il cuore in gola per lo spavento. «Poteva venirmi un colpo!»

Il centauro continuò a ridere. «Addirittura, per così poco? Come mai da queste parti?»

Ancora spaventata, la ragazza rispose brusca:

«Secondo te dovrei restare confinata in zona universitaria? Non sono abbastanza altolocata per bazzicare questo posto?».

Lui sbuffò. «Figurati, io questo quartiere lo schifo, dal profondo del cuore. Molto meglio dove vivi tu. Insomma, sei in giro per negozi?»

La ragazza scosse il capo e ribatté con orgoglio:

«No, caro. Io qui ci lavoro».

«Davvero?» domandò l’altro, sorpreso. «E dove?»

«Da quella parte.» Agitò la mano in un gesto vago. «Alla libreria antiquaria in fondo alla strada.»

Il giovane sembrò perplesso. «Ma non era morta e sepolta?»

La ragazza replicò piccata:

«Solo perché tu non frequenti le librerie, e chissà perché la cosa non mi sorprende affatto, non devono chiudere per forza. Certo, se fosse per quelli come te, la cultura sarebbe roba da museo».

Il motociclista non trattenne l’irritazione:

«Mi riferivo alla proprietaria. Era già decrepita quando da bambino passavo là davanti per andare a giocare a pallone, è assurdo che sia ancora viva. E comunque, non mi sono certo fermato per sorbirmi i tuoi insulti».

«Ah, no? Allora volevi solo spaventarmi?»

«No, cara, volevo darti un passaggio, perché a quest’ora l’autobus, ammesso e non concesso che esista, non arriva più.»

La ragazza diede un’occhiata all’orologio e parve incerta. Aveva da studiare, non mancava molto all’esame, e sarebbe stato meglio non perdere tempo: ma quel presuntuoso che pensava di rimorchiarla con uno schiocco di dita la infastidiva. Dopo un attimo di esitazione, scosse la testa:

«No, grazie. Preferisco aspettare».

Il centauro ignorò la risposta:

«Guarda, oggi mi sento buono e voglio offrirti una seconda possibilità. Salta su, che ti accompagno a casa. E mentre guido ti permetto anche di abbracciarmi. È il tuo giorno fortunato».

Aveva davvero il potere di esasperarla. «Ho detto di no, ringraziandoti. Adesso ti ripeto che non voglio nessun passaggio, e mi risparmio pure il grazie.»

Lui cambiò espressione, quasi avesse ricevuto uno schiaffo. Il sorriso sparì, le labbra si serrarono e sulla mascella guizzò un muscolo:

«Oh, cafoncella, ma come ti permetti? In campagna non vi insegnano l’educazione? Impara le buone maniere, altrimenti prima o poi trovi chi te le spiega per bene».

A una cinquantina di metri, dall’abitacolo di un’auto qualcuno osservava la scena.