VII

Dopo la cena da Viola, mentre tornava verso casa, Sara pensò a Massimiliano.

Le piaceva camminare, aveva un passo agile e calzava sempre delle scarpe basse. Non erano eleganti e non slanciavano le gambe, ma lei, fedele a un’abitudine consolidata, non concedeva nulla all’estetica. I capelli grigi, l’assenza di trucco, gli abiti comodi e sobri restituivano a un’occhiata distratta l’impressione di una donna ordinaria, avanti negli anni. Quasi invisibile. Proprio come desiderava essere. In principio questo stile era dettato da un’esigenza quasi ideologica. Sara nutriva una profonda avversione per ogni forma di menzogna, e non aveva mai tollerato la falsità. Smascherare chi non era sincero equivaleva, per lei, a una specie di missione, e in fondo tingersi i capelli, truccarsi, mettere i tacchi per sembrare più alte non erano forse una finzione?

Massimiliano Tamburi, però, aveva scoperto la vera Sara al primo sguardo. Certo, all’epoca era giovane e l’aspetto dimesso non riusciva a nascondere del tutto la naturale eleganza e la femminilità che ora celava alla perfezione; ma l’affascinante capo di un’unità speciale dei Servizi, di oltre vent’anni più grande, era addestrato a non fermarsi alle apparenze. E si era innamorato di lei, che l’aveva già scelto come suo uomo. Così erano stati insieme finché lui non era morto.

Adesso ti spiego, amore mio: di fronte all’autentica bellezza, l’apparenza svanisce. L’attenzione delle donne per se stesse, in realtà, ha un unico scopo: incantare gli uomini. E noi ci lasciamo incantare, perché quegli sforzi ci gratificano. Abiti firmati, creme e cosmetici, diete e palestra, tacchi e tinte: tutto per catturare il desiderio dei maschi. Accade di rado di incontrare una come te, che non vuole sembrare diversa, soltanto perché non vuole sembrare affatto. Tu, amore mio, hai dentro una luce che splende lo stesso, anche se cerchi di trattenerla. Uno stupido può non accorgersene, certo: ma se uno sa appena appena guardare, lo lasci abbagliato. E resta così, per una vita intera.

Sarebbe rimasta ore ad ascoltare Massimiliano parlarle d’amore. Le sembrava di sentirlo anche adesso, mentre la strada accoglieva il suo passo nella notte senza luna.

Sara si chiese per l’ennesima volta perché, sentendo il nome del detenuto che voleva un colloquio con il collega di Pardo, le era venuto in mente Massi. Non riuscire a isolare il motivo le procurava un insolito disagio. Appena sotto la superficie della coscienza, si insinuava una sensazione spiacevole connessa a Lombardo Antonino. Lombardo, Lombardo… Neanche così particolare come cognome. E se aveva pensato a Massi, allora perché aveva percepito quel disagio?

Continuò a camminare spedita, superando un barbone che dormiva avvolto nelle coperte per proteggersi dall’aria ancora frizzante. Magari si stava confondendo. Magari rammentava altro. Magari tra questo Lombardo e Massimiliano non c’era alcun rapporto.

Poi ricordò. E fu un lampo così vivido e improvviso che si bloccò di colpo mentre attraversava la strada. Per fortuna non passava nessuno.

Dalla memoria affiorò lo scorcio di una via anonima e grigia, l’esterno della sede dell’unità, un pomeriggio di pioggia. Lei e Teresa, la collega bionda di cui era diventata amica, rientravano dal pranzo chiacchierando e ridendo. Appena svoltato l’angolo, a una ventina di metri, Massimiliano, ancora giovane e in salute, dialogava accalorandosi con un tipo di spalle dai radi capelli neri, vestito di scuro. I due stavano sotto lo stesso ombrello.

Sara e Teresa avevano rallentato l’andatura, per rispetto e anche per la sorpresa. Non avevano mai visto il capo intrattenersi con qualcuno che non appartenesse all’unità, tantomeno in strada, alla luce del sole, di fronte ai passanti e perdipiù sotto lo stesso ombrello. Si erano date di gomito e si erano fermate.

Da lontano Sara non poteva udire le parole, ma la discussione era piuttosto concitata. La sua eccezionale abilità di leggere i volti e il linguaggio del corpo le permise di distinguere nell’atteggiamento di Massimiliano tensione, preoccupazione, persino una punta di ansia.

Con le percezioni affinate dall’addestramento, l’agente Morozzi Sara inquadrò la bocca dell’uomo che amava, e col quale avrebbe condiviso la vita di lì a poco. Le labbra pronunciarono per ben tre volte la parola “Lombardo”, rivolta all’uomo di spalle. La donna comprese che quello doveva essere il nome dello sconosciuto.

Appena incrociò lo sguardo di Sara, Tamburi troncò la conversazione. L’altro uomo andò via di fretta, e le due donne non riuscirono a scorgere il volto dietro l’ombrello. In ufficio, Massimiliano non accennò all’incontro e la storia finì lì. Sara calcolò che doveva essere all’incirca l’inverno del 1991, pochi mesi dopo il suo ingresso nell’unità.

Senza una ragione precisa, quell’episodio l’aveva disturbata, ma non aveva il diritto di chiedere spiegazioni a Massimiliano. E anche in seguito non era tornata sull’argomento, ma la maniacale riservatezza di lui aveva reso quella circostanza una singolare eccezione.

Certo, poteva essere una coincidenza. Certo, poteva essere un altro Lombardo. Certo, poteva sbagliarsi. Ma adesso, di notte e a quasi trent’anni di distanza, quel ricordo era ricomparso con un’intensità e una nitidezza sconcertanti. Si chiese se doveva fidarsi di quell’istinto che non l’aveva mai tradita. Mai.

Non è solo lavoro, amore mio, e del resto un mestiere come il nostro non si può insegnare più di tanto. Quindi ascoltami, che io di strada ne ho percorsa più di te. Tu hai un dono speciale, che è solo tuo. Non ho mai conosciuto nessuno come te, e ho avuto la fortuna di incontrare i migliori del mondo, quando giocavi ancora con le bambole e noi eravamo in guerra, tutti contro tutti. Hai un dono, Sara. Ti viene spontaneo, perciò credi che sia normale e non ne percepisci l’unicità. Invece è unico. Lo chiami “istinto”, ma è velocità. Ancora prima che elabori i dati, la tua mente li ha già collegati. È velocità, sì, insieme a un ingrediente speciale che io non sono in grado di indovinare, come nel nostro gioco con i piatti che cucini per me. Fidati sempre, amore. Quello che chiami “istinto” non ti può ingannare.

Lombardo. Lombardo Antonino.

Fidati delle tue sensazioni, ripeteva Massimiliano.

Entrata nell’androne del palazzo, Sara non si diresse all’ascensore che l’avrebbe portata al sesto piano dove abitava. Scese per la rampa di scale che conduceva al locale delle cantine. Raggiunse la sesta porta, introdusse nella serratura una chiave con una targhetta azzurra. Aprì, premette un interruttore e il chiarore di un neon illuminò un ambiente quadrato, pieno dei soliti oggetti che ingombrano ogni scantinato: scatoloni, libri, vecchie giacche impolverate. Dopo aver chiuso la porta alle sue spalle tirando un chiavistello, si avvicinò a un armadio di legno all’interno del quale, tra diversi soprabiti ormai fuori moda, c’era un loden verde.

Spostato il cappotto, la mano della donna trovò a tentoni la manopola di un’apertura a combinazione. Sara cominciò a ruotarla in senso orario e antiorario, componendo una sequenza di cifre: minuto, ora, giorno, mese e anno del suo ingresso nell’unità, la prima volta che aveva visto Massimiliano Tamburi.

Il fondo dell’armadio si schiuse con uno scatto, Sara sgusciò dentro e accese una luce. Si ritrovò in un vano occupato da scaffali alti fino al soffitto che ospitavano migliaia di dossier, conservati in cartelline di vario spessore.

Raccolto in decenni di attività, l’archivio di Massimiliano era rigorosamente cartaceo e non era mai stato riversato su alcun supporto digitale, di cui l’uomo aveva sempre diffidato. Quegli incartamenti custodivano la storia segreta del Paese. Delitti, stragi e corruzione, rapporti tra politici e mafiosi, industriali ricattati e funzionari ricattatori; sette religiose e apparati deviati, terroristi e criminali in giacca e cravatta; vizi segreti di donne e uomini dello spettacolo, di cardinali e monsignori, di ministri e senatori; guerre occulte, vinte o perse all’insaputa dei più; attentati mascherati da incidenti e incidenti mascherati da attentati: il tutto classificato in ordine alfabetico, con collegamenti e rimandi precisi, una parte persino criptata, in un codice che solo Sara era in grado di interpretare.

Massimiliano le aveva chiesto di distruggere l’archivio dopo la sua morte. Le aveva detto che era stato la sua personale assicurazione sulla vita, che senza quei fascicoli sarebbe finito di sicuro in qualche pilastro della tangenziale o in fondo al bel mare del golfo molto prima che la malattia invadesse il suo corpo. Le aveva spiegato che una volta deceduto, il reperimento e la distruzione di quella pesante eredità sarebbe diventato l’obiettivo di tanti.

Sara aveva rimandato in più occasioni l’esecuzione di quelle ultime volontà, fino a rassegnarsi all’evidenza che non avrebbe mai avuto il coraggio. L’archivio era troppo intriso della memoria del compagno. Le sarebbe sembrata una seconda cremazione, e non avrebbe potuto sopportarlo.

L’aeratore ronzava sommesso, mantenendo l’ambiente secco e a temperatura costante.

La donna iniziò a cercare: Lombardo Antonino.

Lo cercò, e non lo trovò. Scorse la lettera L, quindi passò alla A con trepidazione crescente, pian piano la curiosità lasciò il posto alla sorpresa e infine all’angoscia. Massimiliano aveva censito, anche solo con brevi note, tutti quelli con cui era entrato in contatto quando era in servizio e anche coloro di cui aveva avuto una conoscenza indiretta. Era impossibile che quel nome non ci fosse.

Uscì dalla cantina che era quasi l’alba, senza aver trovato nulla. L’inquietudine le pesava sul cuore come un macigno.

Il mio istinto, pensò. In qualche modo ne ero certa.

Si coricò, ma non chiuse occhio.