VIII

Pardo arrivò ai giardinetti con relativa tranquillità. Camminava persino impettito, guardandosi attorno con una certa fierezza, come se avesse il pieno controllo della situazione. Ma appena vide Sara da lontano, Boris partì ventre a terra a circa sessanta chilometri all’ora.

Lo scatto da centometrista non colse di sorpresa l’ispettore, che aveva una solida esperienza di strappi improvvisi, maturata attraverso una mezza dozzina di dolorose sublussazioni della spalla. Incassò la testa e assecondò la trazione del Bovaro del Bernese, eseguendo un curioso balletto sulle punte per evitare gli ostacoli che il quadrupede scansava all’ultimo secondo. Il momento più coreografico fu la leggiadra acrobazia con cui saltò, a piedi uniti, un passeggino, un’evoluzione che in slow motion sarebbe stata degna dello spot di un alimento a basso contenuto calorico. La madre (o zia, o baby-sitter) della creatura nel passeggino tradì la sua bassa estrazione sociale apostrofando Boris e il suo proprietario con una colorita espressione le cui sfumature più comprensibili alludevano alle strane attività sessuali praticate dalle ultime due generazioni di donne della famiglia Pardo.

Giunto in prossimità della panchina su cui era seduta Sara, Boris inchiodò con una frenata tanto brusca che quasi si udì uno stridio di pneumatici. Con un semplice sguardo, senza nemmeno togliere le mani dal grembo, la donna ottenne che l’animale si accucciasse docile sul posteriore e la fissasse con gli occhi intelligenti in attesa di ulteriori ordini, i tre etti di lingua penzoloni.

Pardo planò con un secondo e mezzo di ritardo, aggrappato al guinzaglio su misura che andava sostituito come minimo ogni tre mesi. «Tra i difetti che odio di questa bestia» disse ansimando, «e credimi, non sono pochi, il servilismo nei tuoi confronti è il peggiore. Maledetto bastardo ingrato.»

Sara rispose, con voce sommessa:

«Con i cani, come con le persone, bisogna comportarsi bene. Tu, che sei il padrone, dovresti amarlo e rispettarlo più di tutti, invece di insultarlo. Lui lo percepisce, e si regola di conseguenza».

Pardo cercava di recuperare fiato continuando a parlare. Il risultato era un rap indecifrabile. «Io non ho mai detto di amare gli animali. La conosci la storia; questo era, cioè, avrebbe dovuto essere, una sorpresa per… Vabbè, lasciamo perdere. E quello stronzo del negozio ha omesso di avvisarmi che il dolce cucciolo di Bovaro si sarebbe trasformato in un cavallo.»

«Be’, potresti regalarlo, se non vuoi tenerlo. Qualcuno che ha una bella masseria sarebbe felice di adottarlo.»

Davide lanciò uno sguardo di sfida che Boris ignorò. «E dargliela vinta? Mai. Anche lui deve essere condannato come me a trascorrere la vita con qualcuno che detesta. E nessuno dovrà mai affermare che non sono in grado di avere rapporti sociali neppure con un cane.»

Sara e Boris si scambiarono un cenno di intesa con lo stesso disgusto dipinto sul viso e sul muso. Poi lei venne al punto:

«Hai novità?».

Pardo si sedette. Continuava a tenere d’occhio i dintorni, consapevole che Boris avrebbe tentato di abbassare il suo record di sprint da zero a cento all’ora senza alcun preavviso. «Intanto mi spieghi che te ne frega di questo Lombardo? Cioè, ti ringrazio per la premura, ma francamente telefonare alle sette di mattina per chiedermi di muovere il culo…»

Sara tagliò corto:

«Sono solo curiosa. Allora, che hai trovato?».

Pardo riuscì nella complicata impresa di estrarre dalla tasca un foglio senza togliere entrambi i polsi dall’asola del guinzaglio king size. «Non è stato semplice: non ho più accesso al database della Penitenziaria e ho dovuto usare il computer del commissario, ma per fortuna lui non c’è mai perché tiene una cummarella e sparisce di continuo; da dove prende tutta questa salute lo ignoro. Dunque, Lombardo Antonino, di anni sessantasette, se n’è beccati otto confermati in appello e sta dentro da due. Era un cancelliere del tribunale, l’hanno condannato per falso in atto pubblico e abuso d’ufficio. Imbrogliava con gli assegni, cancellava protesti, bustarelle, roba piccola ma reiterata.»

Sara era sorpresa. «Tutto qui? Niente di più grosso?»

Davide scosse la testa. «No, è un miserabile, nemmeno ammanicato, in galera per reati così non ci finisce nessuno. Deve averlo difeso uno raccattato per strada.»

La donna osservava pensosa un gruppo di bambini che inseguivano una palla in un’aiuola spelacchiata. «Non hai una foto, vero?»

«Certo, ho stampato la segnaletica.» Pardo allungò il foglio a Sara.

Lei lo prese e fissò due occhi neri spaventati, un naso affilato, pochi capelli scuri. Bastò un attimo, e non ebbe più dubbi. Aveva visto di sfuggita una porzione del profilo da sotto l’ombrello mentre l’uomo si allontanava di spalle, ma era sicura che fosse lui: era lo stesso Lombardo che discuteva con Massimiliano, una trentina di anni prima. L’istinto, pensò.

Davide riprese:

«Poi ho incrociato le informazioni. Il prete non l’ho chiamato, mi attacca un bottone infinito e devo pure sorbirmi il cazziatone perché non ci sentiamo da tanto, preferisco evitare; peraltro non è detto che sappia qualcosa. Io, però, qualche altro amico da scocciare ce l’ho».

Sara era attentissima. «E che hai scoperto?»

«Che in effetti Lombardo è malato, e anche parecchio. Insomma, pare sia agli sgoccioli. Sta lì lì, mi hanno raccontato. Cancro. Forse è per questo che Fusco vuole parlargli, sarà una confraternita.»

«Non sei spiritoso, Pardo. Ti assicuro che non è facile, nemmeno per chi gli sta vicino.»

L’ispettore diventò paonazzo. Era al corrente della lunga, terribile malattia del compagno di Sara per via delle rare confidenze di lei, ma non ci aveva badato. «Madonna, scusami, Morozzi, non intendevo… Una battuta di merda, me ne rendo conto. Lombardo comunque è vedovo e senza parenti. Aveva un figlio che è morto sette anni fa. Ho verificato per scrupolo, ed ecco qui: Lombardo Nicola, precedenti a strafottere, riformatorio, carcere. Il solito profilo, insomma: detenzione e spaccio, rapina, furto con scasso. Un tossico.»

«E come è morto?»

«Non c’è scritto. Ma quelli così se ne vanno sempre per lo stesso motivo.»

Sara restò in silenzio per qualche istante, poi domandò:

«Quanti anni aveva Nicola?».

Davide consultò il foglio. «Trentotto, al momento del decesso. Insomma, Lombardo si sta spegnendo in solitudine, non è stato un delinquente di quelli che ammazzano la gente, è probabile che avesse bisogno di soldi per il figlio. Un drogato in famiglia è un pozzo senza fondo. Si sarà trovato invischiato.»

La donna annuì. Si stava chiedendo perché quel povero cristo fosse l’unico che in circa trent’anni aveva costretto Massimiliano a derogare alle sue rigorosissime regole di riservatezza. E soprattutto, per quale motivo non ci fosse traccia di lui nell’archivio dietro l’armadio della cantina.

«Ma il prete alla fine lo chiamerai?»

«Per carità, no! Non ci tengo proprio. Poi domani ho un corso di aggiornamento online, non posso prendere impegni. Vediamo se Fusco mi cerca di nuovo. Serve altro?»

«Non lo so, voglio riflettere, e devo andare a trovare un amico. Ti telefono io.»

Pardo sbuffò. «E già, tu dài ordini, il pensionato dà ordini, la tua quasi nuora critica sempre: ma com’è che vi arrogate tutti il diritto di disporre di me? Guarda, io mi sono davvero rotto le palle di…»

Sara rivolse un gesto a Boris, che adocchiò una cagnetta a sudovest e sfrecciò come una Maserati durante un collaudo. Pardo schizzò trascinato dal Bovaro, e Sara udì il suo lamento spegnersi in lontananza.