XVI

Al contrario di quello che Pardo si aspettava, non fu facile convincere Fusco ad accettare l’incontro.

Il telefono dell’ex poliziotto squillava a vuoto. Davide provò almeno sei volte, e alla fine si rassegnò a registrare un messaggio in segreteria con lo stesso spirito con cui se ne affida uno al mare dentro a una bottiglia. Non ci fu risposta. Allora l’ispettore chiese istruzioni a Sara; lei gli suggerì di riprovare lasciando detto che aveva delle notizie su Lombardo. Non era vero, ma poteva diventarlo in prospettiva, tagliò corto la donna davanti alle proteste di Pardo, che non voleva mentire ancora.

Secondo quanto previsto da Sara, Angelo richiamò. Era freddo e distante, ma anche curioso.

Come concordato, Pardo gli spiegò che dovevano essere riservati, e propose perciò un appuntamento in un antico caffè del centro, frequentato da orde di turisti, dove sarebbero passati inosservati.

Sara prese posto a un tavolino un po’ defilato rispetto a quello che occupò Pardo in attesa di Angelo. Voleva studiare l’ex vicecommissario prima del confronto diretto con lui. Davide, da parte sua, ostentava un’indifferenza tanto teatrale nei confronti della donna seduta a due metri da lui, che quasi sembrava indicarla con un dito.

Fusco entrò nel locale pochi minuti prima dell’ora concordata. Portava un soprabito abbottonato fino al bavero, nonostante la volubilità di aprile avesse proposto una giornata calda come d’estate.

Sara lo individuò subito in mezzo a un nutrito gruppo di estasiati clienti anglofoni. Nonostante fosse vestito di un beige slavato, risaltava come una macchia scura. Quell’impressione derivava dal volto scavato e pallido, e dagli occhi spenti che vagavano alla ricerca di Pardo.

Quando vide l’ispettore, Fusco si avvicinò senza salutare. Lo raggiunse e si sbottonò il soprabito. Indossava una giacca lisa di almeno un paio di taglie più grande del dovuto. Dalla sua posizione, Sara notò che il colletto consunto della camicia, intorno al quale era annodata una cravatta fuori moda, non aderiva alla pelle rinsecchita e rugosa, lasciando due dita di spazio. L’uomo andò dritto al dunque:

«Allora, che notizie hai?».

«Fusco, intanto volevo dirti che mi dispiace. Non per giustificarmi, ma davvero non avevo idea che il tempo fosse così poco e la questione tanto importante per te. Io…»

Angelo lo aggredì interrompendolo:

«Non me ne frega niente del tuo senso di colpa. Ho perso minuti preziosi per comunicarti di persona che sei una merda, ma mi sembrava un’informazione importante. Siccome se ne accorge anche un cretino come te che non mi rimane molto, ora vado. Sei fortunato, ti risparmi pure un altro caffè».

«Aspetta, aspetta. Non è tutto qui. C’è una persona che… che forse può aiutarti. Te la volevo presentare.»

Fusco non mostrò alcun interesse. «Non mi serve l’aiuto di nessuno. Volevo il tuo, e guarda che ho ottenuto… Grazie lo stesso, ma adesso ho fretta.»

La voce di Sara risuonò alle sue spalle:

«Invece dovrebbe rimanere, vicecommissario Angelo Fusco. Mi dia retta, è la scelta migliore».

L’uomo si voltò lento e fissò la donna. Sara si rese conto che era più giovane dell’età che mostrava a causa della malattia. Sull’epidermide spiccavano delle chiazze, e le rughe che segnavano il volto erano profonde, ma dovute più alla disidratazione che all’avanzare degli anni.

«E lei chi sarebbe, scusi?» domandò Angelo.

Pardo intervenne:

«È la persona che volevo presentarti, Fusco. Se ti fermi cinque minuti, ti assicuro che ne varrà la pena. Per favore».

L’uomo sembrava più attratto da Sara che convinto da Pardo. A differenza dello sguardo sfuggente con cui si rendeva quasi invisibile, questa volta la donna teneva gli occhi magnetici in quelli dell’ex poliziotto. Non poteva permettere che se ne andasse. Almeno, non prima di averle dato un indizio per capire chi era stato davvero Antonino Lombardo, e i motivi della reticenza di Massimiliano, all’epoca, e di Andrea, adesso, su di lui.

Pardo aveva sperimentato la forza degli occhi di Sara, che la donna teneva quasi sempre rivolti a terra o verso un punto imprecisato. Erano azzurri e penetranti, e riuscivano per qualche strana magia a mettere gli altri di fronte al proprio lato oscuro. Erano bellissimi e tremendi, e lei era molto abile a risultare anonima pur essendo in possesso di uno sguardo così.

Fusco pose fine all’esitazione e si sedette. La diffidenza e il fastidio avevano lasciato spazio a un certo disagio. «Quindi lei chi sarebbe?»

La donna si accomodò a sua volta. «Sono un’amica di Davide» rispose, «mi chiamo Sara, e avrei bisogno di conoscere alcuni particolari del passato di Antonino Lombardo. Se mi spiega il motivo per cui ritiene che il defunto fosse in possesso di notizie importanti, penso che potremmo venirci incontro.»

Angelo aveva ascoltato senza scomporsi, solo il guizzo di un muscolo della mascella tradiva la tensione. «Signora» disse dopo qualche istante di silenzio, «Lombardo è morto, e quello che sapeva se l’è portato nella tomba. Potrei azzardare delle ipotesi, ma questa conversazione è durata anche troppo.»

Sara replicò con perfetta calma:

«D’accordo, vada pure. E torni a cercare da solo quello che non è stato capace di trovare finora. Preferisce morire mentre chi deve pagare continuerà a farla franca?».

L’uomo aprì la bocca e socchiuse le palpebre per lo stupore, poi recuperò il controllo e ribatté gelido:

«Lei non può neanche immaginare quello che ho perso. Cosa ne sa di chi dovrebbe pagare?».

Pardo, che avrebbe voluto essere ovunque piuttosto che lì, scosse il capo come a dire che se lo aspettava.

Sara si sporse in avanti. «Potrei fingere di essere bene informata sul suo conto, e le garantisco che ci metterei un minuto a convincerla. Invece mi limito a una semplice deduzione: lei è malato, eppure ha una determinazione incrollabile, e l’esperienza mi insegna che l’unica forza capace di giustificare una tenacia simile è la vendetta.»

Fusco tacque, osservando Sara con un’espressione indecifrabile. Davide giocherellava col cucchiaino del caffè per darsi un tono. I turisti anglofoni continuavano a ripetere «Wonderful», il naso all’insù, rivolto verso gli stucchi e gli affreschi che adornavano la sala.

Alla fine l’uomo mormorò:

«No, non è la vendetta. Sognavo di essere un poliziotto e lo sono stato per tutta la vita. Un poliziotto, signora, non vuole vendetta, pretende solo giustizia».

Davide annuì convinto. «Ah, questo è certo, Fusco.»

Angelo lo fulminò con lo sguardo. «Tu sei lo schifo della categoria, Pardo. Non metterti in mezzo.»

L’ispettore ammutolì, offesissimo.

Sara intervenne:

«Per ora non aggiungo altro nel suo stesso interesse, ma sono stata anch’io un poliziotto. Si fidi di me».

I tre smisero di parlare, mentre intorno a loro si accavallavano rumorosi apprezzamenti sulla bontà delle sfogliatelle e sulla raffinatezza degli acquerelli.

Poi Fusco si rivolse a Davide:

«Ti ritengo responsabile, Pardo. Non dimenticarlo».

L’ispettore allargò le braccia:

«E figurati se non ero responsabile».

L’ex poliziotto tornò a guardare Sara negli occhi. «Il 14 maggio 1990 una ragazza di vent’anni, che lavorava in una libreria antiquaria in città, è uscita dal negozio e non è mai tornata a casa. Si chiamava Ada ed era mia sorella.»