Pardo scosse la testa con una smorfia di disgusto. «Filippone, il vecchio capo dell’Ufficio Fantasmi. E chi se lo scorda quello. Lui sì che era una bella merda.»
Fusco annuì. Il nome con cui in gergo i poliziotti si riferivano alla sezione persone scomparse gli era tristemente noto, e doveva convenire che il ricordo di quel grigio funzionario, attento soprattutto a non mettersi nei guai, era tra i peggiori che conservasse. «Si preoccupò che il mio superiore di allora, un questore importante, credesse che si era preso a cuore il caso di Ada. In realtà se ne fotteva alla grande.»
Sara, fino a quel momento concentratissima sul racconto, chiese:
«Ma lei continuò a indagare per conto suo vero? Non tornò a Roma ad aspettare notizie da quell’idiota?».
All’improvviso Angelo sorrise e sembrò ringiovanire di una decina d’anni. «Hai detto che eri anche tu una collega, no? E allora dobbiamo darci del tu. Il lei non va bene tra gente che ha condiviso questo stesso schifo di mestiere. Ti pare?»
Sara ricambiò il sorriso e assentì. Un po’ alla volta, la corazza di quell’uomo si stava sgretolando.
Angelo riprese:
«Hai ragione, non rimasi a guardare. Quel giorno stesso rientrai al paese, per parlare con i miei. Nella sua arrogante strafottenza, Filippone mi aveva suggerito un’idea. Forse Ada, senza volerlo, aveva rivelato a nostra madre un dettaglio all’apparenza insignificante, che invece poteva rivelarsi decisivo».
Pardo domandò:
«Ed era così?».
Fusco bevve un sorso d’acqua. C’erano momenti in cui sembrava assente. Sara immaginò che fosse per la malattia, o per il dolore che gli procurava quella storia. «Ada e io non avevamo lo stesso cognome, e tra di noi c’era una differenza di dodici anni, perché eravamo figli di padri diversi. Il mio è morto quando ero molto piccolo, e sono cresciuto col secondo marito di mamma. Era un uomo meraviglioso, sensibile e dolce, che ha sempre trattato alla pari me e Ada. Si chiamava Femia, Arnaldo Femia.»
«Ecco perché nessuno ha mai collegato te a tua sorella» commentò Pardo.
«Esatto. Non l’ho mai reso noto in modo da investigare senza che trapelasse l’ossessione per una vicenda familiare. Temevo anche che qualcuno potesse ostacolarmi.»
Sara chiese:
«E con i tuoi come andò?».
L’uomo scrollò le spalle:
«Fu un buco nell’acqua. Non c’erano stati litigi e nemmeno discussioni. Arnaldo e mia madre erano divorati dall’angoscia, e lo ero anch’io. Conoscevamo Ada e sapevamo benissimo che non si sarebbe mai allontanata senza avvisarci. Obbligai mia madre a ripetermi per ore il contenuto delle ultime telefonate: volevo capire se le aveva confidato qualche paura o preoccupazione, se aveva avuto degli screzi con qualcuno, magari con una compagna di studi, un assistente, un professore, o se c’erano stati problemi al negozio».
Pardo lo anticipò:
«Ma non saltò fuori niente».
«Nulla, buio completo. Addirittura mia madre mi disse che un paio di settimane prima aveva esortato Ada a divertirsi un po’, a non concentrarsi sempre sullo studio e sul lavoro, ma lei le aveva risposto che era troppo impegnata, che la sera era distrutta e neppure ci pensava a divertirsi.»
L’ispettore domandò:
«E con le coinquiline?».
Angelo sbuffò. «Ognuna stava per conto suo, c’era pochissima confidenza. In più le altre bisticciavano sempre, e lei non voleva mettersi in mezzo. Caddero dalle nuvole, quando le cercai per avere notizie: nemmeno se n’erano accorte che Ada non c’era.»
Davide sbottò:
«Ma non è che una ragazza di vent’anni si dilegua nel nulla dalla sera alla mattina, accidenti! Com’è possibile?».
Sara intervenne:
«C’era il motociclista, però».
Fusco sorrise, triste. «Sì, e io mi appigliai all’unico indizio di cui disponevo. Ma andarla a cercare in libreria il giorno dopo la sparizione non era un comportamento che collimava con il profilo di un rapitore.»
La donna socchiuse gli occhi con aria assorta. «Be’, la gente è imprevedibile, forse voleva allontanare i sospetti. Oppure sincerarsi che nessuno l’avesse visto con Ada.» Studiando l’espressione di Fusco, i movimenti delle mani e la postura, aveva già intuito quello che era accaduto. Ma aveva capito anche che l’uomo aveva bisogno di rievocare ogni singolo evento, senza omettere niente, per quanto doloroso fosse.
«Già, però a me servivano conferme. Perciò tornai dalla padrona del negozio che, nonostante fosse un po’ svampita, aveva un’ottima memoria, e la pregai di indicarmi da che parte era arrivato il motociclista e da quale se n’era andato. Poi mi armai di pazienza e cominciai a interrogare commercianti, benzinai, edicolanti. Tracciai un segno su una cartina della città, con al centro la libreria, e mi mossi a raggiera.»
Pardo sospirò. «Un ago in un pagliaio, è un quartiere enorme, popolatissimo. Avrai dovuto sentire un sacco di persone…»
Angelo annuì. «Sono un poliziotto, e Ada era mia sorella. Al telefono, mi sforzavo di consolare i miei, che erano sempre più disperati. Intanto continuavo a setacciare la zona. E alla fine un fioraio, titolare di un chiosco vicino alla fermata dell’autobus che Ada prendeva per rincasare dopo la chiusura del negozio, mi diede l’informazione giusta.»
«Cioè?» chiese Pardo.
Fusco continuò con voce piatta:
«Mi riferì che la sera in cui Ada era sparita, aveva notato una ragazza discutere con un tipo in moto. Gli era sembrato che i toni fossero un po’ concitati, era stato quello ad attirare la sua attenzione. Poi era entrata una cliente, lui l’aveva servita, e quando era uscito di nuovo per fumare, i due non c’erano più».
Ancora una volta Sara lo precedette:
«Ma non ti ha detto solo questo».
«Già, c’era dell’altro. Era un appassionato di motori, uno di quelli che comprano riviste specializzate, quindi quella Ducati, una Paso 907, lo aveva colpito eccome. Era uno splendore, ai tempi, non potevano essere in molti a girare con un bolide così.»
«Bingo» sussurrò Pardo.
Fusco annuì. «Sì. Lo avevo trovato.»