XX

Quando Fusco tacque, Pardo lanciò un’occhiata a Sara: la donna non aveva mai distolto lo sguardo dall’ex poliziotto, studiando di volta in volta il viso, le mani, le spalle e le gambe.

L’ispettore era affascinato dal modo con cui lei ascoltava: era come se a parlarle fosse tutto il corpo dell’interlocutore, non solo la voce. Davide chiese ad Angelo:

«E avevi ragione? Il ragazzo non c’entrava?».

Al posto di Fusco, rispose Sara:

«Non può saperlo perché il caso non è mai stato risolto».

Angelo bevve un altro sorso d’acqua, fissando il vuoto davanti a sé. «Sono passati molti anni. Credo di aver onorato il mio mestiere, mi sono trovato in tante situazioni senza tirarmi indietro. Ho visto criminali di ogni tipo: pedofili, stupratori, assassini. Ma non ho mai desiderato così tanto di premere il grilletto come quella notte, per strada. Mai.» Si voltò verso Sara:

«Ero molto stanco, anche se di una stanchezza diversa da quella di adesso, che sto per morire: ma non dormivo da troppi giorni, e quell’idiota era la mia ultima possibilità. L’ultima. O se l’era portata via lui, o era stato testimone di un rapimento e nemmeno se n’era accorto. In quel momento mi sembrava l’uomo più colpevole del mondo, avevo la pistola d’ordinanza in mano e stavo per usarla».

Sara annuì. «Ti capisco, Fusco. Sei stato molto in gamba a non sparare.»

Angelo corrugò la fronte:

«Sai, quando leggo che vorrebbero dare le armi a tutti, come in America, mi tornano in mente quegli attimi. Dopo tanto tempo, li ho ancora impressi in testa come fosse ieri. E sono convinto che se uno ha un’arma, prima o poi la usa. Sugli altri, o su se stesso».

I turisti si alzarono dai tavolini vociando e seguendo la guida. Uscirono, e sotto gli affreschi della grande sala ci fu un attimo di improvviso e confortevole silenzio.

Pardo domandò:

«Poi che successe? Chi c’era in quella macchina?».

Angelo scosse il capo. «Insistetti ancora con Filippone, riferii dell’uomo nella macchina scura che aveva avvicinato Ada, omettendo come lo avevo scoperto. Credo che cominciarono a cercarla più che altro per liberarsi del mio assillo. Prima diramarono la foto, poi iniziarono a chiedere in giro. Si mossero secondo la procedura, che nel caso di mia sorella serviva a poco: setacciarono gli ambienti dello spaccio, della prostituzione e della criminalità organizzata, perché qua, pure se piove, è colpa dei clan. Io però ero certo che quella fosse la pista sbagliata.»

Davide aggrottò la fronte. «E perché eri così certo?»

«Io a mia sorella la conoscevo benissimo, meglio di chiunque altro. Ero un ragazzino quando è nata, e me la sono cresciuta io. Era fin troppo responsabile, Ada. Mai un colpo di testa. L’avevo sentita poco prima che sparisse, eravamo stati un’ora al telefono, mi raccontava tutto, pure gli esami che preparava. Era impossibile che nascondesse un segreto di cui io e i miei eravamo all’oscuro.»

Sara commentò, come se prevedesse ciò che Fusco stava per dire:

«E non saltò fuori niente, infatti».

«Niente di niente. Il mio patrigno si ammalò quasi subito. Secondo i medici doveva avercelo da prima, ma io sono sicuro al cento per cento che il cancro gli venne per la scomparsa di Ada. Se ne andò in quattro mesi, nemmeno il tempo di finire la cura. Per carità, le terapie non erano come adesso. All’epoca io sarei già morto da quasi un anno.» Parlò con serenità, come se fosse una semplice constatazione.

Pardo rabbrividì. «Sì, ma la macchina? Non trovasti qualche altro testimone? Avevi beccato la motocicletta, non potevi risalire anche all’auto?»

Fusco rise, e la risata sembrò un lamento. «Figurati. Nessuna targa o altri particolari utili. Bruni a stento ricordava la marca. Ammesso che non se la fosse sognata, era impossibile individuare la vettura. Le tracce di Ada finivano là.»

«Ma tu non mollasti» mormorò Sara.

«Andai a Roma, spiegai la faccenda al mio diretto superiore. Lui fu comprensivo, era una brava persona. Ottenni il trasferimento provvisorio qui in città, poi diventò definitivo. Non riuscivo a stare lontano. Dovevo almeno provarci.»

Pardo sbottò. «Ma è incredibile che una svanisca nel nulla, cazzarola! Sarà pure emerso un indizio, uno straccio di prova.»

Sara si girò verso di lui. Aveva negli occhi un dolore tangibile. «L’hanno trovata. Non hai ancora capito?» Riportò lo sguardo su Fusco, parlando come se l’uomo non fosse lì ad ascoltarla:

«Le spalle. Le mani. L’espressione del volto, la sequenza delle frasi. I dettagli che emergono dalla memoria, e quelli che vengono tralasciati. Il ricordo dei sentimenti e delle sensazioni più che degli eventi. È evidente: Ada è morta».

Angelo si rivolse alla donna:

«Quindi era di questo che ti occupavi: sei un’analista dei segni, lo avevo immaginato». Poi disse a Pardo, con tono piatto:

«L’hanno trovata sei mesi dopo, sul greto di un fiumiciattolo a una trentina di chilometri dalla città. Non a sud, verso il paese, ma a nord, dove Ada non aveva alcun motivo di essere. Le avevano sfondato il cranio con due colpi alla nuca. Secondo il medico legale era morta sul colpo, probabilmente la sera stessa in cui era scomparsa. Per quello che si poteva desumere dalle condizioni dei resti, l’autopsia escluse violenza sessuale». Si interruppe fissando il vuoto per qualche istante, poi continuò:

«Il corpo era stato martoriato dalle bestie. Cani, topi, di tutto. Pensai che Arnaldo era stato più fortunato di me e mia madre. Se non fosse stato per la collanina del battesimo e i brandelli di un giubbotto che le avevo regalato, nessuno avrebbe potuto identificare quell’ammasso di ossa». Alzò la testa. «Era bella, sapete? Aveva una risata contagiosa.»

Pardo sembrava sconvolto:

«E quindi chi era stato?».

Fusco si strinse nelle spalle, un gesto triste e sconsolato che tradiva il senso della sconfitta. «Non era stato nessuno. Iscrissero Bruni nel registro degli indagati, ma a suo carico non c’era niente, e l’avvocato scelto dal paparino era uno dei migliori del Paese. Così la sua posizione fu archiviata. Non emerse altro, la Scientifica non reperì nulla di significativo. Dopo un po’ i giornali smisero di interessarsi alla vicenda e l’inchiesta si fermò. Un caso irrisolto. Ce ne sono una marea. Quanto mi diverto, quando sostengono che non esiste il delitto perfetto: io ne ho visti a centinaia, di delitti perfetti» concluse amaro.

«Ma non ti sei rassegnato neanche allora» intervenne Sara, «neanche quando fu chiaro che nessuno sarebbe mai stato condannato.»

«Sì, non mi sono mai arreso, però non è vero che nessuno è stato condannato. Sono io l’unico condannato all’ergastolo per l’omicidio di mia sorella, perché ho vissuto immerso in questa tragedia ogni singolo giorno, rinunciando ad avere una famiglia e coltivando solo la mia ossessione, peggio che in galera. Mia madre e Arnaldo, invece, li hanno condannati a morte. Lei non pronunciò più una parola dal momento in cui rinvennero il cadavere. Si spense dopo tre anni di silenzio, senza un lamento.»

Pardo si coprì la faccia con le mani. «Adesso mi rendo conto, amico mio. Perdonami.»

Fusco ebbe pena di lui, e gli strinse un braccio:

«Non potevi saperlo. Scusami, sono stato ingiusto. Ma quando l’ex compagno di cella di Lombardo mi ha contattato perché lui voleva incontrarmi, mi sono illuso di avere un’ultima speranza prima di morire. Invece, si vede che era destino».

«Non è ancora finita, Fusco» mormorò Sara. «Rimani sempre reperibile. È tempo di andare a fondo in questa storia.»