Vuoi sapere perché ti ho portata qui, amore? Be’, ripeti sempre che non abbiamo una nostra canzone, un album con le foto dei viaggi, amici coi quali uscire la sera, andare al cinema e parlare del film davanti a una pizza. E hai ragione, è proprio così. Lo conosci il motivo, ma vuoi sentirmi dire che abbiamo una vita diversa da quella degli altri. Noi non possiamo separare il lavoro dal tempo libero. Il nostro è un mestiere che proietta la sua ombra sul resto della giornata, comporta una riservatezza ossessiva e asfissiante, ci impedisce persino di tornare dove siamo stati felici, per paura di essere ricordati.
Allora io mi sono messo a riflettere, e ho trovato questo posto. Non è un luogo da cartolina, uno di quelli col panorama mozzafiato, i ristorantini tipici e l’artigianato locale. Se ti sporgi, però, là in fondo c’è uno spicchio azzurro di mare, e siccome di qua passa la gente che va di fretta, se ti fermi accanto a me, ci trasformiamo in un elemento del paesaggio urbano, e nessuno ci nota. Guarda, quelli nelle auto che salgono non possono vederci e quelli che scendono, se anche si accorgessero di noi, scorgerebbero solo due sagome di spalle. È un posto strano, d’accordo. Non ci siamo nemmeno mai stati, ma è proprio bello, secondo me. Ti va che diventi il nostro posto, amore? Se ti bacio proprio qui, all’aperto e in pieno giorno, non lo dimenticherai più, vero?
Allora vieni, mio unico e immenso amore. Vieni, e lasciati baciare il sorriso.
La luce giallastra del lampione era fioca, ma creava un’atmosfera romantica e cullava i ricordi.
Quasi senza rendersene conto, Sara raggiunse la piazzola all’incrocio tra due strade di passaggio, al termine di una lunga camminata durante la quale aveva inseguito i suoi pensieri. Non ci era tornata spesso, da quando era stata felice. Era convinta che, per sentire Massimiliano vicino, non le servissero i luoghi che custodivano un significato particolare: la voce, gli occhi, le mani dell’uomo che amava erano presenti e tangibili come se lui ci fosse ancora. Di certo molto più che nell’ultimo, interminabile stadio della malattia, quando restava ore a guardarlo combattere nel sonno contro la morte, ridotto al fantasma di se stesso.
Quella sera, però, dopo aver concordato i ruoli di ognuno nell’indagine su Antonino Lombardo ed essere uscita da casa di Viola, si era ritrovata proprio là, in quel lembo d’asfalto che avevano scelto, anche se non rappresentava niente per loro. Eppure, per qualche incomprensibile motivo, la piazzola a forma di triangolo irregolare, poco più di una rientranza tra due palazzi, con un vecchio muretto di contenimento che fungeva da balaustra per quell’inconsueto belvedere da cui si scorgeva il mare giù in basso, si era trasformato proprio in ciò che Massimiliano voleva: nel loro posto.
Lì non si fermava mai nessuno, e i passanti erano rari: solo qualche abitante dei dintorni, che portava fuori il cane. Così se ne stavano in silenzio a fissare il frammento di azzurro, sfiorandosi la mano o il più delle volte senza neanche toccarsi, godendo l’uno della presenza dell’altra a pochi centimetri, percependone il respiro o catturando un pigro movimento ai bordi del campo visivo, la mente persa dietro un passato da dimenticare o un futuro da temere, ma confortati da un presente comunque felice.
Amore, pensò Sara. Amore mio, stasera sei qui, perché lo avverti, lo hai sempre avvertito quando divento vulnerabile. Quando ho bisogno di essere rassicurata.
Ascoltami, Sara. Tu sei forte, molto più di me o di chiunque altro. E quest’energia che ti scorre dentro è una perfetta sintesi di coraggio e dolcezza: per questo sei libera e indipendente. Anche se la forza e la sensibilità si misurano con metri diversi, solo gli stupidi confondono la prima con la durezza e scambiano la seconda per un punto debole. Tu sei l’esempio di come si possa essere determinati e teneri al tempo stesso. Ti prego, però, non pretendere troppo da te. Non credere mai di aver visto tutto e che nulla possa scalfirti. Non considerare la tua pelle una corazza: non lo è. Stai attenta. Ho paura che senza di me non avrai abbastanza cura del mio grande, dolcissimo amore.
Davanti a lei il pendio digradava verso il mare. Alle sue spalle si snodavano le due arterie che avrebbero dovuto garantire il collegamento col centro, perennemente congestionate. La città combatteva con la condanna irredimibile del traffico, un peso che non era in grado di scrollarsi di dosso e con cui conviveva come altrove ci si adattava alle intemperie del più rigido inverno.
Per buona parte della giornata, la piazzola era avvolta dall’incessante scorrere delle lamiere che saturava ogni spazio. Nell’aria si diffondevano i gas di scarico mentre si gonfiava il flusso del metallo in movimento.
Sara si appoggiò al muretto. Era buio, ma giù in basso, da qualche parte, c’era il mare. Bastava non dimenticarlo.
«Ho bisogno di te» bisbigliò. Non c’era nessuno, ma non voleva sembrare una donna disperata che parla da sola nel cuore della notte.
Ho bisogno di capire chi era Antonino Lombardo, e perché quel giorno eravate insieme vicino all’ufficio, come se tu fossi un normale contabile o un funzionario di banca.
Lombardo lo sapeva che eri il capo di un’unità segreta che vegliava sulla sicurezza nazionale? Era al corrente che intercettavamo esponenti politici, vertici industriali, capi della criminalità organizzata? E se era informato sulle nostre attività, per quale motivo l’anonimo cancelliere di un tribunale, che poi sarebbe diventato un ladro e un corrotto, finendo in galera e morendo da detenuto, era lì a conferire con te?
Non l’ho scordata l’angoscia nei tuoi occhi, Massi. Io interpreto ogni sguardo, ogni contrazione del viso, ogni impercettibile movimento delle dita. Stavi provando inquietudine, paura: ma c’era anche altro.
Eri partecipe dei problemi di quell’individuo anonimo. Avevi stabilito un contatto emotivo con lui. Non eravamo ancora una coppia, allora: tu eri il mio capo. E persino con Bionda non rinvangammo più quel tuo incontro. Non avevo confidenza con te, non potevo pretendere chiarimenti. Poi l’ho dimenticato. Forse l’ho rimosso.
Non ricordo se quel pomeriggio rimanesti preda dell’ansia. Non ricordo se ti chiudesti nel tuo ufficio, per non permettere che noi studiassimo il tuo volto, che io intuissi ciò che si agitava dentro di te. Aspettavo la fine del turno per tornare dal mio bambino, che non ebbi scrupoli ad abbandonare quando decisi che amavo te, e che solo te avrei amato per il resto della vita.
Le emozioni sui visi degli altri, per me, sono come fotografie, e quella pena non ha più offuscato il tuo volto. Antonino Lombardo non è più tornato nella tua vita e non è mai entrato nella nostra.
Amore mio, spiegamelo, qui e ora, nel nostro posto: com’è possibile che fossi tanto turbato da un uomo che non hai più visto?
Un clacson strombazzò, e Sara ebbe un sobbalzo.
No, non poteva fermarsi. Non poteva lasciare che la memoria del suo compagno, quel legame, intatto, che la sosteneva ogni giorno fosse incrinato da un segreto.
Nell’archivio mancava il dossier. Andrea, che sapeva tutto, aveva scelto di tacere. E Fusco non aveva mai smesso di lottare perché sua sorella avesse giustizia, neanche adesso che era malato.
L’istinto la spingeva a collegare questi elementi, che finivano per fondersi in unico grande quesito.
Lombardo aveva incontrato Massimiliano, e i toni del loro confronto erano stati concitati.
Lombardo aveva mandato a chiamare Fusco.
Lombardo era deceduto portando con sé quello che aveva da dire.
Tutte le strade conducevano ad Antonino Lombardo detto Nino: doveva scoprire il motivo, per scacciare l’ombra che si allungava sul passato di Massimiliano.
Per riuscirci, però, avrebbe dovuto frugare nel proprio passato. Era difficile, e molto pericoloso.
Con un sospiro, Sara salutò il suo amore e tornò verso casa.