XXIII

Pardo si interrogava su come funzionasse la pensione per i preti. Ne avevano diritto? E in che modo si regolavano con i contributi? Se invece non era previsto alcun vitalizio, quand’è che smettevano di lavorare? Continuavano a celebrare messa anche da rincoglioniti? E chi glielo imponeva? Queste domande nascevano dall’irritazione di aver dovuto rinunciare a un paio d’ore di sonno dopo la telefonata della sera prima a padre Gerardo Rasulo.

Si era sentito molto toccato, persino commosso, dalla partecipazione con cui Sara e Viola (quest’ultima un po’ meno, in verità) avevano condiviso il suo desiderio di aiutare il povero Fusco, e così non aveva indugiato.

Nonostante fosse tardi, padre Rasulo aveva risposto subito. Aveva la voce angelica di sempre, pareva provenire da uno dei cieli più alti del paradiso.

Davide si era scusato del troppo tempo passato dall’ultima volta che si erano parlati eccetera, si era informato sulla salute del prete eccetera, lo aveva rassicurato che la sua vita procedeva tranquilla eccetera. Poi gli aveva chiesto un incontro, e l’altro aveva risposto che non c’erano problemi e che potevano vedersi l’indomani mattina alle sette al bar di fronte all’ingresso principale del penitenziario.

«Alle sette» aveva ripetuto Pardo, trattenendo a fatica un’imprecazione.

Aveva pensato che per trovarsi lì all’ora convenuta si sarebbe dovuto muovere alle sei. Che per muoversi alle sei con la ragionevole garanzia di non ritrovare a metà giornata l’appartamento trasformato in una discarica a causa delle deiezioni industriali di Boris, avrebbe dovuto portarlo fuori alle cinque e mezzo. Che per portare fuori il Bovaro alle cinque e mezzo, ammesso e non concesso che la belva accettasse di uscire così presto, avrebbe dovuto svegliarsi alle cinque – lui, che per essere di umore come minimo accettabile doveva dormire almeno sette ore.

Era quindi un Pardo poco contemplativo e per nulla incline a speculare sui massimi sistemi quello che, poco dopo l’alba, attendeva un prete davanti alla saracinesca appena alzata del caffè, attirandosi le occhiate sospettose di un barista extracomunitario che disponeva alcuni tavolini all’esterno. Per rispondere a quegli sguardi, l’ispettore fu sul punto di qualificarsi e pretendere la relativa licenza che autorizzava l’occupazione di suolo pubblico, ma proprio in quel momento notò in fondo alla strada padre Rasulo che trotterellava con la sua tipica andatura.

Il sacerdote apparteneva a un qualche ordine che, a quanto Pardo aveva capito prima di spegnere il cervello per sopravvivere agli sproloqui ecumenici del prete, era fondato su una regola formulata da san Francesco: si trattava di una regola molto importante, perché padre Rasulo ne parlava alzando gli occhi al cielo, disponendo le mani all’altezza delle spalle, coi palmi rinvolti all’insù, e un’aria estatica che lo rendeva identico a un’immaginetta votiva di quelle che distribuivano al catechismo.

Aveva un’età che secondo Pardo si poteva desumere solo applicando la datazione al carbonio, eppure conservava un’energia e una dedizione davvero ammirabili e in qualche modo commoventi. Pur avendo una consolidata frequentazione, lunga almeno sessant’anni, con criminali della peggiore risma, il tono flautato della voce, gli occhi azzurri, appena velati, i capelli candidi e fluttuanti conferivano all’uomo di Chiesa un’aura di santità, neanche fosse in perenne contatto con Dio, magari attraverso l’apparecchio acustico con cui compensava la sopravvenuta sordità, un acciacco che sembrava collocarlo dentro una bolla e renderlo immune ai mali del mondo.

Si avvicinò a Pardo sorridendo come di fronte a un’apparizione celeste:

«Pace e bene, caro Davide! Pace e bene! Che gioia, rivederti. Temevo che il Signore, nella Sua infinita saggezza e secondo il Suo imperscrutabile disegno, mi avrebbe richiamato a Sé da questa Terra prima di poterti riabbracciare. Per fortuna non è stato così, ma sia fatta comunque la Sua volontà». Si esprimeva con una singolare cadenza che permetteva quasi di distinguere con chiarezza le iniziali maiuscole delle parole su cui calcava con enfasi. L’effetto era amplificato da un piccolo saltello sulle punte dei piedi, accompagnato da un fugace ammiccamento rivolto al cielo.

Pardo pensava che il sacerdote avrebbe dovuto brevettare i modi di quella comunicazione così teatrale. «Salve, padre. Anche per me è un vero piacere, mi perdoni se sono scomparso, ma sa, è una vitaccia…»

Il prete assunse un’aria costernata.

«Immagino, immagino. Il lavoro, eh? Anche se mi risulta che tu sia stato messo un po’ in disparte, di recente. O la famiglia? Ah, no, tu sei scapolo. Gli amici, allora? Ma… se ricordo bene…»

Pardo, che non accettava di assistere all’impietosa autopsia della sua esistenza, eseguita all’alba e su un marciapiede davanti al carcere, tagliò corto:

«Vabbè, padre, tra un impiccio e l’altro, grazie a dio alla fine ci siamo ritrovati. Posso offrirle un caffè?».

Il prete, con una leggiadra piroetta e uno svolazzare di tunica, si era già fiondato all’interno del locale e aveva indicato un cornetto e una sfogliatella, pregando peraltro il diffidente barista extracomunitario di incartargli due pizzette e un panino. «Scusami, Davide, ma oggi devo organizzarmi per pranzo. Ho un paio di colloqui, le confessioni e la messa. Avrai il merito di aver nutrito un prete nell’esercizio delle sue funzioni. Il Signore, nella Sua onniscienza e con la Sua infinita grazia, ti ricompenserà a tempo debito.»

Pardo sospirò, chiedendo di aggiungere due caffè al conto e colse una luce maligna negli occhi dell’uomo dietro al bancone mentre, serafico, recitava con accento nordafricano l’esorbitante cifra da pagare. Davide si convinse che doveva sforzarsi di migliorare al più presto i rapporti coi baristi, e per l’appunto disse:

«Lo scontrino, per cortesia».

Il prete cominciò a masticare con gusto e, sputacchiando frammenti di dolce sulla giacca dell’ispettore, domandò:

«Allora, caro Davide, a che devo l’onore di questa rimpatriata? Immagino non sia per salutare un vecchio amico, o per annunciarmi che, riflettendo sull’andamento della tua vita, hai deciso di convertirti e prendere i voti».

Pardo sospirò, scuotendo il capo. «No, padre, non per il momento. Per carità, gli estremi ci sarebbero tutti, ma non ho ancora abbracciato la fede, purtroppo. Invece, ho bisogno di qualche informazione su un detenuto che è scomparso di recente, un certo Lombardo Antonino. Lo conosceva?»

Padre Rasulo fece un’espressione addolorata, che cozzava con l’evidente soddisfazione manifestata nell’addentare il cornetto, dopo aver divorato la sfogliatella, mentre Pardo dubitava dell’adagio secondo cui gli anziani mangiano poco. «Ah, sì, Lombardo. È spirato in ospedale. Speriamo se ne sia andato in pace, senza il conforto della confessione non si può certo…»

Pardo provò a contenere il divagare dell’altro:

«Sì, padre, capisco. Ma non è per questo che sono qui. Mi interessavano i rapporti di Lombardo con i detenuti, le visite che riceveva, se le riceveva, o altri dettagli degni di nota. Voi, per esempio, eravate in confidenza?».

Il sacerdote continuò a masticare pensoso, fissando, vacuo, un punto nel nulla alla destra di Pardo. Ingoiò un boccone, bevve un sorso d’acqua, si pulì la bocca e disse:

«Davide, figlio mio, secondo te quanto durerebbe un prete o una guardia, o chiunque altro, se cominciasse a raccontare fuori da quelle mura le chiacchiere che circolano là dentro? Fermo restando che il vincolo della confessione è sacro e inviolabile. Comprendi, vero?».

Davide si aspettava quell’obiezione, e replicò senza incertezze:

«Padre, si tratta di una persona che non è più tra noi, e inoltre non sono qui in veste di poliziotto ma di amico. C’è un uomo molto malato, a cui tengo, che avrebbe dovuto ricevere una notizia da Lombardo, solo che non c’è stato il tempo. Ne ha ancora per poco, e io vorrei esaudire questo suo ultimo desiderio. L’unico modo per scoprire il contenuto di quel colloquio mancato è verificare se Lombardo ne ha parlato con qualcuno. Mi aiuti, per favore».

Il prete tacque per qualche istante. Poi rispose, abbassando la voce:

«Davide, quelli che sono reclusi dall’altra parte della strada si dividono in due categorie. I primi, ben più numerosi, trasformano la galera in un prolungamento di quello che facevano fuori. Si conoscono, si intendono tra loro, usano la stessa lingua. Non fraintendermi, è doloroso comunque, forse anche di più: il rimpianto per la libertà perduta pesa lo stesso. Ma rispettano codici che regolano i loro comportamenti. Mi segui?».

«Certo, padre, ma…»

L’altro alzò la mano. «Lasciami concludere. Poi ci sono gli altri, quelli che quando finiscono in galera perdono tutto ciò che hanno. Gente cresciuta in altri contesti, mai nemmeno sfiorata dall’idea di ritrovarsi dietro le sbarre. Sono spaesati, allo sbando. Non comunicano con nessuno e, se capita, non si sbottonano. Si sentono smarriti, privi di ogni speranza. Sono loro i più bisognosi, anche perché il mondo da cui provengono li ha abbandonati.»

Davide si agitò sulla sedia. «Certo, è naturale. Ma può succedere che nascano amicizie tra individui diversi e che magari ci si confidi. No?»

Il sacerdote sorrise. «Sì, hai ragione, si stringono belle amicizie, sbocciano persino grandi amori… quante ne ho viste in tanti anni, nemmeno ci crederesti! Per quello che ne so, Nino Lombardo non aveva legami. Se ne stava per conto suo, e nonostante provassi ad avvicinarlo, non si apriva neanche con me. Quindi se ha contattato il tuo amico per riferirgli qualcosa, be’, questo qualcosa ormai lo sa solo il Signore. Fidati.»

Pardo sospirò. «Ma non veniva a trovarlo nessuno? Chessò, un familiare, un conoscente? Possibile che fosse tanto solo?»

Lo sguardo del prete si riempì di una malinconia che strinse il cuore del poliziotto. «Sono moltissimi quelli che non ricevono visite. Né regali né posta. Niente di niente. Anzi, è la maggior parte. Però, ora che ci rifletto, una volta, in ospedale, ho incrociato un ragazzo che andava da Lombardo. Non l’ho scordato perché entrava proprio mentre io uscivo. Avevo provato a vedere se Nino voleva confessarsi, ma lui si era rifiutato con la solita cortesia: “Grazie, padre, ma no, non mi interessa”. Peccato, anche gli atei più rigidi alla fine si ravvedono. Massì, che mi costa? pensano. Magari è vero, e con due chiacchiere, che sono anche liberatorie, mi guadagno un posto in paradiso. Ma non importa, per me anche un pentimento tardivo può…»

Pardo cercò di arginare la verbosità dell’anziano prete, stando attento a non risultare scortese:

«D’accordo, padre, Lombardo era irredimibile. Però qualcuno che veniva a visitarlo c’era. Ricorda altro di questo ragazzo?».

«Davide, io sono vecchio, sì, ma non rimbambito. Non è trascorso neanche un mese, come potrei dimenticarlo? Era un giovane dai ricci scuri. Doveva essere un parente; anche se la malattia aveva segnato Nino, la somiglianza tra i due si notava ancora. Però aveva un cognome diverso… Aspetta… Piscopo, sì. Il cognome del ragazzo era Piscopo. Mi è rimasto impresso perché era lo stesso di un mio confratello che l’Onnipotente ha voluto accanto a sé tanti anni fa.»

Pardo sorrise. «Grazie, padre. Perlomeno, è una traccia. Se le dovesse venire in mente altro, potrebbe telefonarmi, per cortesia? È molto importante.»

Il sacerdote si alzò e disse:

«Certo, figlio mio. Ah, ora che ci penso, però, è probabile che non riuscirò a liberarmi nemmeno per l’ora di cena. Ti dispiace se approfitto della tua cortesia e prendo un altro paio di queste invitanti pizzette?».

Da dietro il bancone, il nordafricano si rivolse a Pardo:

«Noi lo facciamo sempre lo scontrino».