XXVII

Pardo aveva scelto di restare sul vago in merito ai suoi agganci con la Penitenziaria. “Posso provare con qualche collega” era, in effetti, una frase generica che nascondeva altro: cioè che Davide disponeva di un ottimo contatto, ma che sentirlo gli costava tanta, troppa fatica. Perché, a essere sinceri, la coscienza gli rimordeva senza concedergli tregua.

Quando Fusco lo aveva pregato di intercedere con padre Rasulo per incontrare Lombardo, la sua mente aveva scartato all’istante la possibilità di rivolgersi a un tramite più diretto per ottenere un colloquio col detenuto: se gli seccava chiamare il prete, figuriamoci quest’altra persona. Era una mortificazione a cui non voleva sottoporsi, perciò aveva taciuto con Angelo, e glissato con Sara e Viola.

Ora però, come aveva ammesso nel ringraziarle, era commosso dal modo con cui le amiche si stavano adoperando, anima e corpo, per aiutare Fusco. Lo interpretava come un segno di affetto e considerazione nei suoi riguardi, afflitto dal senso di colpa per non aver compreso quanto fosse urgente, e importante, la richiesta dell’ex superiore. Non poteva neppure sospettare quanto quella vicenda toccasse Sara da vicino.

Dunque, il rovello di Pardo era il seguente: è lecito da parte mia non utilizzare una risorsa solo per amor proprio, dopo che Morozzi ha addirittura scomodato i vecchi colleghi e Viola sta trascurando il bambino con la febbre per indagare su Lombardo? No, si rispose per zittire quella fastidiosa voce interiore. Non è giusto.

La storia era questa.

Nella sequenza ininterrotta di relazioni fallimentari che caratterizzava la vita sentimentale di Pardo, il ruolo da protagonista era ricoperto senza dubbio da Arianna Spaziani. Era una bella bruna, allegra ed energica, con la quale più che con ogni altra aveva coltivato il sogno di mettere su famiglia, avere un numero imprecisato ma comunque significativo di figli, realizzare la sua vocazione a essere padre e marito. Erano stati insieme quattro anni e mezzo, e negli ultimi mesi di convivenza l’ispettore si era illuso di essere ancora l’unico uomo per lei. Convinzione rivelatasi, alla luce dei fatti, un errore clamoroso.

L’incresciosa situazione era emersa, alla lettera, quando, il terzo weekend consecutivo in cui lei gli aveva comunicato con rammarico che doveva frequentare un corso di aggiornamento, un sospettosissimo Pardo l’aveva pedinata vedendola emergere, per l’appunto, dalle acque di una spiaggia della penisola per rifugiarsi tra le poderose braccia di tale Florio Augusto, istruttore di spinning, pilates e, con buone probabilità, di altre pratiche ginniche su cui, in quel momento, non aveva ritenuto di soffermarsi.

La delusione era stata cocente. Pardo aveva investito tanto in quel rapporto: prima di immergersi nella successiva relazione dagli esiti catastrofici, era passato oltre un anno, durante il quale si era avvicinato pericolosamente al baratro della depressione.

Ma che c’entrava tutto questo con l’identità del giovane che era stato da Lombardo? C’entrava eccome, perché Arianna Spaziani, il vicequestore Arianna Spaziani, per essere precisi, era il dirigente dell’amministrazione carceraria che concedeva i permessi per le visite ai detenuti.

L’ultima volta che l’ispettore aveva visto la donna, gliene aveva cantate di tutti i colori e aveva concluso l’invettiva, punteggiata di chiari riferimenti alla morale sessuale di lei e della madre – che per inciso non gli era mai stata simpatica – ingiungendole di preparare le valigie e sparire dal suo appartamento. Da allora, Davide si era limitato a registrare, con malcelata invidia, gli avanzamenti di carriera di Arianna, ma i due non si erano più incontrati. Pur di non trovarsela davanti, avrebbe rinunciato volentieri a un braccio. Ma adesso c’era questa brutta faccenda, e Sara e Viola si stavano prodigando per lui. Come poteva sottrarsi?

Davanti all’ingresso del tetro edificio, circondato da un lungo muro su cui svettavano le torrette di sorveglianza, indugiò ancora, combattuto. Poi fece un lungo sospiro e si avvicinò al gabbiotto accanto al portone.

Dovette esibire il tesserino tre volte. Quando un annoiato piantone gli chiese l’autorizzazione ad accedere per ragioni di servizio, menzionò la dottoressa Spaziani. E accennò a un appuntamento per il quale era stato convocato.

Il piantone lo squadrò dall’alto in basso, diffidente, alzò un telefono e borbottò qualche parola. Poi gli indicò una panca a ridosso di un muro scrostato.

Pardo si sedette in attesa. Non aveva mai provato tanto disagio.

Dopo due minuti, si affacciò un agente in divisa, piuttosto anziano, e lo invitò a seguirlo. Percorsero in silenzio un corridoio, salirono una rampa di scale e si fermarono davanti a una porta. La guardia bussò, aprì e disse:

«Prego, accomodatevi».

Pardo entrò, con aria esitante.

Arianna era ancora più bella di come la ricordasse, e la fitta che avvertì allo stomaco corrispondeva a un’ampia serie di brucianti sensazioni. Il rimpianto, la gelosia, l’orgoglio ferito e, più di tutto, la vergogna per come l’aveva apostrofata quando si erano lasciati. Senza alcun apparente nesso logico, la mente gli propose l’immagine del piccolo Massimiliano, a cui era legatissimo, e nel suo cuore prevalse il risentimento nei confronti di chi, più di ogni altra, lo aveva privato della gioia della paternità.

La donna, intanto, si era alzata da dietro la scrivania e stava venendo verso di lui, con un largo sorriso. Era in borghese, indossava una camicetta sotto un tailleur giacca e pantaloni. Sembrava molto in forma. Merito dell’attività in palestra, pensò rabbioso l’ispettore.

«Non posso crederci! Davide! Ma sei proprio tu? Che piacere! Vieni qui, fatti abbracciare!»

La cordialità di Arianna lo spiazzò. Si aspettava che lei lo odiasse per gli insulti che le aveva riservato, invece doveva averlo perdonato. Lo strinse in un abbraccio affettuoso, dal quale lui si divincolò in fretta; il disagio era aumentato dopo il contatto con quel corpo tonico che gli era rimasto impresso più di quanto avrebbe voluto.

«Ciao, Ari. Scusa per l’intrusione.»

«Dài, siediti! Mamma mia quanto tempo… Ma stai benissimo! Non sei invecchiato per niente! Voglio sapere tutto. Che combini? Di sicuro ti sarai sposato e avrai avuto una caterva di marmocchi, era la tua fissazione, no?»

Pardo lottò con se stesso per evitare commenti inopportuni. «No, no, niente matrimonio e niente bambini. Ho un cane, ma cambiamo argomento. E tu? Il tuo… come si chiama? Insomma, il tizio della palestra… tutto bene?»

Arianna corrugò la fronte, nello sforzo di concentrarsi. Poi si illuminò e rispose, ridendo:

«Ma chi, Augusto? Quello non è durato manco un mese, non me ne fotteva proprio. Il problema, Davide, eravamo noi due».

Pardo la fissò, perplesso:

«Noi? Che significa?».

La donna replicò, serena:

«Tu desideravi la stabilità di una famiglia. Io scalpitavo per la mia carriera, ero inquieta come se stessi in gabbia. Con Augusto non era niente di serio, poteva capitare con chiunque. Era… era soltanto una via di fuga».

L’ispettore non poté trattenersi dal domandare:

«Ah, e dopo che… che è successo? In generale, intendo, nel lavoro lo so. Anzi, complimenti per i successi professionali, hai bruciato le tappe. Senz’altro ne è valsa la pena».

La Spaziani assunse un’aria dubbiosa:

«Sei sicuro? Io non più. Per un po’ mi sono sentita realizzata. Adesso, invece… Avverto una mancanza, come se da qualche parte, dentro di me, ci fosse un vuoto. Ma ormai ho quarantadue anni, forse è tardi per scegliere un’altra strada, no?».

Pardo si maledisse per la sua incauta curiosità, ma non riuscì a tacere:

«Tu, invece? Hai qualcuno?».

Lei gli sorrise, e in quel sorriso c’era una strana luce che sulle prime Pardo non riuscì a decifrare. «Sono stata con uno, sì. Anche per parecchio. Poi è finita. Mi sembrava funzionare, era un rapporto libero che non limitava le mie aspirazioni. Ognuno aveva i suoi impegni e ci vedevamo quando ci andava. Mi godevo la mia indipendenza. Sai, dopo di te…» Mimò un cappio intorno al collo e scoppiò a ridere.

Un po’ di malavoglia, Pardo si accodò all’ilarità, allargando le braccia in un gesto di scusa.

Lei continuò:

«Era uno sposato, un superiore molto più grande di me. Alla fine la parte dell’amante ha cominciato a starmi stretta, e un paio di settimane fa l’ho mandato a cagare. Devo ammettere che nemmeno lui mi ha cercata più di tanto. È stato un sollievo per entrambi».

«Dài, Ari, sono certo che non ti meritava, sarà stato uno stronzo, una donna come te…»

«Tu sei sempre stato caro. È buffo, ti ho pensato spesso, Davide. Negli ultimi giorni anche di più.»

La notizia suscitò un imbarazzato silenzio.

Pardo boccheggiò un paio di volte, fissando la donna con un’espressione ebete. Assomigliava a un merluzzo tramortito dalle bombe di un pescatore di frodo.

Fu lei a porre fine all’incresciosa situazione, battendo le mani:

«Vabbè, bando alla malinconia. Quale vento ti ha portato tra queste tristi mura?».

L’ispettore sospirò, scuotendo il testone:

«Non un buon vento, Ari. Non un buon vento». E raccontò di Fusco, della sua malattia, dell’ossessione per la sorella assassinata. Le confessò il senso di colpa per non aver compreso l’urgenza di Angelo. Chiarì che l’unica traccia di cui disponeva per aiutarlo era rappresentata da quel Piscopo, il giovane che padre Rasulo aveva incrociato in ospedale da Lombardo. «È una questione delicata e molto personale, Arianna. Capisco bene che la mia richiesta vìola i tuoi obblighi di riservatezza, e puoi immaginare quanto mi pesi essere qui. Ma non posso permettere che Fusco muoia senza provare a scoprire chi ha ammazzato quella povera ragazza, trent’anni fa.»

La donna lo aveva ascoltato con attenzione, senza tradire emozioni. Restò in silenzio per un po’, aumentando in Pardo il disagio che non era mai diminuito da quando aveva varcato la soglia del carcere. Poi disse, con tono dolce:

«Sei sempre il solito Davide, pronto a caricarsi sulle spalle le pene del mondo». Si diresse al telefono ancheggiando. E prima di digitare un numero, aggiunse:

«Non è gratis, però. Minimo devi invitarmi a cena. E questo, ispettore, è un ordine».