XXIX

Teresa le scriveva sempre di mattina presto, usando il codice dei vecchi tempi.

Quel giorno, invece, il messaggio arrivò di sera. Era un semplice invito: “Ci sei per una pizza alle undici?”. Le uniche concessioni alla segretezza erano il numero sempre anonimo del mittente e la mancanza di riferimenti al luogo dell’appuntamento che, del resto, poteva essere soltanto uno.

Sara si mosse a piedi alle ventidue. Compì un largo giro, allungando di parecchio il percorso, deviando più volte in traverse poco frequentate, per poi ricomparire nelle strade principali con l’andatura lenta di chi sta provando a combattere l’insonnia con una passeggiata rilassante.

Il posto che Bionda non aveva avuto bisogno di indicare era cambiato diversi anni prima. Una volta era stato una pizzeria che aveva ospitato conversazioni riservate e incontri segretissimi. Ora era un pub, poco illuminato e di infimo ordine, dove servivano una birra, scura e schiumosa, che dava dipendenza, e panini unti, da cui grondavano salse dall’incalcolabile valore calorico, ma che avevano un gusto squisito. La selezione musicale era improponibile, ma offriva il vantaggio di rendere incomprensibile ogni parola che non fosse pronunciata a meno di trenta centimetri dall’interlocutore.

Quando Sara entrò nel locale, con qualche minuto d’anticipo, Teresa era già seduta a un tavolo appartato, lontano dall’ingresso. Aveva gli occhiali scuri, e davanti a lei c’era un boccale da mezzo litro quasi vuoto. Senza nemmeno salutare, rivolse un cenno a un ragazzo dai bicipiti tatuati, con una dozzina di piercing sul volto, perché portasse altre due birre. Quindi disse:

«Io mi chiedo come se la cavano i tipi così col metal detector, per esempio in aeroporto. Quanto ci mettono a togliersi tutta quella merda dalla faccia?».

Sara sorrise. «Ciao, Bionda. Siamo alla fase delle domande epocali? Sarà l’effetto della pinta a stomaco vuoto sulle signore di una certa età.»

L’altra sbuffò. «Parla per te, nonnina. Se voglio, stasera col tizio ci finisco a letto, scommettiamo?»

Sara, che rivolgeva le spalle al bancone dove il giovane stava armeggiando con lo spillatore, scosse piano la testa:

«La vedo dura, e non perché non abbia fiducia nel tuo fascino, ma perché è gay. Osserva la postura e i movimenti delle mani. Sull’avambraccio sinistro ha un tatuaggio: un cuore con dentro il nome LUCA. E continua a scambiarsi sorrisi con quel tipo di fronte a noi, che è da solo, ma i bicchieri sul tavolo sono due. Mi dispiace, Bionda, temo che ti darebbe buca».

Teresa rise, con un suono gracchiante che non aveva nulla di allegro:

«Invece tu sei alla fase del “capisco tutto con una sola occhiata”, eh, Mora? Non ti è mai passato lo sfizio di sorprendere con i superpoteri… Che panino vuoi?».

«Rinuncio, grazie. Ho cenato da Viola, mi ha pregato di stare un po’ con lei perché il piccolo ha la febbre. Niente di grave, appena qualche linea, che però la madre di lei, una specie di mostro, sfrutta come pretesto per piombarle in casa senza sosta. Se ci sono io, invece, non si azzarda. Così sembra, almeno.»

«Ci credo, con quel brutto grugno che ti ritrovi! Allora, mangerò da sola più tardi. Ho intenzione di restare qui e tirare fino all’alba. Un po’ di testosterone lo rimedio, fidati.»

«Non ho dubbi. Ma veniamo al dunque. Hai niente per me?»

Bionda annuì con sufficienza. «Tranquilla, io non giro mai a vuoto. Anche se devo ammettere che questa faccenda mi ha parecchio incuriosita.»

«Davvero? E perché?»

Il tipo coi piercing depose sul tavolo le due medie, sfoggiando la grazia dei suoi muscolosi bicipiti tatuati. Sara e Teresa si scambiarono un malinconico sguardo d’intesa. Quando brindarono, i boccali emisero un suono sordo.

Poi Teresa cominciò:

«Lombardo Antonino… Anch’io ricordo benissimo quella volta che lo vedemmo col capo, anche se non ho mai saputo il nome… all’epoca non me l’avevi detto. Comunque, se tu sei sicura, era di certo lui. Ora all’unità gli archivi sono digitalizzati, ma abbiamo conservato i dossier cartacei. Ho cercato nel database, e non c’è niente. Cioè, non esiste un file su Lombardo. Eppure censiamo tutti quelli che compiono reati finanziari, anche se di rilevanza modesta. È incomprensibile che su di lui non ci sia niente».

Sara faticava a nascondere la crescente inquietudine:

«E come te lo spieghi?».

Bionda tracannò un altro sorso. «Ah, proprio non me lo spiego. Me ne sono occupata di persona; siamo pieni di talpe del ministero e ho preferito non coinvolgere nessun altro. Allora ho verificato in deposito, pensando a un errore nel riversamento dati. Non è mai successo, ma non si può escludere, no?»

Sara si strinse nelle spalle. «Non ho idea di come funzioni, ma se tu sei sicura che non si può…»

Bionda la interruppe:

«Invece si può escludere. Il file manca per una ragione semplicissima: perché non esiste alcun dossier. Quindi la digitalizzazione non ha colpa».

Mora scrutava il viso dell’amica, in cerca delle tracce di un sentimento diverso dalla blanda, divertita curiosità. «Qualcuno ha sottratto l’incartamento?»

Teresa rise:

«Incartamento! Erano secoli che non sentivo questa parola! Sei uno spasso, Mora. Te l’ha mai detto nessuno?».

«A essere sincera, no. E quindi?»

«O è stato trafugato, e non riesco a immaginare da chi, perché soltanto la sottoscritta può accedere da sola al deposito, che peraltro, come sai, ha una doppia serratura a combinazione, oppure la soluzione più ovvia è che non sia mai esistito.»

«Ma com’è possibile?»

Teresa diventò seria:

«Ah, lo ignoro, Mora. Forse me lo dirai tu alla fine della tua indagine. Anzi, me lo dirai di certo, perché è questo il prezzo della mia… chiamiamola “collaborazione” da qui in avanti. Siamo d’accordo?».

Sara rifletté, poi fece un cenno d’assenso.

Bionda sorrise e riprese:

«Io sono caparbia, però, e non mi fermo di fronte al primo ostacolo. Siccome l’informatica ha i suoi vantaggi, ho inserito il nome Lombardo nel nostro software per accertarmi se avesse incrociato le attività di raccolta informazioni ad ampio raggio. Un lavoraccio, considerando la mole del materiale, ma sempre meglio che ubriacarsi da sola a casa e addormentarsi piangendo, no?».

L’amica provò una stretta al cuore, e non rispose.

Allora Teresa continuò:

«Dopo qualche ora e un pacchetto intero di sigarette, bingo. Antonino Lombardo spunta da un rapporto di uno stagista che, durante un’esercitazione in addestramento, controllava un magistrato in pensione».

Sara percepì l’ironia amara nella voce dell’altra quando indugiò sulla parola “stagista”. Doveva ricordarle la recluta che le aveva spezzato il cuore e i tragici esiti della loro storia. Ancora una volta non disse niente.

Teresa proseguì:

«Virgilio Maddalena: PM d’assalto negli Anni di piombo, con una fulgida carriera davanti, rovinata da un’azione disciplinare. Dopo, su di lui non ci sono più notizie».

«E che c’entra Lombardo?»

«Due anni fa, quando era già a riposo da parecchio, Maddalena ha chiesto e ottenuto un colloquio con Lombardo. Lo stagista ha verificato che l’incontro è effettivamente avvenuto. Pare che sia durato circa un’ora, poi Maddalena se n’è tornato a casa. Non c’è altro. Niente di niente.»

Sara era concentratissima. «E lo stagista ha accertato il motivo della visita di Maddalena?»

Teresa si sporse in avanti. «E questo è il bello. Benché in congedo da anni, il magistrato ha secretato tutto, come per i collaboratori di giustizia o i boss al 41bis. Strano ma vero, Mora.»

Restarono in silenzio, rimuginando. Quindi Teresa tirò fuori una cartellina dalla borsa e l’allungò verso Sara. «Questa è una copia del rapporto. È ovvio che negherò di fronte al padreterno di avertelo mai dato. Non c’è altro.»

Sara prese i documenti. «Almeno adesso abbiamo un indizio che potrebbe chiarire perché Lombardo non esiste e non sembra mai esistito. Devo parlare con Maddalena, spiegargli la situazione e…»

Teresa l’interruppe:

«La vedo dura, Mora».

«Perché?»

L’altra finì la birra in un lungo sorso e rivolse un cenno al ragazzo tatuato per ordinarne un’altra. «Virgilio Maddalena è morto un anno fa. Un infarto nel sonno. Questo l’ho scoperto da sola, in Rete. Non trovi che sono diventata moderna?»