XXXIII

«Sono fottuto» disse l’ispettore Davide Pardo. Proferì queste parole con lo stesso tono, piatto e spassionato, che avrebbe usato per esprimere una banale considerazione sul meteo. «Mi licenzieranno, e stavolta me lo merito. Ma non perderò solo il lavoro, mi beccherò anche una denuncia: per abuso d’ufficio, uso improprio del tesserino, concussione, abigeato e chissà che altro. E finirò in mezzo ai delinquenti che io stesso ho sbattuto in galera. Mi daranno il benvenuto in vari modi, compresa la violenza sessuale. Sarà orribile.» Teneva lo sguardo fisso davanti a sé, elencando quelle rosee prospettive come se recitasse una litania.

Sara, che gli camminava a fianco, cercò di riportarlo a una più mite realtà:

«Sta’ tranquillo, nessuno lo verrà a sapere».

Con la stessa piatta intonazione, l’uomo rispose:

«E invece lo scopriranno. La vecchia è la vedova di un magistrato che era in prima linea negli Anni di piombo, un pezzo da novanta. Conoscerà tutti, dal presidente della Repubblica al papa. Anzi, avrà già segnalato la mia foto con tanto di nome e grado, te lo dico io. Vedrai che quando usciremo dal portone, troveremo una squadra dell’Antiterrorismo pronta a prelevarmi».

Sara valutò l’ipotesi:

«Non credo. Se dovesse accadere, però, non dovrai preoccuparti per Boris. A lui penseremo noi».

L’ispettore si voltò a fissarla con le pupille iniettate di sangue:

«Ascolta, Morozzi, la belva è l’ultimo dei miei problemi. Immaginarla mentre crepa di fame nell’appartamento che ha usurpato, e che si trasformerà nella sua tomba, è la mia unica consolazione».

La donna provò a cambiare discorso:

«Notizie di Fusco?».

«Vado da lui ogni giorno. Non ha quasi più forze, si alza a fatica. Lo tiene vivo solo la speranza che riusciremo a risolvere il caso della sorella. Ed è una speranza malriposta, perché brancoliamo nel buio. Mi sento più in colpa ad alimentare questa illusione che a non averlo aiutato a incontrare Lombardo in tempo.»

«Non è ancora finita. Basterebbe un colpo di fortuna.»

Si fermarono davanti al portone del palazzo liberty.

Pardo tirò un lungo respiro come il condannato che si avvia, rassegnato, al patibolo. «Mi licenzieranno e finirò in galera» mormorò. Poi varcò l’androne seguito da Sara.

Alla donna non sfuggì che il custode, un uomo brizzolato, avanti negli anni, appena vide Davide, ostentò indifferenza, fingendo di leggere un giornale.

L’ispettore lo ignorò e si diresse verso l’ascensore.

Sul pianerottolo dell’ultimo piano c’era un unico ingresso. Suonarono il campanello, si sentì ciabattare all’interno e la porta si aprì. Un viso arcigno dalla pelle bruna, che sormontava un corpo massiccio, ricoperto da una lunga tunica azzurra, li studiò con sospetto. Né un buongiorno né una domanda. Niente.

Davide esibì il tesserino. «Sono l’ispettore Pardo della polizia di Stato. La signora Maddalena può riceverci?»

A Sara non sfuggì che l’altro, con un mezzo colpo di tosse, aveva abbassato il tono della voce mentre dichiarava le generalità: era terrorizzato all’idea di lasciare tracce della sua sortita nello stabile.

La domestica non sembrava persuasa, e continuava a sbarrare l’ingresso fissando Pardo con aria diffidente. Poi, alle sue spalle, una voce sottile chiese:

«Chi è a quest’ora, Anjali? Aspettiamo qualcuno?».

La donna si spostò di lato, senza distogliere lo sguardo dall’ispettore, e al suo fianco si materializzò un’anziana, piccola e canuta, vestita di nero.

Pardo ne approfittò:

«La signora Maddalena? Ci perdoni, siamo della polizia. Dovremmo conferire con lei».

«Ah, sì? Favorisca il tesserino, prego.»

Tutti gli sforzi con cui Pardo aveva cercato di occultare la propria identità si rivelarono di colpo inutili. Davide sospirò e si costituì.

La vedova inforcò un paio di occhiali da lettura ed esaminò il documento, verificandone in controluce l’autenticità della filigrana. Dopo averlo memorizzato, lo restituì al poliziotto sempre più in preda allo sconforto. A quel punto si interessò a Sara. «E lei chi sarebbe?»

L’altra rimase in silenzio, senza muovere un muscolo, finché la vedova non spostò lo sguardo su Pardo.

«Una collega, di grado inferiore» rispose Davide. «La mia qualifica è sufficiente. Possiamo entrare, signora?»

Gisella Maddalena ribatté, serafica:

«Preferisco di no. Che è successo? Io non ho chiamato nessuno».

Pardo, in imbarazzo, disse:

«Ci hanno informato di un episodio che la riguarda. Ci risulta che sia stata avvicinata qui di fronte da un giovane malintenzionato e…».

Proprio in quel momento, sulla soglia dell’appartamento comparve la barboncina decrepita, dal colore smunto, che annusò l’aria con un’espressione identica a quella della domestica. Poi, di colpo, si avventò su Pardo azzannandolo alla gamba. La padrona e Anjali non mostrarono il minimo rammarico, né si presero la briga di richiamare l’animale che, continuando a ringhiare, restò appeso ai pantaloni di Davide. Oppresso dall’angoscia per essere lì in veste ufficiale ma sprovvisto di motivi validi, il poliziotto preferì non reagire. Neanche Sara si scompose, rimanendo concentrata sulla vecchia. In pratica, nessuno si curò dell’aggressione.

«Io non ho sporto alcuna denuncia, ispettore» puntualizzò la vedova con voce pacata ma ferma. «Le assicuro che dispongo di ottime conoscenze. Se avessi avuto bisogno di un intervento delle forze dell’ordine, non avrebbero certo mandato lei a soccorrermi. Comunque, grazie dell’interessamento.»

Sara notò che gli occhi della signora erano sfuggenti e che la lingua passò per due volte, rapida, sul labbro superiore.

Mentre tentava di scrollarsi la barboncina di dosso, Pardo insistette:

«Stiamo indagando su alcune bande di giovani malviventi che si aggirano nel quartiere, signora. A volte scelgono una vittima, provano ad avvicinarla e…».

La vedova lo interruppe, brusca:

«Le ripeto che non mi serve il vostro aiuto, ispettore. Quel ragazzo era innocuo, mi sono impressionata un po’ perché mi ha colta di sorpresa. Tutto qui».

Per la prima volta, Sara parlò:

«Lei lo conosce. Non è così, Gisella?».

L’uso del nome proprio, le maniere confidenziali e l’asserzione decisa ebbero lo stesso effetto di un colpo di pistola esploso sul pianerottolo.

La reazione della vecchia fu comunque di una freddezza ammirevole. «No, ignoro chi sia. Come del resto ignoro chi sia lei, signora. Non mi pare che ci siamo presentate né tantomeno che ci sia la confidenza per chiamarmi col mio nome di battesimo.»

Una serie di movimenti, che sarebbero passati inosservati a chiunque, restarono impressi nella mente di Sara, come se le due donne avessero già chiacchierato in passato per ore. Un pugno si strinse e si riaprì, e le dita percorsero una manica sfiorando il polso. Prima un sopracciglio scattò verso l’alto, poi la fronte si aggrottò. Il tono della voce si alzò a metà di una frase. Era più che sufficiente.

Anjali ruggì, cercando di chiudere la porta:

«La signora adesso è stanca. Basta scocciare».

Ancora impegnato nel corpo a corpo con la barboncina, Davide, quasi piagnucolando, tentò un ultimo approccio:

«Noi lavoriamo per la vostra sicurezza, e riteniamo che…».

Gisella Maddalena non lo lasciò finire di nuovo:

«Qui nessuno è in pericolo, ispettore. E in mancanza di altre evidenti ragioni, la invito a non disturbarmi più. Buonasera».

Un attimo prima che la domestica chiudesse il battente, Sara si inserì:

«Magari il ragazzo non c’entra col presente ma col passato. Non potrebbe essere una vecchia conoscenza del suo defunto marito?».

Gisella serrò le labbra e socchiuse gli occhi, come sopraffatta dall’ira. «Ma lei chi è? E come osa associare Virgilio a quel… a quel teppista?»

Sara sorrise. «Ah, adesso è un teppista, mentre fino a un secondo fa era innocuo e lei non sapeva chi fosse… Interessante.»

La donna era sbiancata di colpo, e si era portata una mano tremante alla bocca.

Anjali sembrava sul punto di esplodere, quando Sara riprese:

«Il ragazzo non l’ha aggredita, ma le ha sputato addosso. Un gesto simile esprime disprezzo, signora. E il disprezzo non è una moneta riservata a chi non si conosce e nemmeno a chi, come lei, ha un’età che dovrebbe valerle il rispetto degli altri. O era un poco di buono, e in quel caso avrebbe dovuto assalirla, o voleva parlarle e lei non l’ha consentito. Perché la cercava, signora Gisella?».

La vecchia, bianca come un cencio, lo sguardo vitreo e le narici frementi, non rispose.

Mentre la barboncina non mollava la presa e l’ansia per l’imminente licenziamento lo invadeva, Pardo ruppe il silenzio con voce stridula porgendo alla domestica un biglietto:

«Questo è il mio numero. Per qualsiasi cosa, potete contattarmi e…».

«Andate via. Subito!» ringhiò Anjali.

Come obbedendo a un comando in codice, il cane si staccò a malincuore dai pantaloni di Pardo, l’orlo ormai ridotto a brandelli, e scomparve nell’appartamento, un istante prima che la porta si richiudesse sbattendo e il rimbombo echeggiasse nella tromba delle scale.