Sara si dispose ad attendere la telefonata di Manuel Piscopo, se mai fosse arrivata. Solo il ragazzo poteva svelare il frammento di verità che, sommato a quello in possesso della vedova, avrebbe consentito di risolvere il caso di Ada. Ma a essere onesti, dare un volto e un nome all’assassino della ragazza non era il principale motivo che spingeva la donna invisibile a indagare sui rapporti tra Antonino Lombardo e Virgilio Maddalena. La determinazione di Sara era dettata dal bisogno di chiarire il ruolo di Massimiliano in quella faccenda.
In un lontano pomeriggio di pioggia, era stato l’istinto, il suo incredibile talento nel leggere le passioni celate dietro alle espressioni, a permetterle di cogliere la tensione, persino una punta di paura, sulla faccia dell’uomo che aveva amato, mentre parlava con Lombardo per strada, nei pressi della sede dell’unità. Sara non aveva più visto una simile ansia su quel viso, che avrebbe guardato milioni di volte, imparando a distinguerne ogni sfumatura.
Il disagio e l’inquietudine che aveva provato allora erano rimasti sepolti in lei, muti, rimossi, dimenticati, eppure latenti, finché non erano tornati a galla per colpa dell’inconsapevole Pardo e del suo incontro con Fusco.
Poi Sara si era imbattuta nelle lacune dell’archivio nascosto in cantina. Se l’assenza di un dossier su Lombardo alimentava dubbi, la mancanza di un incartamento su Maddalena – un magistrato che si era occupato di terrorismo e criminalità organizzata, pur senza subire conseguenze, ed era incorso in un procedimento disciplinare – risultava inconcepibile e generava sospetti. Sara si sarebbe aspettata di trovare un’ampia raccolta di materiale sul PM che ne documentasse la carriera, le inchieste di cui era stato titolare, gli orientamenti politici, le vicende private e professionali. Invece non c’era nulla.
Mentre la notte allungava le sue dita all’interno della cucina dove per venticinque anni aveva riso, pianto e chiacchierato con Massimiliano, si chiese chi fosse stato davvero il suo compagno. Perché non si era mai confidato? Perché aveva taciuto circostanze così rilevanti per lui? A ossessionarla non era il desiderio di scoprire un segreto che sembrava impenetrabile. Era passato tanto tempo, e i pochi sopravvissuti di quella storia, come Fusco e la vedova Maddalena, non sarebbero campati ancora per molto. Erano rimaste delle domande, ma le risposte interessavano a pochi. No, non era per questo che voleva sapere.
Era per la porta che Massimiliano aveva serrato. E per il suo silenzio. Pur non intaccando il sentimento che Sara aveva nutrito e nutriva per lui, il vuoto di quelle omissioni incrinava una convinzione che, commettendo un errore palese, aveva considerato inscalfibile: la certezza di conoscere tutto dell’uomo che amava.
Infine, c’era un’evidenza più eloquente di ogni altro indizio: l’impercettibile esitazione di Andrea quando lei aveva pronunciato il nome di Antonino Lombardo. Lo aveva stanato, ne era sicura. Ma perché Catapano era al corrente di ciò che lei ignorava? E perché ancora adesso, dopo tante lacrime e tanto dolore, riteneva di dover mantenere il riserbo su quell’ombra che offuscava la vita di Massi?
Perciò doveva capire, per cacciare un fantasma, l’idea di aver abbandonato un figlio per un uomo diverso da quello che lei credeva; e, in fondo, anche per placare la sofferenza negli occhi di Angelo, e aiutare Carla a conservare il calore di un amore nato storto e cresciuto come l’erba cattiva, tuttavia puro e sconfinato come pochi. Era per questo che doveva sapere.
Prendendo una tazzina e mettendo il caffè sul fuoco, si interrogò su chi fosse stato in realtà Massimiliano Tamburi.
Andrea Catapano percepiva la notte alla finestra. Era una delle piccole, immense soddisfazioni che gli procurava la cecità; alla fine, erano molte più di quante la gente potesse supporre. Il buio, per le persone normali, era solo tenebra: l’abbraccio dell’oscurità capace di incutere timore per i pericoli e le insidie che poteva celare. Lui, invece, si godeva il buio sulla pelle, come se fosse immerso nella luce di una giornata di sole. Perché Andrea Catapano aveva il vantaggio di orientarsi senza incertezze quando gli altri procedevano a tentoni.
Aveva sempre ragionato in termini di vantaggio, mai di privazione o difetto: ascoltare senza essere sentito, vedere senza essere visto, ricordare senza essere ricordato. Il privilegio di possedere informazioni che altri non possedevano.
La mente dell’uomo che al davanzale respirava il buio andò a Sara. Mora non sapeva, ma in quel caso, lui non era in vantaggio. Si chiese per quanto ancora sarebbe stato possibile custodire il segreto. Gli era ben nota l’abilità della donna di carpire, al di là di ogni finzione, i pensieri più intimi e le intenzioni più recondite. Il punto però era un altro: lui aveva ancora l’obbligo di tenere fede alla consegna? Doveva rispettare la promessa che lo impegnava?
La memoria volò rapida indietro negli anni, riavvolgendo impietosa il nastro di un’esistenza consumata nell’oscurità, fermandosi ai giorni in cui, attraverso spesse lenti e senza discernere i particolari, le forme e le sagome avevano ancora un senso per i suoi occhi.
Si ritrovò nell’ufficio del capo, un pomeriggio di pioggia battente che sembrava sul punto di scardinare gli infissi opachi della falsa agenzia di import-export dietro cui si mimetizzava l’unità.
Rivide quell’uomo, che aveva venerato, che lo aveva scelto quando ormai Andrea era stato messo da parte, regalandogli così una nuova vita, e che lui aveva amato di un amore muto e disperato. Udì di nuovo il timbro della voce, identico a quello inciso sui suoi nastri, ma privato della sicurezza, dell’allegria, della forza e della determinazione che aveva sempre mantenuto, anche nelle situazioni più delicate e complesse.
Il Tamburi che ricordò, mentre il buio della notte di aprile gli sfiorava la pelle, era disperato, sull’orlo di un pianto che aveva spezzato il cuore di Andrea. Non lo aveva mai amato tanto come in quel momento, in cui avrebbe desiderato lenirne la pena con un abbraccio di tenerezza e di devozione.
«Capisci, Andrea?» gli aveva detto. «Se non accettassi, sarei perduto. E voi insieme a me. L’unità chiuderebbe, e del nostro lavoro non rimarrebbe traccia. Lui sa tutto. E ci metterebbe un attimo a informare chi immagini, poi anche agli altri. Ci sbatterebbero sui giornali e sarebbe finita. Come devo comportarmi?»
La memoria restituì ad Andrea le parole con cui aveva tentato di rassicurarlo: «Sono solo minacce, capo. Se rendesse pubblica la storia, si distruggerebbe, non potrebbe negare di essere responsabile di un insabbiamento. Non è un pazzo suicida».
Massimiliano aveva scosso il capo, le mani sulla faccia: «Fingi di non comprendere. Lui è rovinato comunque, la sua carriera è al capolinea. Vuole soltanto salvarsi il culo, conservare quello che ha guadagnato dopo il cambio di bandiera. Che non è poco».
Catapano intuiva con chiarezza i piani degli altri. Così, per salvaguardare il bene più prezioso, aveva risposto che sarebbe stato egoistico restare integerrimi distruggendo quello per cui avevano combattuto. Aveva garantito a Massimiliano che nessuno avrebbe mai sospettato niente, e che, se avessero cancellato tutto, non ci sarebbero stati altri danni.
Tamburi era rimasto in silenzio. Poi si era voltato e aveva raggiunto la finestra.
D’istinto, il cieco assunse la stessa posizione al cospetto della notte, le braccia strette al petto, le spalle un po’ curve.
Ricordò, nella nebbia della vista ormai prossima a svanire, la schiena del capo che sussultava, come se stesse singhiozzando.
«Mora» sussurrò piano, sovrapponendo le parole a quelle pronunciate dall’amico tanti anni prima, «Mora non dovrà saperlo mai.»
Attraverso gli anni, Catapano avvertì ancora la stessa immotivata fitta di gelosia che aveva provato mentre la pioggia martellava sui vetri.
«Perché» aveva detto Massimiliano, «non potrei rinunciare a quella luce che le brilla negli occhi quando mi guarda. Le donne sono diverse: non accettano di considerare le mille conseguenze di una decisione. E ti garantisco, Andrea, che se ci fosse la possibilità di salvare anche solo una di quelle vite spezzate, non sceglierei in questo modo. Mi credi, no?»
La voce di Catapano echeggiò attraverso innumerevoli giorni e innumerevoli notti: «Sì, capo, ti credo. Ma devi accettare di abbandonare quello che ormai è andato, per preservare il resto. Perciò devi agire così. Anzi, dobbiamo, perché io ti aiuterò».
«Davvero?» aveva domandato Massimiliano. «Perché senza di te mi mancherebbe la forza.»
Andrea rammentò il senso di dolce potere, il tremito che scaturiva dalla consapevolezza di compiere un gesto di amore profondo. «Sì, ti aiuterò» aveva risposto. Ed era stato al suo fianco mentre praticavano l’arte di cui erano maestri: rimodellare la realtà, occultandone le parti che dovevano essere dimenticate.
Pian piano, la notte si arrendeva al silenzio. Il cieco pensò a Mora, al suo odio per le finzioni e gli inganni, all’abilità straordinaria con cui leggeva nella testa degli altri. Era sicuro che quando si erano incontrati al bar lei aveva colto da qualche sua impercettibile titubanza la verità che gli infestava la mente; forse aveva notato una lieve alterazione del respiro, oppure un microscopico tremito del mento. Era stato allora che aveva cominciato a prepararsi all’istante in cui sarebbe tornata a chiedergli conto di ciò che ignorava.
Si chiese se Massimiliano lo avrebbe sciolto dall’antico patto.
Passò qualche minuto a farsi accarezzare dal buio di aprile, in cerca di una risposta che non arrivò. E alla fine stabilì che avrebbe detto poco se Mora aveva capito poco, e tutto se la donna aveva compreso tutto. Era una questione di onestà nei confronti del proprio passato.
Perché lui era l’unico che aveva visto l’anima di Massimiliano Tamburi.