XLI

Quando Sara arrivò a casa di Viola, la ragazza stava litigando con Pardo.

I battibecchi tra i due erano diventati frequenti, e seguivano sempre lo stesso copione: la ragazza inveiva gridando e l’ispettore subiva, con la testa bassa e gli occhi persi nel vuoto, succhiandosi i baffi.

«Adesso devi dirmi quando ti ho dato il permesso di prendere questa iniziativa. E non girarci attorno, porca miseria!»

Davide rimase in silenzio, senza distogliere lo sguardo da un punto imprecisato davanti a sé.

Viola riprese:

«E hai anche tradito la mia fiducia, sostenendo che potevo lasciarlo con te senza problemi! Peraltro sapevi che ero impegnata in una faccenda di cui potevo occuparmi solo io, dato che l’infermiera che ci ha procurato il colloquio è mia zia! Allora, vuoi spiegarmi che diavolo ti è saltato in mente?».

Sara domandò, sconcertata:

«Ma che è successo? Pardo, che hai combinato?».

L’uomo non mosse un muscolo, salvo quelli che gli servivano per tormentarsi il labbro superiore.

Viola continuò a urlare:

«Hai presente quando è rimasto con Massi perché noi siamo andate all’ospedale? Be’, torno e il bambino dorme. “Tutto bene?” gli chiedo. E lui: “Sì, certo”. Poi se ne va, io cambio il piccolo e gli trovo un buco sul braccio! Ti rendi conto?! Un bu-co!».

La donna aggrottò la fronte senza capire:

«Che significa un buco?».

«Sara, non cominciare anche tu, adesso! C’era un foro sotto un cerotto. E adesso quello se ne sta là muto come un pesce!»

Sara si rivolse a Davide, indurendo appena la voce:

«Pardo, adesso ci spieghi perché c’è un buco sul braccio di mio nipote. Sbrigati». Non aveva alzato il tono, ma l’imperativo era di quelli inderogabili.

Il poliziotto sembrò riaversi, e replicò con aria di sfida:

«Se nessuno si preoccupa che questa creatura ha la febbre da giorni, allora devo provvedere io. Tutto qua».

Viola ringhiò:

«Ho chiamato il pediatra, dannazione! Ha detto che è un’infreddatura, che Massi presto starà meglio, e…».

Pardo la interruppe senza smettere di fissare il vuoto:

«Quello è un vecchio rimbambito. Così ho pregato un amico infermiere di passare per un prelievo».

Viola era esasperata:

«E non ti ha sfiorato l’idea di avvisarmi, cazzo? Io sono la madre. La ma-dre! Perché questo concetto non ti è chiaro? E tu… tu non sei niente! Non sei uno zio, non sei il nonno e, soprattutto, non sei il padre!».

L’ispettore abbassò la testa, come se avesse ricevuto uno schiaffo. Si alzò e uscì.

Prima che Sara potesse fermarlo, il telefono squillò.

Quando arrivarono al reparto di Immunologia clinica, furono bloccate all’ingresso perché erano in corso le pulizie.

Viola chiese di Anna, la caposala, che era stata già avvisata da Carla.

La donna le accompagnò nella sala infermieri, invitandole ad attendere.

Dopo qualche attimo, apparve Carla. Stava sulla sedia a rotelle e dietro di lei, a spingerla, c’era Manuel.

La donna, che sembrava più pallida e affaticata del giorno prima, disse:

«Abbiamo avuto una lunga discussione. Non voleva incontrarvi, ma io sono stata irremovibile: rifiuterò qualsiasi cura, compresi gli antidolorifici, finché non risponderà alle vostre domande. Sopravvivo solo grazie a quei farmaci, e stamattina ho deciso di non assumerli. È un ricatto, ne sono consapevole, ma non ho altra scelta».

Il ragazzo aveva le labbra strette e le mascelle serrate. Sara riconobbe i segni di una furia repressa a stento.

Carla riprese, ansimando:

«Sto troppo male e, se resto qui, rischio di svenire. Poi davanti a me Manuel potrebbe mentire, anche se ha promesso di non farlo. E lui mantiene la parola fin da quando era un ragazzino. Quindi adesso Anna mi accompagnerà a letto. Quando tutto si sarà risolto per il meglio, lascerò che m’infili l’ago della flebo, e finalmente dormirò. D’accordo?».

Manuel la supplicò:

«Ti prego, Carla. Non costringermi, non è giusto».

«Invece, lo è.»

Lui ripeté, disperato:

«Non puoi mettermi spalle al muro, maledizione! È pericoloso che altri sappiano i… i nostri progetti. E poi, chi sono queste due? Hai una minima idea? Magari dopo che apro la bocca, mi denunciano, e a quel punto come potrò aiutarti?».

Carla gli sorrise: vedere lo sforzo che le costò quel semplice gesto e tutto l’amore che esprimeva strinse il cuore a Sara e Viola. Quindi la malata chiamò Anna.

L’infermiera arrivò nel giro di pochi minuti. Gli occhi erano colmi di preoccupazione e si affrettò a portare via la De Rosa.

Piscopo squadrò le due donne con ostentato disprezzo. «Sarete contente, spero, fiere di sfruttare i sentimenti e la sofferenza di una che vale molto più di voi due messe insieme. Vi vergognate, almeno?»

Sara scosse piano la testa:

«No, non ci vergogniamo, perché prima abbiamo provato con le buone, e ci hai ignorato. E perché a qualche chilometro da qui c’è un uomo che si sta spegnendo tra i tormenti, e tu per egoismo nascondi le informazioni che potrebbero regalargli un po’ di pace».

Viola aggiunse:

«E non abbiamo certo suggerito noi a Carla di sospendere gli antidolorifici. Dovresti comprendere invece quant’è grande il suo sacrificio, e permetterle di morire in pace».

Il ragazzo reagì con tanta veemenza che Viola si ritrasse di scatto. «Carla non muore, hai capito? Lei vivrà, perché la salverò io. Non mi credete, eh? Mi considerate solo un ragazzino, uno che si lascia imbrogliare, uno in cerca di soldi da perdere dietro a un’illusione. Ma io mi sono documentato, e ti assicuro che Carla non muore. Non ripeterlo mai più, puttanella, sennò ti scanno con le mani mie.»

Sara intervenne:

«Tu te ne stai buono e tranquillo, invece, altrimenti finisci dritto in prigione. L’hai dimenticato che abbiamo un’ampia documentazione sulle tue attività, ladruncolo da strapazzo? Non l’abbiamo raccontato a Carla perché abbiamo compassione per lei. Quindi ora hai la possibilità di vuotare il sacco; dando una bella prova di te alla tua donna, che finalmente potrà riposare, e insieme potrai risparmiarti la galera. Perciò, decidi. Il tempo a tua disposizione sta scadendo».

Viola lanciò a Sara un’occhiata di stima, anche se era rimasta colpita dalla durezza con cui si era rivolta al ragazzo.

Ci fu un lungo momento di silenzio, durante il quale la donna invisibile osservò Manuel con serafica calma, mentre l’altro schiumava di rabbia serrando i pugni.

Alla fine il ragazzo cedette, rassegnato:

«Che volete sapere?».

Sara annuì, soddisfatta, e si sedette. «Parlaci di Antonino Lombardo. E non omettere niente.»