Davide non volle incontrare Sara a casa di Viola, com’era prevedibile. Il poliziotto passò a prenderla in macchina all’angolo dei soliti giardinetti. Da lì si mossero per raggiungere il luogo del successivo appuntamento.
La donna aggiornò Pardo sul racconto di Manuel.
Lui ascoltò in silenzio, guidando tranquillo. Quando Sara ebbe terminato, commentò:
«Tutto abbastanza chiaro. Ma nulla di nuovo sull’omicidio della sorella di Fusco. Piscopo vi ha solo riferito che Lombardo recuperò la lettera nascosta nel libro che il figlio aveva venduto per sbaglio, e questo lo collega alla libreria antiquaria, ma non alla scomparsa e alla morte di Ada. In pratica, abbiamo scoperto quasi tutto, ma niente di particolare sul delitto».
«Non è proprio così. Conosciamo la reazione emotiva di Lombardo quando parlava del messaggio per Maddalena, e sappiamo che il magistrato era preoccupato dall’eventualità che la storia saltasse fuori. Però non siamo sicuri che Manuel sia stato sincero.»
Pardo sogghignò:
«Certo, certo. Ma le due persone che potrebbero aiutarci a sbrogliare la matassa, cioè Lombardo e Maddalena, sono al camposanto; Piscopo è un delinquente, e forse anche un bugiardo; la vedova del PM ha duecento anni, a occhio e croce, e comunica attraverso una barboncina psicopatica. Concorderai che le possibilità di arrivare alla verità prima che Fusco tiri a sua volta le cuoia sono piuttosto scarse».
Sara lo fissò preoccupata. «Pardo, mi spieghi che ti succede? Di solito la vedi nera, è vero, ma adesso il tuo pessimismo ha assunto proporzioni cosmiche.»
L’ispettore rispose, torvo:
«A essere sinceri, sono stanco, Morozzi. Stanco di ricevere calci in faccia da tutti, persino dal mio cane, senza meritarmelo. Io desideravo un’esistenza normale, come quella degli altri, che ce l’hanno e si lamentano pure. L’hai sentito con le tue orecchie, no?, io non sono niente».
La donna protestò:
«Dài, Davide, lo sai che carattere ha Viola. È sola. A volte Massimiliano la opprime e a volte è lei che si considera inadeguata. Ha avuto una reazione sproporzionata a un’iniziativa che comunque non toccava a te. Questo spero lo ammetterai».
Il poliziotto scosse la testa. «No, no. Viola ha ragione. Chi sono io per stabilire se un pediatra ha torto e servono ulteriori accertamenti? La verità è che mi comporto come quegli animali che si appropriano di cuccioli che non sono loro, perché non ne hanno o non ne possono avere. Ieri ho avuto pena di me stesso. Non mi era mai capitato prima.»
«Addirittura? Stai esagerando, Davide, tu non…»
L’ispettore alzò una mano, staccandola dal volante. «Sì, mi sono compatito. Mi sono guardato con distacco, e ho capito che sono un uomo senza doti, senza una donna e senza una carriera. Che cos’ho io, me lo spieghi? Un Bovaro che detesto e che mi tratta come uno zerbino, due sconosciute che all’improvviso, e secondo nessuna logica, ho eletto a surrogato di famiglia, e un bambino che non è mio e del quale mi preoccupo senza sosta. Ti pare giusto?»
Sara provò a sdrammatizzare:
«Eddai, Pardo, non farne una tragedia! Anche noi ti siamo affezionate, e Massimiliano ti adora. È solo un momento di nervosismo e…».
L’uomo continuò imperterrito, come se stesse discutendo con se stesso:
«E allora proprio stanotte, mentre stavo sul divano, perché quello stronzo di Boris ha deciso di occupare il letto in diagonale, ho preso una decisione. Devo costruirmi una vita mia. Viola ha ragione. Non sono il padre e nemmeno lo zio di Massimiliano. Non avevo il diritto di chiamare il mio amico infermiere per quel prelievo, e non ho il diritto di decidere il colore dei vestitini o la marca del latte che beve. Dovrei persino evitare di vederlo, Massimiliano. E anche te e la madre. Se siamo impegnati in un’indagine, come questo caso vecchio di cent’anni da risolvere, bene. Altrimenti, ognuno per conto suo».
Dalla postura, dall’espressione e dal tono di voce, Sara ci mise un attimo a intuire che Davide stava cercando di convincere se stesso e che non ce l’aveva con lei, così evitò di replicare.
Il poliziotto era un fiume in piena:
«Quindi stamattina ho scritto un messaggio ad Arianna, la dirigente della Penitenziaria che mi ha proposto di sdebitarmi invitandola a cena. Pensavo scherzasse, e che avrebbe ritrattato, ero già pronto a insistere, a telefonare, persino a piazzarmi sotto il suo ufficio. Volevo dirle: Perché no? Che cosa non va in me? È mai possibile che, appena voglio portare una donna fuori, devo subire l’umiliazione di un rifiuto? Ero pronto a ogni evenienza, insomma».
Sara valutò con attenzione se interloquire o meno, ma poi non resistette:
«E allora?».
Pardo si voltò leggermente verso di lei con un’espressione sgomenta sul viso:
«Ha accettato subito. Ha prenotato sabato alle nove alla Taverna Rossa. Io per poco non rispondevo: E perché sì? Mi sembrava di essere Troisi in quel film».
Sara si sforzava di trattenere una risata. «Be’? E non sei contento?»
L’altro rifletté per quasi due minuti, al termine dei quali arrivarono a destinazione, poi mise il contrassegno della polizia sul parabrezza e si rivolse alla donna invisibile:
«Non lo so. All’improvviso ho la spiacevole sensazione di aver commesso una cazzata. Una gran cazzata. Secondo te?».
Sara soppesò le parole. «No. È una bella notizia. Poi una cena non è impegnativa, e se non funziona puoi sempre sparire. Noi, che siamo la tua famiglia, restiamo ad aspettarti. Stai tranquillo.»
Pardo la fissò a lungo, cercando di capire se lei lo stesse sfottendo. Poi sospirò. «Muoviamoci. Ma sia chiaro: se quella barboncina di merda mi morde ancora, le sparo in testa con la pistola d’ordinanza. Ti avviso.»
«Meglio di no. Stiamo ricomponendo un puzzle e, per dare conforto al tuo amico Fusco, la vedova è il tassello fondamentale.»
Davide guardò in su, verso l’ultimo piano del palazzo:
«Quello che mi chiedo è perché dovrebbe parlare con noi se ha cacciato Piscopo urlando come un’ossessa. Ignora persino per quale motivo il ragazzo la vuole avvicinare».
Sara scosse la testa. «Non è detto. Manuel le ha menzionato il nome di Lombardo quando è andato da lei la prima volta. Può essere che la vedova sia al corrente del tipo di rapporto che legava il marito ad Antonino, e perciò sta attenta a non avere contatti col ragazzo. Magari, però, ignora l’esistenza della lettera. Dobbiamo puntare su questo.»
Il poliziotto strinse le labbra:
«Sì, dobbiamo tentarle tutte e ricorrere a qualsiasi mezzo. Torniamo anche da quel delinquente di Piscopo, se è necessario. Non voglio che Fusco muoia così. Preferisco inventarmela io una soluzione del caso».
Sara sorrise. «Oh, eccolo il mio ispettore, adesso ti riconosco! Andiamo, dài. E ti ricordo che hai detto “qualsiasi mezzo”, compreso accettare che un cane ti sbrani i pantaloni. L’importante è agire con tatto: una testimone reticente non ci serve a nulla.»